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raccolta di racconti di Italo Calvino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Marcovaldo ovvero Le stagioni in città è una raccolta di venti novelle di Italo Calvino, alcune delle quali già uscite a episodi sulle pagine de L'Unità, organo editoriale del Partito Comunista Italiano, all'epoca in cui Calvino ne era militante. La prima edizione fu pubblicata nel novembre del 1963 in una collana di libri per ragazzi di Giulio Einaudi Editore.
Marcovaldo ovvero Le stagioni in città | |
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Autore | Italo Calvino |
1ª ed. originale | 1963 |
Genere | racconti |
Lingua originale | italiano |
Protagonisti | Marcovaldo |
Il sottotitolo Le stagioni in città si rifà alla struttura dei racconti, associati ognuno a una delle quattro stagioni dell'anno. Protagonista di tutti i racconti è Marcovaldo, un manovale con problemi economici, ingenuo, sensibile, inventivo, interessato al suo ambiente e un po' buffo e melanconico.
I racconti sono ambientati in una grande città imprecisata: anche se l'autore non ne fa il nome, con ogni probabilità l'ispirazione fu presa da Torino, dove Calvino lavorò e visse per molti anni. Il fiume, le colline prossime alla città, le montagne e i grandi corsi sono infatti tutti elementi che compaiono nei racconti e sono caratteristici del capoluogo piemontese. Tuttavia questa città è simbolo di ogni città, con cemento, ciminiere, fumo, grattacieli e traffico, e Marcovaldo ne è il cittadino per antonomasia. Anche la ditta Sbav, presso cui Marcovaldo lavora, è la ditta per eccellenza, simbolo di tutte le ditte, e proprio per questo non si sa né cosa vi si produca, né cosa vi si venda, né il contenuto degli imballaggi che il protagonista sposta e trasporta tutto il giorno.
Le avventure che si susseguono mostrano come la società delle città moderne possa arrivare a influenzare le persone e il loro rapporto con la natura.
I personaggi principali sono i membri della numerosa famiglia di Marcovaldo, che è sposato con Domitilla e ha sei figli: Michelino, Filippetto, Paolino, Pietruccio, Isolina e Teresina. Altri personaggi sono poco più che comparse e intervengono in singoli racconti: lo spazzino Amadigi; il vigile notturno Tornaquinci; il disoccupato Sigismondo; il presidente del consiglio d'amministrazione Alboino; il signor Rizieri, pensionato; il cavalier Ulrico; l'agente Astolfo; la signora Diomira; il dottor Godifredo, agente di pubblicità luminosa. Un'eccezione è il caporeparto Viligelmo, che ha un certo spazio in diversi racconti ("Il piccione comunale", "La pioggia e le foglie" ecc.).
Marcovaldo, mentre aspetta il tram per andare al lavoro, scopre dei funghi cresciuti su una striscia d'aiuola d'un corso cittadino. Crede di poter ritrovare un angolo di natura anche in città, un angolo solo a lui noto, e quando è finalmente arrivato il momento di raccogliere i funghi insieme ai figli, scopre che altre persone sono arrivate prima di lui tra le quali c'era anche Amadigi, uno spazzino occhialuto e spilungone che a Marcovaldo era antipatico da tempo; decide dunque di spargere la voce e far sì che tutti possano raccoglierli. L'episodio è concluso da una corsa in ospedale, i funghi erano velenosi e i malcapitati rivali nella raccolta si ritrovano tutti accomunati da un identico destino: condividere la stanza d'ospedale.
Marcovaldo si sente soffocare in casa sua, dove dormono tutti in una sola camera. La panchina di una piazza alberata che ogni mattina attraversa per recarsi al lavoro lo fa sognare e immagina quanto sarà fresco e riposante dormirci tutto da solo. Una notte caldissima prende il suo guanciale e, zitto zitto, esce e ci va. Ma la panchina è occupata da una coppia che litiga e lui deve aspettare a lungo prima di conquistarla; nell'attesa contempla la luna con la sua misteriosa luce naturale confrontandola con quella falsamente vivace di un semaforo. Quando finalmente può occupare la panchina, le luci del semaforo lo disturbano e poi ci sono rumori e puzze inconsuete che impediscono più di una volta a Marcovaldo di trovare il sonno tanto desiderato. E anche quando crolla sfinito e si addormenta, non può godere del riposo sperato: si risveglia pieno di dolori alla schiena e al fianco, con i quali deve correre al lavoro: è già mattina.
Marcovaldo, affamato, vedendo uno stormo di beccacce che volano in cielo cerca di catturarle sparpagliando colla sul terrazzo del condominio, riuscendo però a catturare solo un povero piccione risultato poi essere di proprietà dell'amministrazione comunale.
In città è caduta la neve. Marcovaldo è incaricato di spalare il cortile antistante della ditta dove lavora. Marcovaldo sente la neve come amica, come un elemento che annulla la gabbia di muri in cui è imprigionata la sua vita. Con i mucchi di neve Marcovaldo crea strade tutte sue. Trasformato in pupazzo di neve da un carico di tre quintali piombatogli addosso dalle tegole, ne esce con un forte raffreddore. Per una tromba d'aria provocata da uno starnuto di Marcovaldo tutta la neve viene risucchiata in su e il cortile si ripresenta con le cose di tutti i giorni, spigolose e ostili.
Da un vecchio ritaglio di giornale, usato per incartare il panino, Marcovaldo scopre come poter curare i reumatismi con il veleno d'api; manda così i figli a catturare tante vespe, credendo che l'effetto sia lo stesso, e allestisce un ambulatorio medico in casa. Sennonché, a causa dell'imprudenza del figlio Michelino, che viene inseguito fino a casa da un nugolo di vespe inferocite, finiranno tutti all'ospedale, ma se la caveranno.
Marcovaldo va sulle rive del fiume con i suoi figli per fare sabbiature che lo curino dai reumatismi. I figli muoiono dalla voglia di andarsi a buttare nel fiume, ma c'è un cartello con la scritta: "Pericolosissimo bagnarsi" poiché è facile annegarvi. Marcovaldo, disteso su un barcone, li richiama perché lo ricoprano con sabbia, lasciandogli solo il viso scoperto. Sciolti gli ormeggi, Marcovaldo si ritrova a navigare per il fiume con il sole che batte e, dopo un rapido spostamento, sbarca su una massa di bagnanti con salvagenti, canotti, ciambelle, materassini, barche. Neanche una goccia d'acqua lo bagnerà.
Per la pausa di mezzogiorno, Marcovaldo si porta il cibo da casa in una pietanziera. A lui viene sempre l'acquolina in bocca ogni volta che svita il coperchio della pietanziera, ma resta sempre deluso perché la moglie Domitilla gli prepara la pietanziera con gli avanzi della sera. Un giorno la moglie ha comprato tante salsicce per motivi suoi e per tre giorni di seguito Marcovaldo si ritrova con le salsicce della sera prima, finché, stufo delle solite salsicce, baratta il suo cibo con quello di un bambino: fritto di cervello. A un certo punto arriva la governante che protesta, perciò Marcovaldo deve restituire il fritto di cervello al bambino, raccogliere la pietanziera gettata via dalla governante e ritornare al lavoro.
Una sera d'inverno molto fredda, viene a mancare la legna per la stufa. Marcovaldo decide di uscire in cerca di legna ma, trovandosi in città, ne trova molto poca. Al suo ritorno a casa trova il caminetto funzionante: i figli, usciti anch'essi per cercare legna, hanno trovato dei cartelli pubblicitari, e li hanno scambiati per alberi dato che, nati in città, non hanno mai visto un vero bosco. Allora, seguendo le indicazioni dei bambini per il "bosco", Marcovaldo comincia a tagliare con la sega il cartellone ma viene sorpreso dall'agente Astolfo che, essendo assai miope, lo scambia per un'immagine pubblicitaria...
Il dottore dice che i bambini di Marcovaldo hanno bisogno di respirare un po' d'aria buona, a una certa altezza, di correre sui prati. Sulla collina della periferia della città c'è l'aria buona. Da lassù la città appare triste e plumbea. Parlando con alcuni degenti del sanatorio che sta sulla collina, Marcovaldo capisce come essi invece desiderino la città, non potendoci tornare a causa della loro salute.
L'estate in città è particolarmente afosa e Marcovaldo, non riuscendo a dormire nel seminterrato troppo angusto in cui vive con tutta la sua famiglia, ascolta i rumori notturni della città. La finestra è aperta, e l'orecchio sensibile del protagonista coglie, nei rumori ovattati dei rari passanti, un sentore di solitudine umana. Marcovaldo si sente solidale nei confronti di chi, come lui, sogna di evadere dall'oppressione urbana, e di alleviare il peso di una condizione economica familiare in bilico. Ed ecco che un suono di campane, un latrato di un cane, un rumore che assomiglia a un muggito, accendono la curiosità del manovale che, accompagnato dai figli, si precipita in strada per assistere a un evento inusuale: una mandria di mucche che attraversano la strada, guidate dai pastori verso le montagne. Solo di notte può avvenire questo tipo di intrusione anomala per la realtà cittadina e industriale, in cui la natura è soffocata dal cemento e dai fumi insalubri dell'esistenza contemporanea. Michelino, il più grande dei figli di Marcovaldo sfugge all'attenzione del padre e segue quei curiosi animali. Nei giorni successivi Marcovaldo apprende che il figlio sta bene e sta trascorrendo le giornate sulle montagne, ed è così che Marcovaldo invidia quasi Michelino, immaginando il figlio disteso sui prati al fresco, cullato da una natura generosa e prodiga di armonia e serenità. Al ritorno, però, Michelino fa emergere come la vita contadina sia altrettanto dura di quella urbana, dominata dalla fatica e dallo sfruttamento del lavoro che spegne ogni ardore e ogni possibilità di contemplazione di una natura che si rivela avara.
Marcovaldo ruba, in un ospedale, un coniglio che è contaminato da virus, in quanto vorrebbe ingrassarlo per mangiarlo a Natale, o magari fare un allevamento, ma viene subito ricercato, e nel frattempo il coniglio scappa. Abituato alla gabbia, l'animale è disorientato: si aggira sui tetti, inizialmente attratto da chi se lo vuole mangiare, poi quando si sparge l'allarme viene cacciato o preso a fucilate. Il coniglio a un certo punto decide di farla finita e si lascia cadere nel vuoto, ma finisce dritto tra le mani di un pompiere che lo carica su un'ambulanza. Caricato sull'ambulanza, si ritrova in compagnia di Marcovaldo, sua moglie e i suoi figli, ricoverati in osservazione per una serie di vaccini.
A Marcovaldo piace molto il cinema, un modo per fuggire dalla monotonia della città e immaginare di vivere molte avventure. Una sera, uscendo dal cinema, si trova immerso in una nebbia fittissima. Va alla fermata del tram, e prende il 30, ma non si vede niente e, sceso dal tram quando crede di essere arrivato, si rende conto di aver sbagliato la fermata. Comincia a camminare, ma non riconosce niente: è perduto. Dopo essersi ubriacato in un'osteria mentre cerca di chiedere informazioni arriva in un posto strano con luci nel suolo, che gli indicano la direzione fino a uno strano autobus. Entrato sul mezzo, e messosi a proprio agio, Marcovaldo scopre che non è un autobus: è un aereo che va a Bombay, Calcutta e Singapore!
Marcovaldo, per fornire alla famiglia cibi non passati tra le mani di speculatori, cerca un posto dove l'acqua sia pura e non inquinata e i pesci sani e non avvelenati. Un giorno, in un fiume vicino al suo luogo di lavoro, Marcovaldo vede degli uomini pescare dei pesci. Una mattina presto va al fiume prima del lavoro, e pesca molte tinche. Sulla strada del ritorno, viene fermato da una guardia che gli impone di ributtare in acqua i pesci perché quell'acqua è inquinata dalle vicine fabbriche di vernice: ecco perché quell'acqua è di un azzurro così vivo. Marcovaldo rovescia la sporta piena di pesci nel fiume. Qualche tinca, ancora viva, guizza via tutta contenta.
Marcovaldo e la sua famiglia vivono la notte a intermittenza, passando ogni venti secondi dalla luce dell'insegna pubblicitaria lampeggiante al neon della Spaak-Cognac, situata sul tetto di fronte, al chiaro di luna, ricercando costellazioni, quando l'insegna è spenta. Una sera, mentre Marcovaldo cerca di illustrare ai figli le varie costellazioni, Michelino, guerriero armato di fionda, lancia una raffica di sassolini contro l'insegna. Passano venti secondi e l'insegna non si riaccende più, quindi tutta la famiglia viene proiettata nello spazio buio e infinito, nella notte vera, illuminata solo dalla luna. Il sogno dura molto poco e la mattina seguente arrivano gli elettricisti. Nel frattempo alla mansarda di Marcovaldo si presenta un agente pubblicitario, il dottor Godifredo, che dichiara di lavorare per la principale concorrente della Spaak-Cognac, la Cognac-Tomawak. Marcovaldo quindi firma un contratto che prevede la distruzione, da parte dei suoi figli, dell'insegna rivale ogni volta che questa verrà riparata. La Spaak, travolta dai debiti per le continue riparazioni, fallisce, quindi la Luna torna a splendere nel cielo di Marcovaldo fino a quando non arrivano gli elettricisti che montano la nuova insegna "Cognac-Tomawak", più grande e luminosa e che lampeggia molto più velocemente (ogni 2 secondi anziché ogni 20), che segna la sconfitta di Marcovaldo e la vittoria della Natura artificiale.
Nella ditta in cui lavora, Marcovaldo si occupa di una piantina posta nell'atrio. Messa in cortile, la pianta trae ogni giorno profitto dalla pioggia. Marcovaldo, per non trascurarla, la porta a casa; attraversa la città portando la piantina sulla sua bicicletta, inseguendo le nuvole. Nel giro di un fine settimana, la pianta cresce tanto da sembrare un albero. Diventata ingombrante nell'ingresso della ditta, Marcovaldo viene costretto dal suo capo a restituirla al vivaio in cambio di una più piccola e ricomincia la corsa per la città senza decidersi a imboccare la strada del vivaio. Cessata la pioggia, la pianta è come sfinita per la troppa acqua piovana. Ad una ad una lascia cadere le sue foglie che ingialliscono senza che Marcovaldo se ne accorga. Quando questo si ferma, si gira e si rende conto che della pianta non resta che un tronco privo di foglie.
Marcovaldo, insieme alla sua famiglia, dopo il lavoro si dirige al supermarket ma non avendo soldi si limita a girare per i reparti senza comprare nulla. Un giorno gli viene l'impulso di riempire il carrello solo per il gusto di averlo pieno, ma quando viene annunciata l'imminente chiusura del supermarket la famiglia si precipita a svuotare i carrelli. Tuttavia la tentazione di riempirli è tale che più li svuotano e più li riempiono, finché non vedono che in una parte del supermarket ci sono lavori di ampliamento e svuotano i carrelli nella benna di una gru.
Ogni giorno il postino depone nelle cassette della posta un sacco di lettere. Tranne per Marcovaldo perché nessuno gli scrive mai: se non fosse ogni tanto per un'ingiunzione di pagamento dell'energia elettrica o del gas, la sua cassetta non servirebbe proprio a niente. I figli di Marcovaldo pensano di arricchirsi accaparrandosi, per poi rivenderli, i buoni pubblicitari dei detersivi che danno il diritto a ritirare campioni gratuiti. Però l'operazione fallisce. Le cose si complicano; la trasformazione dei buoni in merce va per le lunghe. Tra gli incaricati delle ditte inoltre non tarda a spargersi la voce dell'esistenza di una concorrenza sleale. Da un momento all'altro il detersivo diventa pericoloso come dinamite e per sbarazzarsene i bambini gettano la polvere nel fiume. Il sapone, sciogliendosi, diventa schiuma che, sotto l'azione del vento, libera bolle di sapone nell'aria, le quali a loro volta si confondono con il fumo nero delle ciminiere. Poi le bolle svaniscono e non resta che il fumo nero delle ciminiere.
Ad agosto la città è vuota, nessuno le vuole più bene, ed è tutta per Marcovaldo. La domenica mattina, in giro, si ritrova in una città diversa, dove può camminare in mezzo alla strada e attraversare con il rosso. Prende a seguire una fila di formiche, il volo di un calabrone. La città sembra occupata da abitatori fino allora sconosciuti. Marcovaldo capisce che il piacere non è tanto fare tutte quelle cose insolite, quanto il vedere tutto in un altro modo: le vie come fondovalli, o letti di fiumi in secca, le case come blocchi di montagne scoscese, o pareti di scogliera. Ma si imbatte in una troupe che gira un servizio giornalistico. A Marcovaldo sembra, per un momento, che la città di tutti i giorni abbia ripreso il posto di quella, per un momento, intravista o forse solamente sognata.
La città dei gatti vive dentro alla città degli uomini. Una volta le due città coincidevano, uomini e gatti usavano gli stessi luoghi; oggi gli itinerari dei gatti devono sfruttare i passaggi lasciati tra palazzo e palazzo, a causa del forte traffico. Marcovaldo è amico di tutti i gatti che incontra e riesce a intuire legami, intrighi, rivalità tra loro. Un giorno un suo "amico soriano" lo porta alla scoperta di un grande ristorante. Trascurando gli inviti del gatto che vuole guidarlo verso la cucina, Marcovaldo vede che al centro del salone c'è una peschiera dove nuotano le trote che dovranno essere cucinate; getta una lenza, cattura un pesce ma il soriano lo acchiappa in un baleno. Inseguendo il gatto giunge fino al giardino di una vecchia casa in rovina in mezzo alla città, piena di gatti. Marcovaldo suona alla porta per avere indietro la sua trota; dalla finestra si intravede un volto che a Marcovaldo sembra quello di un gatto. La vecchia padrona di casa è decisa a non ridargli alcunché e gli racconta che vorrebbe cambiare casa, ma i compratori sono spaventati dai gatti. Marcovaldo si accorge che è tardi e torna al lavoro. L'inverno successivo, i miagolii dei gatti attirano l'attenzione dei passanti: la vecchietta è morta. La primavera successiva iniziano i lavori per la costruzione di un moderno palazzo, ma i lavori sono continuamente ostacolati dai gatti e dagli altri animali della zona, che sembrano opporsi all'avanzare del cemento, a difesa del loro ultimo luogo di ritrovo.
Marcovaldo per conto della Sbav gira porta a porta vestito da Babbo Natale a portare regali, accompagnato dal figlio Michelino che è deciso a fare un regalo a un bambino povero. Dopo aver fatto visita al figlio di un noto industriale, viziato e tanto ricco quanto solo e triste, Michelino, non avendo ben chiaro il concetto di bambino povero, ne riconosce uno in lui, così gli regala un martello, un tirasassi e dei fiammiferi con cui inizia a distruggere con gioia tutta la ricca casa. Il giorno dopo Marcovaldo si presenta al lavoro temendo di essere licenziato in tronco per l'accaduto, invece viene a sapere che l'industriale padre del bambino viziato è rimasto fortemente colpito da quei regali, gli unici in grado di far divertire suo figlio, tanto che la Sbav il giorno stesso cambia tipo di produzione lanciando il «regalo distruttivo», che tra l'altro ha anche il pregio di distruggere altri oggetti «accelerando il ritmo dei consumi e vivacizzando il mercato».
Marcovaldo è stato portato sul piccolo schermo nel 1970 con la regia di Giuseppe Bennati.[1] Nelle sei puntate trasmesse su Rai 2, il protagonista viene interpretato da Nanni Loy. Nel cast figurano anche Daniela Goggi, Arnoldo Foà, Didi Perego. Le musiche sono di Sergio Liberovici, eseguite dalla Traditional jazz Studio-Praha e da Silva e i Circus. La canzone dei titoli Tran tran è cantata da Nino Ferrer e Silvana Aliotta.
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