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La manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa attiene alle tecniche con cui soggetti interessati creano un'immagine pubblica o un argomento che favorisca i loro interessi particolari, a discapito del conclamato intento di servire soltanto l'interesse pubblico.
Si tratta di tecniche che possono utilizzare paralogismi, propaganda e teorie del complotto; spesso includono atti di eliminazione di informazioni o di opinioni caratterizzate da terzietà, mediante il sovraffollamento intenzionale delle informazioni offerte nella medesima unità di tempo o di spazio, secondo tattiche di diversione dell'interesse dell'opinione pubblica. Anche quando esse non si sostanziano in veri e propri depistaggi - volti a distogliere l'attenzione dalle malefatte del potere - esse determinano una "spirale informativa" tale da confondere, a volte, ciò che è fondamentale da ciò che è accessorio.
Quando si approfitta della sete inestinguibile degli elettori di informazioni su coloro che li rappresentano, ad esempio, la delegittimazione attraverso la vita privata assume una connotazione specifica: «essa proviene semplicemente dal lavoro di rivelazione svolto dai media che, meccanicamente, fanno emergere informazioni negative dalla massa di immagini, testi, servizi, inchieste e confidenze che essi raccolgono e trasmettono»[1].
Benché i giornalisti siano i primi gestori del materiale informativo, non sempre è ad essi che può ascriversi l'origine o la responsabilità consapevole dei casi di manipolazione del mezzo di comunicazione di massa.
Il flusso informativo, talvolta, ha origine presso organizzazioni complesse (organi politici o di governo, aziende private, istituti scientifici) dotate di una competenza specifica e, pertanto, di non immediata verifica[2]. Spesso si tratta di organizzazioni dotate di spin doctor, autorizzati a relazionarsi direttamente con la stampa.
Benché anche queste organizzazioni possano essere autonomamente soggette ad obblighi di terzietà o di imparzialità (è il caso delle amministrazioni pubbliche), le loro attività di divulgazione di informazioni non sono sottoposte al codice deontologico del giornalista: ecco perché attività manipolatorie hanno talvolta origine al di fuori dell'organo di stampa. Questo se ne potrebbe fare tramite per cattiva professionalità dei suoi esponenti o per timori della sua dirigenza nei confronti di potentati politici od economici in grado di influenzare la proprietà della testata giornalistica.
Un'altra fonte di rischio è quella derivante dalla disintermediazione, "che è una spinta potentemente alimentata dai social, certo, ma che al tempo stesso ha a che fare con la (...) comunicazione politica. Il potere politico tende a voler eliminare gli intermediari che si frappongono tra la sua voce e i cittadini. Tutto questo è cosa buona e giusta. Ma la disintermediazione impone uno scotto da pagare, laddove contribuisce a fiaccare una professione, quella giornalistica, che può essere l’unico efficace baluardo alla post-verità, posto che la sua ragion d’essere risiede nel garantire all’opinione pubblica che l’informazione non si annulli nella propaganda"[3].
Per quanto riguarda l’Italia in Numero zero Umberto Eco dichiarò: "mi sono ispirato al caso di quel magistrato, Raimondo Mesiano, giudice del Lodo Mondadori, che nel 2009 fu messo alla gogna solo perché fumava e portava calzini turchesi. È il classico esempio di macchina del fango: parlare di un particolare senza alcun rilievo per screditare un avversario"[4].
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