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La Porcellana Ginori a Doccia è stata una delle più prestigiose manifatture di porcellana europea. Nasce per volontà del marchese Carlo Ginori nel 1737, in una villa di sua proprietà a Doccia (oggi inglobata in Sesto Fiorentino). I discendenti di Carlo Ginori continueranno ad esserne i proprietari e a dirigerla fino al 1896, quando avverrà la fusione con la Società Ceramica Richard di Milano.
«Lo sviluppo artistico della Manifattura di Doccia si presenta particolarmente articolato e [...] specchio delle differenti situazioni storiche e culturali che si avvicendarono nella storia della Toscana nell'arco di circa centocinquanta anni, dalla caduta degli ultimi Medici agli anni di Firenze Capitale».[1]
«In questa ricerca delle terre io mi sono principalmente servito del Fuoco come pietra di Paragone ed invero la mia occasione richiese comunemente un possibile attivissimo fuoco, poiché col fuoco ordinario da fondere vi è poco da conseguire, il Fuoco qui è l'Ottimo Analista[2]»
La manifattura Ginori inizia la propria attività nel 1737 a Doccia, località a pochi chilometri dall'antico borgo di Sesto Fiorentino,[N 1] nella villa che il marchese Carlo Ginori acquista all'inizio di quello stesso anno dal senatore Francesco Buondelmonti (1689 – 1774) limitrofa alla villa avita della sua famiglia. Nel mese di luglio del 1737 dai forni della manifattura esce una prima cotta; a sovrintenderla c'è il fornaciaio romano Francesco Leonelli, che lascia Doccia tra l'agosto e l'ottobre 1738.[3]
Questi primi risultati sono il frutto delle ardite sperimentazioni che lo stesso marchese, conoscitore di testi alchemici e chimici[N 2] e chimico egli stesso,[N 3] metterà in atto. Inoltre alla formazione chimica di Carlo Ginori contribuisce significativamente anche l'intima amicizia con Giovanni Targioni Tozzetti, al punto che quel profondo rapporto ha erroneamente suggerito nel passato, per l'eminente naturalista fiorentino, il ruolo di arcanista[N 4] nella manifattura Ginori agli inizi della sua attività. Questo è confermato dallo studio della documentazione nell'archivio Ginori che individua in Carlo "il solo ed unico arcanista"[2] all'interno della manifattura.
A testimonianza dell'infaticabile ricerca sulla porcellana scriverà un fascicoletto intitolato Teoria degli ingredienti atti a fare la porcellana in cui annota esperienze fatte in fabbrica, inquietudini, aspettative personali, conoscenze di chimica e critiche ai testi chimici e alchemici noti.[2]
In tal senso egli sovrintenderà sempre, per tutto l'arco della sua vita, alla composizione degli impasti, al reperimento delle migliori terre, tra cui quelle più adoperate provenienti dalla Valle del Tretto presso Vicenza[N 5] e da Montecarlo,[N 6] alla messa a punto dei forni, con la sua diretta presenza o tramite relazioni precise e curando, anche da lontano durante i frequenti viaggi,[N 7] il buon andamento di tutto il processo di preparazione e cottura.
I tentativi iniziali riguardano quasi certamente soltanto maioliche e forse qualche timida prova per ottenere la porcellana, la produzione della quale viene rammentata per la prima volta il 6 luglio 1739, quando si registra un pagamento "a Fornacjai delle porcellane".[3] Sarà Joannon de Saint Laurent, erudito lorenese e stretto collaboratore di Carlo prima e di Lorenzo Ginori dopo,[10] ad attestarci che: "[..] la fabbricazione della porcellana è l'oggetto principale dell'impresa, mentre quella della maiolica non è che un puro accessorio ritrovato dalla felice memoria del signor marchese Carlo per sostenere più felicemente la prima".[11]
Si conferma, quindi, che la sperimentazione sulla porcellana viene inizialmente supportata economicamente dalla produzione e dalla vendita della maiolica e, nel citare la "felice memoria", la familiarità e l'attenzione per la ceramica che aveva nutrito Carlo in ambiente familiare sin dall'età giovanile.[N 8]
Le prime porcellane di Doccia databili risalgono al 1740: si tratta di alcune tazzine finemente dipinte dal capo pittore della manifattura, Johann Carl Wendelin Anreiter von Zirnfeld, e da questi portate a Vienna, per essere donate al futuro Granduca di Toscana, Francesco Stefano di Lorena, come per la prima volta aveva rammentato nel 1963 Leonardo Ginori Lisci.[13] Il viaggio dell'Anreiter è carico delle speranze di Carlo Ginori volte ad ottenere dal Granduca "[..] la sospirata privativa per la produzione di porcellana nel Granducato di Toscana", che avviene il 3 marzo 1741 tramite il presidente del consiglio di reggenza Marc de Beauvau, principe di Craon.[14]
Carlo Ginori aveva convinto il giovane Carl Anreiter[15] a seguirlo a Firenze nel 1737 in occasione del suo viaggio a Vienna per rendere omaggio al nuovo Granduca di Toscana; si tratta di un pittore di notevoli qualità: nasce a Schemnitz, l'attuale Banská Štiavnica in Slovacchia, da genitori di Bolzano, città dove passa tutta la fanciullezza; eseguiti studi artistici, si trasferisce nella capitale austriaca dove entra come decoratore stipendiato nella manifattura di Claudius Innocentius du Paquier, per operare, poi, come Hausmaler.[16][N 9]
Lo assume con regolare contratto sia come pittore in prima persona sia come capo dei pittori per "dorare, e dipingere di smalto sopra terre, porcellane, ed altro,[N 10] e per insegnare tutto quello che sa a chi gli sarà ordinato dal predetto Sig. Co. Ginori", giunge a Firenze con la moglie ed i figli; tra questi Anton Anreiter, che sarà un ottimo pittore su porcellana prima a Doccia poi a Vienna.[N 11]
Il marchese Carlo Ginori, personalità di spicco nel panorama europeo della prima metà del Settecento, a livello politico, scientifico e culturale, si contorna immediatamente di elementi che in breve tempo porteranno la Fabbrica da lui fondata a rivaleggiare, per qualità stilistica e formale, con quelle più importanti in Europa.
Fra quelli degni di nota:
L'idea del marchese Carlo di dare una continuità ed una omogeneità artistica e produttiva alla manifattura si percepisce in particolare dal costante tentativo di creare una scuola all'interno della fabbrica, dove maestri sono gli stessi artisti ed allievi le maestranze più valide e volenterose, e dalla circostanza che Carlo Ginori riesce anche a far riservare due posti per i più promettenti giovani alla famosa Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.[22]
Per comprendere appieno il genio industriale del marchese Ginori, occorre ricordare che la fabbrica viene impiantata utilizzando per la quasi totalità i coloni della fattoria di Doccia, che divengono in breve tempo pittori, tornitori, fornaciai, manipolatori di paste con risultati sorprendenti.
Quanto alle famiglie decorative in uso alla manifattura Ginori nel primo periodo, Alessandro Biancalana rileva la presenza d'inventari non esaustivi da cui trarre notizie per le varie tipologie decorative. Infatti ritiene che "Il primo di tali elenchi è quello contenuto nell'Inventario delle porcellane e Maioliche ritrovate in essere questo dì 25 ottobre 1743 nel Magazzino in mano a Giuseppe Sarti".[23]
Nel tempo si è tentata più volte una codifica di queste decorazioni, trovandosi spesso di fronte a qualche decoro che non era riconducibile a nessun oggetto, o documento conosciuto, ma se si vuole tentare di trovare un filo conduttore nello studio di tali decorazioni, si devono tenere presenti diversi fattori: le prove vere e proprie, la presenza di pezzi unici, la genialità e l'estro dei pittori più bravi, le commissioni patrizie e gli ordinativi delle corti, i rimpiazzi eseguiti in fabbrica e gli elenchi redatti in manifattura.
Fra i decori più diffusi: il decoro "a stampa", oggi comunemente definito "a stampino", rigorosamente in bianco/blu, e uno dei primi eseguiti dalla Fabbrica di Doccia, "a galli" (in nero/rosso/oro, in blu/oro e in verde) di chiara derivazione asiatica, a "ciocchetti di fiori", quello detto "alla sassone" e "a tulipano"; si tratta, in questi ultimi due casi, di una definizione moderna, che non trova riscontro negli elenchi di fabbrica. Sono fra i più ricercati e frutto, in alcuni casi, della contaminazione sia con le tipologie di derivazione orientale, sia con i temi di battaglia (per quest'ultimo la d'Agliano, propende più per un'autonoma interpretazione di Carl Wendelin Anreiter) sperimentati con successo a Meissen (di esempio le pitture in oro di Johann Gregorius Höroldt) sin dal 1723:[N 14] il decoro "a paesi rossi", "a chinesi tutti ad oro ricchissimo",[N 15] "a palazzi chinesi",[N 16] "a bassorilievo istoriato" e all'orientale con le rarissime figure di "Turchi" ispirate alle tempere di Jacopo Ligozzi,[25][26] tutti tipici fin dai primi anni. Le fonti più certe per uno studio scientifico dei decori sono senza dubbio quelle che si ricollegano agli elenchi di produzione e di vendita, redatti nei vari periodi di vita della manifattura Ginori e quelle che si estrapolano dagli scambi epistolari.
È forse nel campo della scultura, anche di carattere religioso, che la fabbrica Ginori si caratterizza maggiormente nei primi anni di produzione, dando vita ad ardite espressioni plastiche di notevoli dimensioni realizzate dal capo modellatore Gaspero Bruschi. Egli seguendo le indicazioni di Carlo Ginori s'ispirerà ai modelli di epoca classica, in continuità con la koiné "[..] culturale classicista propria del mondo artistico fiorentino, che, per certi aspetti, anticipa di qualche decennio lo stile del neoclassicismo, formando quasi un ponte tra la scultura barocca toscana e le prime avvisaglie di quello che sarà il neo-classicismo."[N 17] Questa sarà la principale differenza fra la manifattura di Doccia e le altre manifatture italiane nella prima metà del XVIII secolo.
Costituiscono un corpus di opere pregevoli i grandi gruppi che vengono realizzati tra il 1747 ed il 1755 circa: si tratta prevalentemente di soggetti di derivazione mitologica e religiosa ed i prototipi sono spesso tratti da scultori del tardo barocco fiorentino, come Massimiliano Soldani Benzi, Giovan Battista Foggini, Giuseppe Piamontini, Girolamo Ticciati, Agostino Cornacchini,[N 18][N 19] dai quali, direttamente o dagli eredi, Carlo Ginori aveva iniziato a comprare i modelli sin dal 1737.[28] Anche gli scultori del Barocco romano, Bernini, Algardi e Pierre Legros, principalmente, anche se in misura minore rispetto ai precedenti, fungono da fonte, per le sculture di Doccia.
Ai maggiori scultori dell'epoca si aggiungono nomi di bronzisti, gessaiuoli, incisori e intagliatori a cui Carlo Ginori ricorre sia per i modelli scultorei sia per i decori a rilievo. Da Filippo Bosi a Orazio Filippini, al "noto incisore fiorentino Carlo Gregori", ad Andrea Scacciati, Gio Batta Ricchini e Jacopo Bronzoli.[29] Oltre all'amata Firenze diverse le città da cui fece pervenire modelli: Marsiglia, Lucca, Parigi e in particolare Roma dalla quale provengono, sin dai primi anni di fondazione della manifattura, molti modelli. Carlo Ginori si preoccupa infatti di inviare a Roma i suoi modellatori e gessaiuoli migliori, come Filippo Della Valle, Bartolomeo Cavaceppi e Francesco Lici, per realizzare le copie da riprodurre in porcellana; di questo intenso lavoro abbiamo una testimonianza nella vasta corrispondenza tra il marchese e l'erudito e incisore romano Guido Bottari a cui si rivolge per le sue conoscenze nella curia romana, nonché dalle frequenti e documentate spedizioni, di casse con i modelli, dalla città eterna.[30]
Inoltre si hanno notizie circostanziate sulle notevoli misure, a volte a grandezza naturale, in cui vengono realizzati i modelli tratti dalle sculture, fra le quali è noto il Crepuscolo di Michelangelo dalla Sagrestia Nuova di San Lorenzo in Firenze.[N 20]
Come già annotava nel 1932 Giuseppe Morazzoni, la manifattura di Doccia, nella dimensione delle plastiche, riuscirà ad eguagliare e forse a superare la celebrata manifattura di Meißen[N 21] in ideale continuum, specifica oggi Biancalana, con la grande tradizione fiorentina dei Della Robbia a cui il marchese Ginori guardava con ammirazione, sia per l'aspetto innovativo che li aveva portati alla ribalta del Rinascimento fiorentino con la realizzazione di grandi opere plastiche in terracotta invetriata, sia per la ricerca "scientifica" sui materiali propri all'arte figulina[N 22] di cui erano stati ottimi sperimentatori.
Richiamandosi ai Della Robbia, Carlo Ginori otteneva un duplice risultato: da una parte "svincolava così la porcellana da una funzione meramente di uso corrente e dall'altra effettuava un recupero formale ed ideologico con il Rinascimento [..] ".[32]
Di questa volontà sono testimonianza alcune realizzazioni giunte sino a noi e tra queste: il celebre gruppo di "Amore e Psiche", eseguito una prima volta dallo stesso Bruschi nel 1747 da un modello ellenistico conservato agli Uffizi e di cui si conoscono due repliche più piccole,[N 23] la "Pietà grande Corsini", la riedizione del celebre "Laocoonte", la superba "Macchina" o "Tempietto dedicato alla Gloria della Toscana"[34] per l'Accademia Etrusca di Cortona, della quale nel 1756 Carlo Ginori era diventato Lucumone, solo per citarne alcune, e i bassorilievi istoriati fra cui ben nota è la serie delle "Quattro stagioni", realizzata da Anton Filippo Maria Weber.[35]
Nei servizi per la tavola l'ingegno degli artefici della manifattura si esprime, nelle caffettiere, teiere, zuppiere, zuccheriere, sia nei ricercati esempi a doppia parete con traforo, sia nelle raffinate decorazioni impreziosite dagli stemmi araldici delle committenze patrizie.[N 24]
Molteplici sono gli esempi giunti sino a noi decorati con stemmi d'importanti famiglie patrizie: dall'Elettrice Palatina Anna Maria Luisa de' Medici ai Brignole, i Gerini e Franceschi, i genovesi Isola Marana, i Capponi, i Gozzadini e Del Vernaccia, Lignani Boccadiferro, Frescobaldi, Castelli e Pasquali a cui si aggiungono i pregevoli esempi con gli stemmi dei cardinali Ludovico Maria Torriggiani e Gianfranco Stoppani.[37]
Anche nel campo delle cosiddette "galanterie", tra cui le tabacchiere, i porta profumo e i pomi per spade e bastoni, la fabbrica di Doccia si pone su un piano di assoluta eccellenza utilizzando, fin dai primi anni di produzione, i migliori pittori per eseguire le decorazioni. Sono documentate infatti opere di Carl Anreiter, Giovan Battista Fanciullacci, Angiolo Fiaschi, Gioacchino Rigacci e Lorenzo Masini.
L'attenzione della manifattura di Doccia verso questa particolare produzione è confermata dalla creazione di un "Laboratorio degli argentieri", per rifinire in metallo prezioso tabacchiere e porta profumo, sotto la direzione di esperti: all'inizio il francese Jean-François Racein, poi il tedesco Johann Georg Komette e infine dal 1758 dopo la morte di Carlo Ginori, il figlio Lorenzo chiamerà Michele Taddei.
Certo, i primi momenti non dovettero essere facili: la difficoltà nel reperimento dei materiali, specie le terre, con la conseguente necessità di continui esperimenti, faranno sì che almeno fino alla morte di Carlo Ginori, avvenuta nel 1757 a Livorno, città della quale era stato nominato Governatore qualche anno prima, la manifattura non produrrà utili, ma solo perdite e questo nonostante l'impegno, una volta ottenuta la privativa dal principe di Craon, ad aumentare i lavoranti nella manifattura e ad incentivare l'apertura di negozi per la vendita delle sue porcellane. Il principale sarà quello di Giuseppe Sarti in Firenze inaugurato tra il 1742 ed il 1743, a cui seguono rapidamente quelli di Fallani, Montauti, Tondelli e Raugi unitamente allo spaccio in via De Ginori, sempre in Firenze.
Altre città vedono nascere punti vendita: a Lucca (con ben tre negozi), Livorno con l'importante magazzino e laboratorio, Bologna, Napoli, mentre all'estero si riforniscono, non senza difficoltà, Lisbona, Tarragona, Madrid e Costantinopoli. Inoltre l'intraprendenza del marchese Ginori lo conduce a tentare (con scarsa fortuna) sbocchi nelle Indie Orientali inviando casse di prodotti per saggiare il gradimento delle sue porcellane, ed entrare in concorrenza con quelle cinesi e giapponesi dominanti nel sud est asiatico, e da oltre un secolo importate con successo in tutt'Europa dalle diverse Compagnie delle Indie Orientali.[38]
Si riporta un elenco dei decori conosciuti (omettendo le varianti meno significative) rilevabili sia nell'Inventario delle porcellane e Maioliche ritrovate in essere questo di 25 ottobre 1743 nel Magazzino in mano a Giuseppe Sarti, sia nei tariffari del 1747 per le porcellane bianche e policrome oltre a quelli riscontrabili negl'inventari redatti alla morte di Carlo Ginori nel 1757. Da tutti sono naturalmente escluse le produzioni particolari, e quindi fuori catalogo, eseguite per le committenze patrizie. In corsivo quanto risulta dagli antichi inventari, virgolettate le titolazioni recenti:
Le fogge[N 26] traggono spunto da tre modelli scultorei: una scultura in marmo di derivazione ellenistica, un bronzo di Massimiliano Soldani Benzi e uno del Foggini. A conferma compare nella corrispondenza epistolare di fabbrica menzione di due dei tre modelli: "Si sta mettendo insieme il Gruppo di Amore e [P]Siche che non è riescito cattivo [..]" e più avanti "Il gruppo della Capra va adesso in fornace e cotto si manderà subito quello di Amore e Psiche non riesce cattivo, di egual colore e saldo, salvo che le teste non si accostano quanto l'originale, ma però pole stare."[55]
Della buona riuscita dei diversi modelli Carlo Ginori chiede conto più volte al Bruschi durante il 1747 e l'attesa è testimoniata da una lettera in cui spera che "L'Amore e Psiche sia bene riescito, e messa assieme de due quello che riescirà meglio [..]".[55]
Probabilmente trova la sua fonte iconografica in un bronzo di Giovanni Francesco Susini e ricalca una cera di Vincenzo Foggini come scritto nell'inventario settecentesco: "[..] Gruppo dell'Aoconte[N 27]. Del Foggini con forme. Pezzi 24."[N 28]
Trae la foggia da un modello di Massimiliano Soldani Benzi come recita l'inventario: "N° 36 Adone e Venere. Di Massimiliano Soldani in cera con forma."[60]
Noto è il gruppo in porcellana bianca nelle collezioni del Museo Stibbert che alla base, poggiante su piedi a zampe leonine, reca un cartiglio con scritto "MATRIS SUPERBI LUIT"; è inscritto "tra i modelli, nella Quarta stanza ed è citato come gruppo rappresentante Andromeda che è divorata dal mostro marino, di cera. Del Soldani [Benzi] con forma [..]."[64]
Diverse sono le realizzazioni di questo soggetto più volte replicato nel primo periodo e la più significativa è conservata al Museo Stibbert. Il gruppo di Leda con il cigno nasce in coppia con quello di Andromeda e l'orca,[65] con il quale ha in comune la foggia della base con cartiglio e in questo la scritta "RTIUM MEDITATUR AMOREM JUPPITER".[N 27] "Il modello si trova nella Terza stanza al N1 Gruppo di Leda con alberi, e cigno, e con un putto in ginocchioni sopra il d.[ett]o Cigno in cera con forme. Del Soldani [Benzi] [..]."[65] Altrettanto note altre due versioni di cui una più piccola di questo soggetto. Per quelli più grandi sono conservate nei musei sia le cere sia i bronzi di Soldani Benzi. Per quello piccolo gli artisti docciani si sono ispirati ad un'opera di Luca della Robbia.[66]
"[..] due importanti gruppi scultorei, entrambi rappresentanti questo mito e derivati sempre da un modello di Soldani Benzi [..]" sono uno al Museo del Castello Sforzesco a Milano, l'altro al Museo di Villa Cagnola a Gazzada Schianno. Da notare, in un inventario, l'erronea attribuzione del modello a Girolamo Ticciati.[67]
Di questa celebre opera si conoscono due versioni policrome e una bianca. Le due policrome sono conservate al Los Angeles County Museum of Art ed al Nationalmuseum di Stoccolma. Quella bianca nella collezione Corsini. A questi gruppi fa riferimento un documento del 1744:
«[..] incirca alla Pietà, è fatta la base in sorbo scorniciata ed è messo insieme il Piano, con il Sepolcro, salvo che le figure, siccome ancora il monte Calvario è messo insieme e attaccato la quale Lo consegnerò al signor Bruschi per farci i pezzi che ci abbisognano[N 29]»
«Abbiamo sentito l'intenzione del Signor Senatore Padrone in quanto a attaccare i rapporti avanti alla statua dell'Arrotino. Bisogna prima sapere che quando si sforna un pezzo così Grandi si dura fatica a reggerlo che Bisogna subito tagliare i pezzi, poi essendo sottili e fragili per esser Grandi, non ci vien permesso il padronarli più, in questo caso mi pare si farebbe dei rapporti alla cieca, senza sapere di dove si partono in alcuni luoghi facili come sarebbe le Braccia gli vado facendo, poi resta difficile essendo secco che non si polle attaccar bene [..]; essendo cotto se qualche pezzo sbieca sarà difficile accomodarlo [..] insomma a voler far questo Bisogna farlo avanti di metterlo in pezzi, quando è fresco e intero che si vede cosa si fa [..] questo è quanto mi pare per fare con giudizio e reflessione.»
Merita un accenno la produzione dei bassorilievi istoriati che per le opere più note, fra cui "Le quattro stagioni" già menzionate, ha i riscontri sia nelle "Quattro stagioni" eseguite da Soldani Benzi[N 35] tra il 1708 ed il 1711, su commissione di Ferdinando de' Medici, sia nelle opere di Giovan Battista Foggini e nelle fonti d'archivio.
I bassorilievi sono realizzati a Doccia principalmente dal Weber, e per i modelli in gesso si distingue Girolamo Cristofani.
Nel loro insieme i bassorilievi della manifattura Ginori, che in passato erano stati ascritti erroneamente alla fabbrica di Capodimonte, si esprimono in una molteplicità di soggetti: Il Giudizio di Paride, Plutone che rapisce Proserpina, Il trionfo di Galatea, Sileno sull'asino, Il saettamento dei Niobi, Il carro di Cerere, Ermafrodito e la ninfa Salmace, Liriope e Narciso, La caduta dei Giganti, Marsia scorticato da Apollo, Il trionfo di Bacco, Nettuno con cavalli Marini, Fetonte sul carro del sole, La caccia di Meleagro, Il banchetto degli dei.[78]
Fra i soggetti celebrativi "un posto a sé spetta ai ritratti dell'imperatrice Maria Teresa e di suo marito Francesco Stefano",[79] di cui si conoscono esemplari in porcellana bianca e policroma.[N 36]
Anche nei cammei dal modellato simile a quello dei bassorilievi, le maestranze di Doccia raggiungono un ottimo risultato, come si evince da quelli realizzati per la "Macchina per l'Accademia etrusca di Cortona",[N 37] il vaso con medaglie raffiguranti le duchesse di Lorena, le placchette con le raffigurazioni dei Cesari e i filosofi dell'antichità classica, nonché nelle tabacchiere e i soggetti a doppia parete, con l'apparire di cammei nei rilievi delle loro fogge.[78]
I cammei ed i bassorilievi non saranno eseguiti soltanto in porcellana bianca e per le committenze prestigiose si metteranno all'opera i più bravi pittori, fra i quali emerge la figura di Giuseppe Romei (dal 1742 al 1752), anche se sono note raffinate interpretazioni policrome firmate da Carl Wendelin Anreiter, il miglior pittore di Doccia nel primo periodo.[N 38]
Certamente non ultimi, per l'impegno profuso dalle maestranze di Doccia nel realizzarli, sono gli elaborati Trionfi, spesse volte policromi, che arricchiranno ulteriormente le sontuose tavole imbandite, rivaleggiando degnamente con quelli prodotti dalle manifatture europee di Meißen, Vienna e Sèvres.
La produzione di questi compositi esemplari richiederà tuttavia un tale dispendio di mezzi che la manifattura Ginori dopo il 1760 li andrà gradualmente eliminando dai cataloghi della manifattura. Si dividono in "Deser" o "Deserre", "Sartù"[N 39] o, nelle forme più piccole, "Digiuné", composti il più delle volte da numerosi pezzi. Fra i soggetti celebri: "Sartù a forma di nave a lido, [..] con architettura con ringhiere, torre, ponti, colonne, fauni, vasi, statuine, caramoggi, panierine, Sartù rappresentante un'Architettura di rustico con piano di cristallo, quattro figurine e nove vasetti, Deserre rappresentante favole composto in tre pezzi con pergolati [..] fiori ed altro aggiunto ai viticci [..], Deserre rappresentante il faro d'Egitto con figure e fiori, Deserre rappresentante un Parter[N 40] con figure e gruppi".[76]
Alla morte di Carlo Ginori nel 1757, sarà con il figlio Lorenzo, superati alcuni problemi successori con i fratelli Bartolomeo e Giuseppe e grazie ad una produzione sempre maggiore e differenziata, che la manifattura Ginori riuscirà a rafforzarsi e a porre definitivamente le basi per le sue affermazioni future.
L'atteggiamento di Lorenzo Ginori con le maestranze non ha le caratteristiche paterne di un pieno coinvolgimento. Infatti, afferma Biancalana, Lorenzo non appare "direttamente inserito nei processi produttivi e non vi è una comunanza con le problematiche del lavoro quotidiano",[83] come le aveva avute il padre Carlo, chimico egli stesso della fabbrica e non soltanto proprietario e fondatore.
Tuttavia si preoccuperà di apportare e sollecitare esperimenti e innovazioni tecnologiche fra cui degna di nota è la sistematica introduzione a partire dal 1761 dell'utilizzo di una composizione che, partendo da un biscotto a pasta dura prodotto con componenti reperite a basso costo e con uno smalto tenero tipico della maiolica, consentirà di ottenere risultati esteticamente validi con una spesa contenuta: è quello che, successivamente, nel 1779, sarà definito "masso bastardo".
Già precedentemente, nel periodo di Carlo, si parla di "porcellana bastarda", ma si tratta di due composti decisamente diversi.[84] La manifattura Ginori utilizzò il "masso bastardo" per molti anni, finché il caolino importato dalla Francia non soppiantò progressivamente tutti gli altri; cosa che avverrà, compiutamente, solo nel primo quarto del XIX secolo.
Nel secondo periodo continuano le famiglie decorative, mutuate dal primo, anche se scema la forza espressiva del carattere tardo barocco, mentre il ductus[N 41] tende ad allinearsi con leggiadra eleganza alle istanze del gusto rococò anche se, sottolinea Andreina d'Agliano, l'influenza dello stile Rocaille a Doccia è di breve durata e "già attorno al 1770 vengono inseriti motivi decorativi anticipatori dello stile neoclassico".[85]
Diffusi i decori, "a mazzi di fiori" (il cosiddetto "mazzetto" evoluzione dei "ciocchetti"), con il motivo alla "sassone", e il "galletto" che ora verrà dipinto in blu/oro e più tardi esclusivamente in rosso/oro, a paesi rossi e, nelle diverse varianti, a soggetti orientaleggianti, per citarne alcuni fra i tanti; continua più affievolita nel colore la produzione "a stampino" e con minor campitura quella a "tulipano".
Il periodo di Lorenzo non segna particolari stravolgimenti nella produzione scultorea, se non una sua lenta e progressiva diminuzione, appena toccata dall'influsso del rococò mentre nel campo del vasellame avviene un allineamento stilistico alle mode imperanti.
Le plastiche grazie alle grandi capacità del nipote di Gaspero Bruschi, Giuseppe e, successivamente del capo degli scultori Giuseppe Ettel, succeduto alla carica nel 1780 alla morte di Gaspero Bruschi, maturano definitivamente la loro transizione verso il gusto rococò che, seppur mai così predominante come in altre manifatture europee ed italiane coeve, culminerà nell'ultimo quarto del XVIII secolo con la realizzazione di importanti gruppi, allegorici delle arti e a soggetto orientale e pastorale, di cui La raccolta delle pere, forse opera di Giuseppe Bruschi, riprodotta a fianco è un significativo esempio.
Opere di grandi dimensioni e notevole impegno vengono realizzate nel secondo periodo della manifattura Ginori; fra queste vengono ascritti a Giuseppe Ettel l'altare della chiesa di San Romolo a Colonnata, e quello della chiesa di Santa Maria e San Jacopo a Querceto.[86]
Prosegue anche la produzione di bassorilievi, come si evince dalla Maternità riprodotta a fianco, di cui è conservata la cera al Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, con esiti sensibili, siamo già al 1780, all'affermarsi del neoclassicismo.[76]
Poco prima di concludere la sua esistenza, Lorenzo Ginori riesce a dare un assetto definitivo alla futura gestione della sua fabbrica, proprio in ragione dei dolorosi avvenimenti familiari, le dispute con i fratelli, che avevano segnato, dopo la morte di Carlo Ginori, i primi anni della gestione della manifattura.
Per questo il 10 febbraio 1792 ottiene dal granduca di Toscana un "Federcommesso Primogeniale Agnatizio, nonostante i divieti contenuti nelle veglianti leggi", che in via eccezionale, assegna in perpetuo la fabbrica al primogenito della famiglia.[87]
Con quest'atto egli riesce ad assicurare alla manifattura di famiglia un passaggio successorio indolore, consentendole di concentrarsi esclusivamente nelle strategie produttive finalizzando a questo scopo tutte le risorse disponibili.
Alla morte di Lorenzo Ginori, avvenuta nel 1791, la manifattura non ebbe un successore diretto, in quanto il primogenito di Lorenzo, Carlo Leopoldo Ginori Lisci, aveva solo un anno. "Di fatto, pertanto, l'amministrazione della Fabbrica di famiglia spetta alla madre di Carlo Leopoldo, Francesca Lisci, fino alla maggiore età del figlio."[87] Tutore del bambino viene nominato lo zio Giuseppe Ginori, nonostante i difficili rapporti intercorsi con Lorenzo Ginori; sarà proprio il marchese Giuseppe a svolgere un ruolo determinante, assieme a Francesca Lisci, nella gestione ed organizzazione della manifattura.
Il periodo della tutela e quello proprio all'assunzione della diretta responsabilità da parte di Carlo Leopoldo saranno segnati da differenti atteggiamenti nei confronti della gestione della fabbrica: al primo appartiene una gestione artistica in continuità con la precedente, mentre con la maturità di Carlo Leopoldo si assiste ad un progressivo aumento del peso della famiglia Fanciullacci nelle scelte sulla conduzione della manifattura, a volte a stento frenata dalla pur forte personalità di Carlo Leopoldo Ginori Lisci.
Andreina d'Agliano e Luca Melegati individuano nel periodo di Carlo Leopoldo Ginori Lisci (1792-1837), una notevole influenza dello Stile Impero, che come logica conseguenza degli "avvenimenti politici della Toscana, entrata nell'orbita napoleonica agli inizi del XIX secolo prima con il Regno d'Etruria e poi con la diretta amministrazione di Elisa Baciocchi, granduchessa di Toscana dal 1809 al 1814 indussero il Ginori a intrattenere intensi rapporti commerciali con la Francia".[85]
Accortamente ottiene la nomina a ciambellano di Napoleone I e con questo viatico intratterrà frequenti rapporti con il direttore della Manifattura reale di Sèvres Alexandre Brogniart, uomo di notevole esperienza sia nella scelta dei materiali e nella loro migliore composizione chimica, sia nelle tecniche di cottura. Inoltre per completare le sue conoscenze farà viaggi in Inghilterra, Germania e Austria. Questo si riverbera nei meccanismi produttivi della manifattura con notevoli innovazioni tecnologiche: dalla messa a punto del forno alla francese nel 1806 "[..] che permetteva, rispetto a quelli rettangolari [fino ad allora in uso], una migliore distribuzione del calore", a quello all'italiana, tra il 1816 ed il 1818, di forma circolare a quattro piani alto dodici metri, all'utilizzo delle terre provenienti da Saint Yrieix in Francia, che provocherà il lento abbandono di quelle del Tretto e di Montecarlo.
In conseguenza anche il masso bastardo scema nell'utilizzo attestando ormai, nella produzione di porcellana, l'uso prevalente dell'impasto alla francese, con le stesse terre e la composizione chimica, utilizzati nella manifattura di Sèvres.[88]
Di concerto con i materiali anche le fogge e i decori di questo periodo testimoniano una progressiva acquisizione dei modelli francesi tipici del primo impero, e per ampliarne le tipologie nel 1821 Carlo Leopoldo, molto legato come il padre alla città partenopea,[N 43] acquista i modelli di Capodimonte e della Real Fabbrica Ferdinandea, con diritto alla riproduzione del marchio (la N coronata).
Complessivamente le scelte strategiche della manifattura Ginori si dimostrano vincenti, lasciando indenne la fabbrica di Doccia dalle ripercussioni delle guerre napoleoniche, che caratterizzeranno gli inizi del secolo diciannovesimo, proiettandosi così sul mercato industriale del secondo quarto dell'Ottocento, ben strutturata e in condizioni economiche floride.
Fra le decorazioni pittoriche prende campo il tema "a vedute" che il fiorentino Ferdinando Ammannati, già apprezzato pittore di vedute nella Real Fabbrica Ferdinandea, introduce nella manifattura Ginori, una volta giunto a Doccia nel 1809. L'Ammannati lavorerà con successo a Doccia sino al 1823, trasferendo nella manifattura di Doccia tutta l'esperienza maturata a Napoli e il raffinato gusto neoclassico della capitale borbonica.[88]
Le vedute comprenderanno rovine romane, architetture classiche, monumenti della Magna Grecia e scene mitologiche, anche sulla scorta del vasto corpus iconografico sulle aree archeologiche, con i reperti rinvenuti nella seconda metà del Settecento a Pompei, Ercolano e Stabia e diffuso attraverso celebri opere a stampa, con il ruolo determinante di Johann Joachim Winckelmann, e a cui parteciperanno i più famosi incisori del tempo: Raffaello Morghen, Paolantonio Paoli e Giovanni Volpato.
Completeranno queste rappresentazioni, vedute costiere della Campania, di Napoli, Roma e di piazze, palazzi e monumenti delle città e del territorio toscano.
Un certo rilievo ha il filone della ritrattistica di gusto neoclassico, mentre anche nel terzo periodo continuerà, con qualità ormai seriale, la produzione di servizi per la tavola decorati a "tulipano" e "mazzetto".
Non vi sono inventari nei primi anni della conduzione di Carlo Leopoldo Ginori, il primo è quello per le "sfornaciate" del 1812 da cui si rileva inequivocabilmente l'acquisizione, per le varie tipologie di decori a contorno dei motivi principali, dei caratteri propri allo stile impero: "gridellini", "meandri", "fasce", accorpando in questi nomi vari decori.
Le caratteristiche applicazioni plastiche di mascheroni, sfingi alate e leonine, a forma equina, d'oca, d'aquila, serpente, delfini e arpie, per citarne alcuni fra i tanti, completano nelle fogge i soggetti pittorici facenti parte del repertorio di derivazione classica e non solo.
Ne troviano conferma nell'inventario: "Vaso Etrusco dipinto con meandro d'oro a bassorilievo Velato, Festoni di Perle, e Cigni Bruniti e Velati, Piede, Coperchio tutto dorato." [..] "Bussolotti e piattini a Tegamino dipinti con Cartello nero, entrovi figure Bucchero, meandro d'oro e bordi d'oro, [..] Barca di Caronte a chiaro scuro, [..] Piattino con Mottetto Francese e Geroglifici Guerrieri, [..] Aquile brunite a Sgraffio, [..] con Ritratto di Napoleone [..] piattino con ritratto della Gran Duchessa miniato"[90] e molti altri sulla stessa scia iconografica.
Altri artisti giungeranno a Doccia nei primi anni dell'Ottocento: il francese Giovanni David, il ginevrino Franc Joseph de Germain e il miniaturista Abraham Constantin, proveniente dalla manifattura di Sèvres, che fu maestro di Giovanni Crisostomo Fanciullacci, figlio di Giovan Battista già tra i migliori pittori e ministro della fabbrica dei Ginori.[89]
Le realizzazioni plastiche rallentano notevolmente nel periodo di Carlo Leopoldo appena bilanciate dall'introduzione del biscuit che, già in uso nella fabbrica borbonica napoletana, non aveva avuto fortuna a Doccia con Lorenzo Ginori.
La produzione docciana in biscuit si concentra in statuine e gruppi realizzati su modelli della Real Fabbrica Ferdinandea con soggetti tratti primariamente dal repertorio archeologico. Nella produzione in biscuit, sempre di buon livello esecutivo, si distinguono raffinate tazzine con il ritratto di Elisa Baciocchi sorella di Napoleone.
Anche alla morte di Carlo Leopoldo, avvenuta nel 1837, il successore, il marchese Lorenzo, non aveva ancora la maggiore età e pertanto, la vedova, Marianna Garzoni Venturi, assunse l'amministrazione della fabbrica con l'aiuto del marchese Pierfrancesco Rinuccini.
Terminato il periodo della tutela e con la diretta assunzione di responsabilità, avvenuta nel 1847, Lorenzo II Ginori procede ad alcuni cambiamenti significativi sia nella gestione della manifattura sia nell'acquisizione di materiali che gli consentiranno di ridurre considerevolmente i costi di produzione.[91]
Nella direzione della fabbrica si registra l'allontanamento definitivo della famiglia Fanciullacci e, per le innovazioni tecniche, fondamentali si rivelano le ricerche del chimico Giusto Giusti, stretto collaboratore del marchese Lorenzo, che sostituirà le terre provenienti da Limoges, dal costo elevato, con quelle inglesi della Cornovaglia a prezzi più contenuti.[92]
Scrive Leonardo Ginori Lisci: «In questi anni la manifattura continuò la sua vita attiva, ma senza particolari novità. Unico fatto di un certo rilievo fu la partecipazione di Doccia alle esposizioni toscane», ottenendo nel 1861 la medaglia d'oro all'Esposizione Nazionale di Firenze.
Più intensa l'attività volta a penetrare i mercati intercontinentali e fra le esposizioni in cui riscuoterà un lusinghiero successo si annovera quella di New York del 1853, di Sydney del 1859, di Melbourne del 1881 e di Rio de Janeiro del 1884.
Nelle fogge di questo periodo assumono particolare importanza, sia il Vaso Medici,[N 44] che ottiene un notevole successo alla mostra londinese del 1862, sia la tipologia dei grandi vasi ad orcio e quella dei vasi a tromba dal tipico decoro orientale, di grande apprezzamento alle esposizioni internazionali.
La metà dell'Ottocento si caratterizza per una definitiva evoluzione tecnica sul modello dei processi di lavorazione della manifattura di Sèvres raggiungendo un "[..] graduale perfezionamento della porcellana, che ormai è tutta "alla francese" [..] Anche la parte commerciale fu maggiormente seguita e curata, e la continua partecipazione a diverse esposizioni ne è la più ampia conferma".[94]
Contemporaneamente fa il suo esordio la terraglia con decorazione in azzurro mentre inizia il successo della maiolica artistica volta a rielaborare tutta la grande stagione iconografica rinascimentale, manieristica e barocca.
Unitamente alla riscoperta dei secoli d'oro della maiolica, trova applicazione, sempre su maiolica, la corrente ottocentesca del Naturalismo con il pittore Giuseppe Benassai che si esprime in opere di notevoli dimensioni e per un breve periodo collaborerà nella manifattura.[95]
Intorno agli anni '80 dell'Ottocento inizia a percepirsi il rapido declinare della stagione dell'Eclettismo, e anche le maestranze di fabbrica sentono preponderante l'influsso, peraltro mai sopito completamente, che nuovamente giunge in Europa dall'Estremo Oriente con i decori delle porcellane cinesi e giapponesi complici di vivificare con nuova "linfa vitale" l'arte ceramica, lasciandosi alle spalle il composito Eclettismo ottocentesco. Così nella fabbrica di Sèvres come a Doccia, ricompariranno delicati decori floreali caratterizzati da un ductus quasi calligrafico.
Notevoli incrementi si registrano nella produzione di quest'ultimo quarto di secolo con il numero delle maestranze giunto vicino ai 1500 operai mentre si assiste ad una diversificazione delle linee produttive rivolta, con successo, anche al settore elettrico e chimico.
Elemento di spicco in questi anni fu Paolo Lorenzini, prezioso e fidato collaboratore della famiglia Ginori in sostituzione dei Fanciullacci, fratello di Carlo Lorenzini, ben noto scrittore con lo pseudonimo di Collodi.
Tra i migliori pittori di questo periodo si segnalano Eugenio Riehl e Lorenzo Becheroni (figlio)[N 45] al quale sono ascrivibili i noti servizi per Umberto I oggi conservati al Quirinale,[96] mentre per le maioliche al naturalismo del Benassai seguirà, nel breve soggiorno a Doccia, la produzione di maiolica artistica in cui eccelle il pittore Angelo Marabini.[97]
Nel 1878 muore Lorenzo II ed a lui succedono nella proprietà i suoi quattro figli. Al maggiore Carlo Benedetto viene affidata la direzione, coadiuvato da Paolo Lorenzini. La morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1891, farà mancare al marchese Carlo Benedetto un elemento fondamentale per la gestione alla quale la successiva dirigenza, nominata dal marchese Ginori, mostrerà di non essere all'altezza.[98]
Spinta anche da richieste di divisione portate avanti dai familiari, dalla necessità di un notevole sforzo di ammodernamento e dalla proposta di acquisto avanzata da Giulio Richard, la famiglia Ginori maturerà la non facile decisione di cedere nel 1896 all'industriale milanese l'azienda:[98] «sì che i proprietari si decisero, nel 1896, a rinunciare alla gloriosa e secolare impresa di famiglia. Così la Manifattura, con tutta la sua esemplare organizzazione artistica e commerciale entrò in un organismo più vasto che assunse il nome di Richard-Ginori, società che è ben nota nell'Italia e nel mondo, e continua degnamente la tradizione dell'industria italiana della porcellana».[99]
La manifattura Ginori a Doccia nei primi anni, come, del resto, la manifattura viennese Du Paquier, non ha certamente utilizzato con continuità una marca, contrariamente a Meißen, anche se, indubbiamente, tentativi ce ne sono stati. La cupola del Duomo di Firenze, per esempio, già distintiva della porcellana dei Medici,[100] la stellina, o asterisco, a otto punte, le tre stelle presenti nello stemma della famiglia Ginori, unite anche alla cupola stessa, paiono essere stati, timidi tentativi di introduzione di un marchio di fabbrica; in mancanza di prove certe di questa volontà del marchese Carlo e del suo successore Lorenzo possono fornire solo un ulteriore elemento di discussione.
Sotto la direzione di Lorenzo Ginori, e su sollecitazione di Saint Laurent, si era pensato più volte di apporre una marca agli oggetti prodotti dai forni di Doccia sia per evitare contraffazioni sulle porcellane vendute a Napoli e là decorate in maniera approssimativa,[101] sia perché c'è da presumere che Lorenzo, per motivi di "immagine", volesse contraddistinguere i propri prodotti da quelli della concorrenza, come, d'altro canto, ormai quasi tutte la manifatture facevano.[89]
Si dovrà tuttavia attendere la gestione di Carlo Leopoldo Ginori per avere, con alterna continuità, una marca vera e propria, l'asterisco incusso (impresso), documentato sin dal 1780 quale semplificazione, quasi certa, delle già rammentate tre stelle presenti nello stemma della famiglia fiorentina. L'asterisco o stellina si ritroveranno nello stesso periodo, anche nella variante dipinta in oro o in rosso sopravernice, fino a tutta la prima metà dell'Ottocento alternate a volte da numerali dipinti o P (prima scelta) e F incusse.[N 46] Successivamente, e in prevalenza sulla maiolica di uso comune, verrà impresso "GINORI" fino al 1840 circa, mentre contemporaneamente sulla porcellana appare la N coronata (con l'acquisizione dei modelli della Real Fabbrica Ferdinandea e il diritto alla riproduzione del suo marchio). Nella seconda metà dell'Ottocento tra il 1850 e il 1890 troviamo una G impressa entro losanga (in verticale) o Ginori dipinto entro un ovale. Negli ultimi decenni anche Manifattura Ginori in ovale centrato da una stella. Queste ultime due tipologie di marche si trovano dipinte nei colori: nero, blu, verde e rosso.[103]
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