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gesuita, scrittore e poeta italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Lorenzo Barotti (Ferrara, 20 dicembre 1724 – Ferrara, 18 dicembre 1801) è stato un gesuita, scrittore e poeta italiano.
Lorenzo Barotti, figlio di Giovanni Andrea, biografo di Ludovico Ariosto, e di Elisabetta Lollio[1], nel 1740 entrò come novizio nel seminario gesuita[1] ove, fino al 1744, frequentò i corsi di retorica e filosofia[1].
Nel triennio 1750-1753, seppure con poco entusiasmo per la sua avversione al formalismo della filosofia scolastica come veniva insegnata nelle scuole dell'Ordine, seguì i corsi di morale e teologia a Bologna[1]. Nel 1761 i superiori della Compagnia di Gesù, conoscendo la sua scarsa propensione per l'insegnamento di tali materie, lo destinarono al pulpito: predicò, così, in varie città italiane, tra cui Roma, Genova e Torino, non tralasciando, tuttavia, di coltivare i suoi interessi letterari[1]. Nel 1773 papa Clemente XIV, con il breve apostolico Dominus ac Redemptor, sciolse la Compagnia. Barotti, che all'epoca, era tornato a Ferrara dopo la morte del padre, non accettò il beneficio ecclesiastico, un canonicato, che gli fu proposto[1].
Nel 1777, dopo averle notevolmente ampliate, pubblicò una pregevole edizione delle Memorie istoriche di letterati ferraresi, lasciate incompiute dal padre Giovanni Andrea[1]; il successo dell'opera gli valse l'iscrizione, con il nome di Crimanio, all'Accademia Roveretana degli Agiati[1]. Sedici anni dopo, nel 1793, darà alle stampe una nuova edizione della stessa opera, arricchita di un secondo volume frutto delle proprie ricerche erudite[1].
Oltre che letterato erudito, Barotti fu anche poeta: pubblicò alcuni poemetti in ottave: Il tempio di Pallade, Le fontane, Il caffè e La fisica, quest'ultimo, in particolare, edito a Bologna nel 1753 in una raccolta di rime per le nozze Caprara Salviati[2], ebbe successo negli ambienti colti dell'epoca[1]. Un quarto poemetto, La Scolastica, mai pubblicato, è conservato a Ferrara nella Biblioteca comunale Ariostea[1].
L'opera di maggiore interesse del Barotti, che meglio testimonia la sua insofferenza per il formalismo teologico, è Lezioni sacre[3], pubblicata nel 1785-86. Nelle Lezioni lo scrittore espone in una prosa lineare e priva di retorica e con qualche cenno polemico nei confronti dell'illuminismo e del giansenismo, un'interpretazione morale delle sacre scritture[1].
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