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filosofo greco antico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Leucippo (Mileto, 460 a.C. – 370 a.C. circa) è stato un filosofo greco antico.
Di una biografia in senso stretto di Leucippo non si può parlare, considerata l'estrema scarsità di notizie attendibili sulla sua figura. Leucippo avrebbe lasciato la sua città dopo la rivoluzione aristocratica del 450 a.C., passando ad Abdera, secondo Diogene Laerzio[1] sarebbe stato allievo dell'eleatico Zenone. Ad Abdera, Leucippo fonda una scuola di filosofia ed ha come allievo principale Democrito. Restano dubbie le sue origini, i suoi viaggi e soprattutto le sue tesi cosmologiche in rapporto a quelle di Democrito. Ma se relativamente ai primi due punti nulla è possibile aggiungere alle scarse fonti disponibili, sul terzo è possibile analizzare e confrontare le fonti, espungere quelle inattendibili, connettere quelle attendibili, fornire risposte credibili alle questioni più intricate.
La fonte più attendibile su Leucippo resta la più vicina nel tempo, quella di Aristotele, che dista dalla morte di Leucippo non più di un centinaio d'anni, ed è su lui che ci si deve soffermare per avere giudizi presumibilmente abbastanza corretti a dispetto della sua posizione in buona sostanza anti-atomista e da cui, in quanto determinista, prende le distanze già nelle prime pagine della Fisica:
«Vi sono alcuni, al contrario, che considerano il caso come causa di questo cielo e di tutti i mondi: ché dal caso deriverebbero il vortice e il movimento che separa e dispone il tutto secondo quest'ordine[2]»
Proseguiamo quindi con la Fisica (IV, 6, 213 a-b) e con le affermazioni seguenti:
«Ora non è questo che si deve mostrare, ossia che l'aria è qualcosa, ma che non vi è un intervallo diverso dai corpi, né come separabile né come esistente in atto, il quale separi ogni corpo così da non essere continuo, come affermano Democrito, Leucippo e molti altri tra i fisiologi, o anche se sia alcunché d'esterno a ogni corpo continuo. Ebbene, costoro [i seguaci di Anassagora] non giungono neppure alle porte rispetto al problema, ma piuttosto coloro che sostengono che [il vuoto] esiste[3]»
Aristotele riconosce che il vuoto esiste e con ciò aderisce, almeno su questo punto, all'ontologia atomistica, ma mostra anche di associare Democrito e Leucippo senza preoccuparsi di una possibile successione temporale tra i due. Ciò significa probabilmente che già a metà del IV secolo a.C. non esistevano più opere atomistiche in circolazione né testimonianze dirette dei loro autori, e perciò che le opere dei due venivano già confuse. E dell'accettazione del vuoto, che è sicuramente l'intuizione più importante di Leucippo, ma anche del fatto che tra i due atomisti vi fosse comunanza temporale abbiamo conferma nella Metafisica (I, A,4, 985 b) quando dice che essi sono “compagni”:
«Leucippo, invece, e il suo compagno Democrito affermano che sono elementi il pieno e il vuoto, [considerando l'uno come essere, l'altro come non-essere], identificando il pieno e il solido con l'essere, il vuoto col non-essere (perciò essi sostengono anche che l'essere non esiste affatto più del non-essere, giacché il vuoto è reale come il corpo), e secondo loro queste sono le cause della realtà, e cause in senso materiale[4]»
Bisogna arrivare al De generatione et corruptione (I, 8, 324-325) per trovare Leucippo citato da solo, dove Aristotele dice:
«Leucippo, invece, credeva di essere in possesso di argomentazioni le quali, svolgendosi in accordo con la percezione sensibile, non avrebbe eliminato né la generazione né la corruzione, e neppure il movimento e la pluralità delle cose esistenti. Egli afferma che il vuoto è non-essere e che nulla di ciò-che-è si identifica col non-essere: difatti l'essere nella sua più autentica accezione, si identifica con ciò-che-è-tutto-quanto-pieno[5]»
Il modo più opportuno per avvicinarci al vero pensiero di Leucippo consiste nel confrontare le testimonianze di Aristotele con le poche altre attendibili relative ai frammenti più o meno estesi attribuiti alla Mégas Diàkosmos (la Grande cosmologia). Di essa abbiamo fortunatamente un lungo frammento raccolto dal grecista e filologo Hermann Diels che compare con n° di catalogo 289 nei Doxographi Greci del 1897 e al n° A 24 nei Die Fragmente der Vorsokratiker del 1903 e nelle edizioni successive dell'opera con la collaborazione di Walther Kranz. Esso è il solo del tutto compatibile con ciò che si sa di certo del pensiero di Leucippo, per quanto carente su numerosi aspetti.
«(1)Il mondo pertanto si costituì assumendo una forma ricurva; e la sua formazione seguì questo processo: poiché gli atomi sono soggetti a un movimento casuale e non preordinato e si muovono incessantemente e con velocità grandissima; parecchi di essi (e appunto per ciò delle più varie forme e grandezze) si raccolsero in uno stesso luogo. (2) Raccoltisi questi atomi nello stesso luogo, una parte, quelli che erano più grossi e pesanti, si andarono a collocare completamente al fondo; gli altri, quelli piccoli e rotondi e lisci e facilmente scorrevoli, venivano espulsi in seguito all'affluire di altri atomi e spinti verso l'alto. Come poi venne a cessare quella forza repulsiva che li sollevava e l'urto non riuscì più a spingerli verso l'alto, mentre d'altro lato essi non trovavano ostacolo [in quelli sottostanti] e non potevano più discendere, essi vennero a comprimersi nei luoghi che potevano accoglierli, cioè nei luoghi tutt'intorno [alla massa centrale]: e in questi si dispose in giro la moltitudine degli atomi sottili, i quali intrecciandosi lungo tutta la curvatura generarono il cielo. (3) Siccome gli atomi, pur essendo della medesima sostanza, erano di varie sorte, come sopra detto, questi respinti nella regione più alta formarono la materia degli astri. La moltitudine dei corpuscoli che salivano continuamente per mezzo dell'evaporazione percuoteva l'aria e la comprimeva, e questa, trasformatasi in vento per il movimento che le veniva imposto e avvolgendo interamente gli astri, li trascinò con sé nel suo giro e mantenne poi sempre e determina anche ora il loro movimento rivolutivo nella regione più alta[6]»
Malgrado il linguaggio epico, noi riusciamo a capire chiaramente che il movimento degli atomi è sotto forma di vento, ma che questo vento è provocato dagli atomi stessi, più piccoli e leggeri in ascesa, mentre i più pesanti scendono verso il basso per gravità. Il movimento è perciò un effetto atomico che diventa causa del successivo posizionamento degli atomi nel cosmo:
«In seguito, dagli atomi rimasti a giacere sul fondo [i più pesanti] fu prodotta la terra, mentre da quelli portatisi nella regione più alta furono trasformati il cielo, il fuoco e l'aria.(4) E poiché vi era ancora molta materia accumulata nella terra e si andavano condensando sotto gli urti dei venti e delle esalazioni degli astri, tutta la parte di essa avente una configurazione minuta venne maggiormente compressa e così diede origine alla materia liquida; la quale, essendo di natura fluida, scese nelle cavità, nei luoghi più adatti cioè a contenerla e a serbarla; oppure, altrove, l'acqua depositatasi scavò da sé i luoghi su cui si trovava. Seguendo questo processo dunque, si formarono le principali parti del mondo[7]»
A parte la chiara ingenuità dell'esposizione ciò che è veramente straordinario è che questo processo e tutta questa fenomenologia cosmica nei suoi vari aspetti, anche se fantasiosi, è completamente priva di ogni elemento trascendentalistico, misterioso, divino. È tutto naturale e materiale senza neppure un cenno a qualcosa di extra materiale.
Gli atomi di Leucippo hanno poi la stessa sostanza, ma questa sostanza è di diverso tipo e da ciò la diversità degli aggregati corporei. Qui Leucippo sembrerebbe non essere poi troppo lontano da Anassagora, perché la diversità potrebbe riferirsi alle qualità dei corpi. Ma il rigoroso criterio fisico posto da Leucippo, ponderale e densimetrico quanto depressivo e compressivo, marca la differenza di visione ontologica tra lui e Anassagora.
Tutte le sue opere sono andate perdute, l'unico titolo che conosciamo è La Grande Cosmologia, mentre una citazione che gli è attribuita di uno scritto Dell'Intelletto, è d'incerta attribuzione.
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