Lessico dell'omofobia
insieme di epiteti utilizzati per indicare gli omosessuali / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Il lessico dell'omofobia è l'insieme di epiteti utilizzati per indicare in modi denigratori e offensivi le persone omosessuali.
I termini più comunemente usati nella lingua italiana per indicare il maschio omosessuale spesso con accezione dispregiativa sono frocio, ricchione e finocchio[1]. Tali termini trovano corrispondenza negli inglesi faggot e fag[2], nello spagnolo maricón, nel francese pédé e nel russo пидор (pidor).
Nello slang LGBT viene invece in diverse occasioni usato in maniera molto più benevola e amichevole al femminile o come vezzeggiativo, diventando quindi anche frocia, o frocetto/a, frocellino/a o frocio/a perso/a.
L'uso libero e disinvolto di tali parole è da considerare non politicamente corretto. Nonostante ciò, nei Gay Pride svoltisi in Italia è stato comune per molti anni far sfilare un cartello con l'immagine della Gioconda di Leonardo da Vinci e scriverci sotto la didascalia: "Questa l'ha fatta un frocio!". La parola omosessuale è l'unica (prima di gay), fra tutte quelle indicanti le persone attratte dalle persone dello stesso sesso, a non essere nata con intenti offensivi o denigratori.
Altri sinonimi[3] dei succitati fròcio (di origine romana) e finòcchio[4] (di origine toscana: lo usa, ad esempio, anche Giuseppe Prezzolini ai primi del Novecento; ma non mancano adattamenti locali come fenocio nel Basso Veneto e fnòč nel Modenese e nel Parmense), usati nel linguaggio comune e tutti anch'essi di segno peggiorativo, ma aventi perlopiù diffusione regionale o comunque subnazionale, sono, da Nord a Sud:
- cupio (in Piemonte, praticamente sconosciuto fuori dalla regione subalpina)
- culattòn/culatùn/culat(t)òne/cù(l)o/cułatòn[5][6] o persino cu(l)a (femminile di culo), nei dialetti della Lombardia e del Triveneto e in genere dell'Italia del nord);
- buliccio (in Liguria, soprattutto a Genova);
- buso o busone (in Emilia Romagna, soprattutto a Bologna e in Romagna), busòn in Veneto e bucaiolo (in Toscana) (tutti derivanti da "buco", con evidente allusione all'orifizio anale);
- pedale dal dialetto ferrarese pedàl o dispregiativamente pedalàz (a Ferrara e comuni limitrofi della bassa ferrarese);
- partendo da "orecchione" abbiamo recchione/ricchione/recchia o ''streppa''(nell'Italia meridionale, soprattutto nella zona di Napoli, ma ormai in uso informale anche nel centro-nord Italia, soprattutto nella versione ricchiòne e - in Veneto - recia o reciòn);
- jarrusu o (g)arrusu in lingua siciliana, soprattutto nella Sicilia occidentale (Arruso è il titolo di un documentario del 2000 dei registi palermitani Ciprì e Maresco, dedicato allo scrittore, poeta e regista omosessuale Pasolini), a Palermo si usa la parola "matellu", mentre a Catania prevale puppu ("polpo"). Altri termini che si usano in Sicilia sono “arianu” e “aricchiuni”;
- ricchiuni o ricchiunazzu; termine usato per indicare "omosessuale" in Calabria, o frì frì (indicando due volte l'orecchio) per dire "omosessuale" senza essere sentiti.
- caghineri, caghino, cagosu, pivellu, frosciu, paraguru in lingua sarda;
- checca (omosessuale passivo, femmineo, effeminato)[7], di origine toscana ma ormai diffusosi in tutta Italia, soprattutto nel centro-nord;
- termini ormai desueti come buggerone e bardassa (quest'ultimo termine designava specialmente un prostituto, puttano, cinedo);
- denominativi espliciti e fortemente volgari quali succhiacazzo/ciucciacazzi, ciucciapiselli, sucaminghie/sucaminchia, culorotto, rottinculo e piglia(i)nculo (nel romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta, un boss mafioso divide l'umanità in "uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo (con rispetto parlando) e quaquaraquà").
- fenoli (pl. fenói) e difetôs (inv.) della lingua friulana;