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Con il nome di Leges Iuliae si comprendono tutte le leggi romane introdotte da membri della gens Iulia.
Leges Iuliae | |
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Senato di Roma | |
Nome latino | Leges Iuliae |
Autore | Repubblica romana, poi Impero romano |
Anno | Tra il 90 a.C. ed il 9 d.C. |
Leggi romane |
Più spesso, quando si parla di Leges Iuliae, ci si riferisce in particolare alle leggi introdotte da Augusto dall'anno 18 a.C. al 9 d.C., le quali prevedevano alcuni provvedimenti sulla famiglia e sul rispetto delle antiche tradizioni (mos maiorum). Augusto elaborò un piano, in parte attuato con le Leges Iuliae, che si suddivideva in tre punti fondamentali:
Questi provvedimenti non furono ben visti dalla classe equestre.[1] La prima vittima delle leggi emanate da Augusto fu sua figlia Giulia, condannata all'esilio per aver condotto una vita lussuriosa[2] e per aver complottato contro l'imperatore. Augusto stesso affermò in pubblico che Giulia era colpevole di aver complottato contro la sua vita.[3]
A parte le leggi di Augusto sul matrimonio, la Lex Iulia del 90 a.C. è probabilmente la più conosciuta tra quelle recanti tale nome. Questa legge fu introdotta dal console Lucio Giulio Cesare e assicurava la cittadinanza romana a tutti gli italici che non fossero insorti contro Roma nel corso della Guerra sociale (91–88 a.C.).
Ripristinò un certo rigore in tema di crimen repetundarum a carico del condannato. Previde, inoltre, specificatamente, la responsabilità del soggetto che avesse preso denaro per giudicare o non giudicare, per adottare o non adottare provvedimenti giudiziari od amministrativi.[4] Questa legge continuò ad aver vigore anche durante l'età del Principato: ad essa fanno costante riferimento i giuristi classici.
Ordinava l'assegnazione ai cittadini poveri dell'agro demaniale, eccetto l'agro campano, e di altri terreni da acquistarsi dallo stato.[5][6]
Ratificava l'ordinamento dato da Pompeo all'Asia.[5] Infatti dopo la fine della terza guerra mitridatica, il regno del Ponto perse molti territori e gli stati indipendenti dell'Anatolia e dell'Armenia diventarono stati clienti della Repubblica. Venne creata la provincia romana della Siria e la provincia di Bitinia diventò provincia di Bitinia e Ponto annettendo ulteriori territori.[7][8]
Ordinava l'assegnazione anche dell'agro campano (perciò lex campana).[5] Grazie a questa legge circa ventimila cittadini andarono a popolare la Campania e Capua diventò una colonia romana dopo essere stata per 152 anni una prefettura.[9]
In favore dei cavalieri Cesare fece varare questa legge che rimetteva agli appaltatori delle imposte dell'Asia un terzo della somma da essi dovuta.[5] Questa legge fu voluta da Marco Licinio Crasso in seguito agli accordi del primo triumvirato.
Questa legge riconosceva e dichiarava amico del popolo romano il re d'Egitto Tolomeo Aulete, che la pagò a Cesare e Pompeo 6000 talenti.[5]
Consentì la remissione degli interessi arretrati di due anni e la detrazione di quelli pagati sul capitale.[10][11][12][13]
Limita il mandato dei propretori ad un solo anno e quello dei proconsoli fino a due consecutivi. Proibisce tassativamente qualunque prolungamento dei termini temporali già detti.[14]
Portò il numero degli edili plebei a quattro, istituendo due edili curiali, addetti all'approvvigionamento dei cereali e all'organizzazione dei Ludi Ceriales.[5]
La Iulia Iudiciaria soppresse la decuria dei tribuni aerarii che furono esclusi dalle giurie giudicanti in tema di reato, modificando la lex Aurelia iudiciaria del 70 a.C.[15]
Con questa legge Cesare assegnava terre ai suoi veterani.[5]
La Lex Iulia Municipalis riorganizzava l'amministrazione dei municipia italiani. Questa legge prese spunto dal testo delle Tavole di Eraclea, infatti restituiscono una significativa testimonianza dell'ordinamento giuridico e sociale della colonia.[15]
Con le Leges Iuliae del 18–17 a.C., Augusto tentò di innalzare sia il livello di moralità sia il numero di cittadini delle classi superiori della città di Roma, incoraggiando il matrimonio e la nascita dei figli (Lex Iulia de maritandis ordinibus). Fra le altre cose, esse definirono l'adulterio come un delitto privato e pubblico (lex Iulia de adulteriis).
Per incoraggiare la crescita demografica, le Leges Iuliae offrivano incentivi per il matrimonio e imponevano penalizzazioni ai celibi. Augusto istituì la cosiddetta "legge dei tre figli", che garantiva un gran riguardo a coloro che avessero avuto tre figli maschi. I celibi in età di matrimonio e le giovani vedove che non si risposavano non potevano ricevere le eredità e non potevano assistere ai giochi pubblici.
In tema di crimen ambitus penalizzava la corruzione e stabilì che in casi non violenti fosse pagata una multa pecuniaria oltre all'interdizione dalle cariche pubbliche per cinque anni.[15][16]
Previde una forte sanzione in denaro per l'incetta di generi alimentari.[5][15]
Limitava il matrimonio tra classi sociali diverse (questa legge è considerata essere una causa indiretta del concubinaggio, che sarà poi successivamente regolamentato da Giustiniano - si veda di seguito).[15] Fu una legge molto controversa perché il progetto originale prevedeva pene e restrizioni molto dure, quindi l'imperatore fu costretto a sopprimere o ad attenuare alcune sanzioni[1]
Previde e disciplinò il crimen adulterii e le varie fattispecie che vi rientravano (adulterium, incestum, lenocinium, stuprum), istituendo la relativa quæstio, che puniva il reato con l'esilio.[17] Le due parti colpevoli erano inviate in esilio su due isole diverse (dummodo in diversas insulas relegentur) e parte delle loro proprietà era confiscata.[17]
Ai padri era permesso di uccidere le figlie e i loro partner d'adulterio. I mariti potevano uccidere i partner in certe circostanze ed erano obbligati a divorziare dalle mogli adultere.[15]
Lo stesso Augusto dovette applicare tale legge nei confronti di sua figlia Giulia (relegata sull'isola di Pandateria) e della figlia maggiore di quest'ultima (Giulia minore). Tacito rimprovera il fatto che, con i suoi propri parenti, Augusto fosse stato più severo di quanto la legge stessa richiedesse.[18]
Fu promulgata nel 17 a.C.[19] allo scopo di ridefinire il delitto di violenza, ossia il crimen vis, che era stato precedentemente punito dalla lex Plautia de vi[20].
Essa ricomprendeva due diverse tipologie di violenza: la vis pubblica, contro il regolare svolgimento delle funzioni statali (ad esempio i comizi) e punita con l'aquae et ignis interdictio, e la vis privata, contro la libertà dei privati cittadini e punita con il sequestro di un terzo del patrimonio del colpevole.[19]
Era considerata vis publica anche la mancata concessione da parte del magistrato del diritto alla provocatio ad populum, ottenuta per esempio impedendo all'accusato di giungere a Roma oppure torturandolo o uccidendolo prima che essa fosse stata eseguita.[21]
Nel quadro di una revisione del sistema processuale romano, eliminò del tutto le legis actiones sostituite dal processo per formulas. Tra le legis actiones, rimase in vigore la sola legis actio sacramenti nei giudizi centumvirali (ad es., per questioni ereditarie), nonché la procedura relativa all’actio damni infecti.[15]
Ripartì le decuriae di giudici (ciascuna composta di cento giudici) in quattro: una di senatori, una di cavalieri, una mista di senatori e cavalieri, una di giudici per metà appartenenti al ceto equestre (ducenarii). Le decuriae giudicavano seguendo una turnazione. Individuò anche un'ulteriore fattispecie di delitto rientrante nel crimen ambitus: fu punito, infatti, con una pena pecuniaria, la parte (imputato o accusatore) che si fosse recata a casa del giudice con l'implicito scopo di corromperlo o, comunque, influenzarne la serenità di giudizio.[15]
Riordinò l'intera materia del crimen maiestatis, comminando per esso la pena dell’interdictio aqua et igni e la confisca del patrimonio. Proprio da questa legge derivò l'impulso a far rientrare, in sede di interpretazione, nell'ambito del crimen maiestatis, tutte le offese in qualunque modo arrecate alla dignità imperiale.[15]
Contiene norme relative ai collegia e alle sodalitates. In particolare stabilì che tutti i collegia e le sodalitates (tranne un ristretto numero di antica tradizione), fino ad allora esistenti, dovevano essere sciolti; per la costituzione di nuovi enti dello stesso genere occorreva l'autorizzazione del Senato.[15]
Introdusse un'imposta successoria pari al 5% del patrimonio ereditario e regolò, altresì, la procedura relativa all'apertura del testamento, stabilendo che le tabulae testamentariae dovevano essere aperte dinanzi all'ufficio preposto alla riscossione dell'imposta.[15]
Finalizzata a incoraggiare e a rinforzare l'istituto del matrimonio, è solitamente considerata parte integrante delle Leges Iuliae augustee. La Lex Papia Poppaea inoltre promuoveva esplicitamente la progenie (all'interno del matrimonio legale) e discriminava il celibato. In particolare:
Per particolari benemerenze, era previsto che il Senato ed il principe potessero concedere anche a soggetti non in regola con le disposizioni delle leges Iuliae e Papia i vantaggi che esse assegnavano.[23][24]
Gli estratti sotto riportati provengono da codici e testi di diritto più tardi, ma sono comunque di valore in quanto si basano sui testi originali delle Leges Iuliae, spesso citandoli fedelmente.
Ulpiano riporta a proposito della Lex Iulia relativa al matrimonio:
«XIII.1 Lege Iulia prohibentur uxores ducere senatores quidem liberique eorum libertinas et quae ipsae quarumque pater materve artem ludicram fecerit, item corpore quaestum facientem.
XIII.2 Ceteri autem ingenui prohibentur ducere lenam, et a lenone lenave manumissam, et in adulterio deprehensam, et iudicio publico damnatam, et quae artem ludicram fecerit: adicit Mauricianus et a senatu damnatam.
XIV.1 Feminis lex Iulia a morte viri anni tribuit vacationem, a divortio sex mensum, lex autem Papia a morte viri biennii, a repudio anni et sex mensum.»
«XIII.1 Con la Lex Iulia si proibisce che i senatori e i loro figli sposino liberte, così come le donne che, esse stesse o i loro padri o le loro madri, abbiano esercitato attività ludiche, o abbiamo generato profitto con il corpo.
XIII.2 A tutti gli altri nati liberi è proibito sposarsi con una prostituta, una donna liberata da un protettore o da una protettrice, una donna colta in adulterio, una donna condannata con pubblico giudizio, o una donna che abbia svolto attività ludica: aggiunge Mauriciano anche condannata dal senato.
XIV.1 Alle donne la Lex Iulia assegna un periodo di esenzione di un anno dalla morte dell'uomo, sei mesi dal divorzio, invece la Lex Papia dalla morte dell'uomo due anni, dal divorzio un anno e sei mesi.»
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