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arte marziale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il karate o più propriamente karate-dō (空手道? lett. "via della mano vuota") è un'arte marziale originaria dell'isola di Okinawa, nel Regno delle Ryūkyū, le cui isole nel 1879 vennero annesse al Giappone[1][2] con il nome di "Prefettura di Okinawa". Venne sviluppato dall'unione tra i metodi di combattimento indigeni, chiamati te (手? lett. "mano") e il quanfa cinese[3][4] a seguito degli stretti contatti culturali e commerciali tra gli abitanti dell'arcipelago e i navigatori cinesi.
Nel corso del diciottesimo secolo ci si riferiva a tale arte marziale con il nome di tōde o tō-te (唐手? mano cinese), ma con il passare del tempo si è privilegiato il nome karate[5], dato da una differente lettura del kanji '唐'. Negli anni '30 del novecento, a causa del crescente militarismo giapponese[6], il primo carattere venne sostituito con '空', mantenendo così la lettura karate ma assumendo un nuovo significato, ovvero sia che i nipponici avevano sviluppato una forma di combattimento originale, sia che si trattava di un metodo di combattimento a mani nude.[7] Secondo Gichin Funakoshi, l'aggiunta del carattere dō (道? lett. "via") si deve far risalire al 1929/1930, anni nei quali i membri del club di karate dell'Università Keio decisero di cambiare nuovamente il nome per differenziarlo dalle arti cinesi.[8]
La diffusione del karate al di fuori dell'isola di Okinawa iniziò nel 1922, quando il Ministero dell'Educazione Giapponese invitò Gichin Funakoshi a Tokyo per una dimostrazione di karate, la National Athletic Exhibition[9] e, successivamente, nel 1924 l'Università Keio istituì in Giappone il primo club universitario di karate, al punto che nel 1932 tutti i maggiori atenei nipponici avevano il proprio circolo.[10] Dopo la seconda guerra mondiale Okinawa divenne un importante sito militare statunitense e il karate divenne popolare tra i soldati stanziati sulle isole.[11]
Questa arte marziale prevede soprattutto il combattimento a mani nude, senza l'ausilio di armi, anche se la pratica del kobudō di Okinawa, che prevede l'uso delle armi tradizionali (Bo, Tonfa, Sai, Nunchaku, Kama), è strettamente collegata alla pratica del karate e alcune scuole e stili integrano la pratica del karate con lo studio delle armi. Attualmente viene praticato nel mondo in due differenti versioni, quella sportiva (nella quale è privato della sua componente marziale e finalizzato ai risultati competitivi tipici dell'agonismo occidentale) e quella tradizionale più legata ai precetti originali e alla difesa personale. In passato era studiato e praticato solo da uomini, ma con il passare degli anni anche le donne si sono avvicinate a questa disciplina.
Come tutte le arti marziali che hanno come suffisso Dō, anche il karate ha come fine ultimo il miglioramento della persona e l'elevazione spirituale attraverso la pratica fisica e il perfezionamento delle tecniche. La pratica del karate può portare innumerevoli benefici personali, fisici e sociali attraverso la pratica costante.
Karate e zen sono inoltre strettamente legati[12], dal momento che il karate è stato influenzato dallo zen anche se non ne deriva direttamente. Entrambe le discipline enfatizzano la concentrazione, la consapevolezza, la disciplina e la meditazione.
Originariamente, quest'arte marziale aveva il nome di tōde o tō-te (唐手? mano della dinastia Tang) o, semplicemente, te (手? mano). Il primo utilizzo scritto della parola karate è da attribuirsi ad Itosu Ankō, che utilizzò il carattere 唐?, mentre il primo utilizzo documentato della grafia 空手? risale al 1905 ed è da attribuirsi a Chōmo Hanashiro in Karate Shoshu Hen.[13] Riguardo a quale delle due grafie fosse quella originale per la parola karate, Gichin Funakoshi scrive:
Poiché non esiste materiale scritto, non sappiamo se il kara fosse originariamente scritto con il carattere 唐?, che significa "Cina" o con il carattere 空?, che significa "vuoto". Nel periodo in cui la Cina, e tutto ciò che poteva essere definito cinese, godeva della massima popolarità nelle Ryūkyū, il primo carattere veniva impiegato come sinonimo di alta qualità. Sotto questa influenza, il karate ha cominciato ad essere scritto con questo carattere perché gli fosse conferita una nota di classe o di eleganza. — Gichin Funakoshi[14]
Lo stesso Gichin Funakoshi utilizzò nomi diversi nei titoli dei suoi libri: nel 1922 utilizzerà la dicitura tō-te o karate (唐手?), nel 1925 il termine karate-jutsu (唐手術?) e, nel 1935 e in tutte le pubblicazioni successive, utilizzerà karate-dō (空手道?). Questi ultimi due sono dei chiari calchi dei nomi delle arti marziali giapponesi che utilizzavano gli affissi jutsu e dō per descrivere, rispettivamente, una tecnica marziale concentrata sull'esecuzione e una via marziale che aggiunge un importante fattore di sviluppo dell'individuo. Riguardo all'adozione del termine karate (空手?) Morio Higaonna scrive:
Nel 1933 l'arte del karate di Okinawa fu riconosciuta come un'arte marziale giapponese dal Comitato di arti marziali giapponesi noto come "Butoku Kai". Fino al 1935, "karate" era scritto come "唐手?" (mano cinese o mano di Tang), ma, nel 1935, i maestri dei vari stili di karate di Okinawa si sono riuniti per decidere un nuovo nome per la loro arte. Decisero di chiamare la loro arte "karate" scritta in caratteri giapponesi come "空手?" (mano vuota). — Morio Higaonna
Descrivere in modo dettagliato l'evoluzione del karate risulta difficile per mancanza di fonti storiografiche certe. Si possono solo formulare ipotesi riguardo alla nascita e alla diffusione iniziale di quest'arte marziale, utilizzando rare fonti costituite perlopiù da racconti e leggende trasmessi oralmente. Dal XIX secolo in poi, la storia risulta più chiaramente documentata.
La storia del karate parte da un arcipelago a sud del Giappone, le isole Ryūkyū e in particolare da una di queste, l'isola più grande: Okinawa, dove già esistevano alcune forme di combattimento note come te.
L'isola di Okinawa era divisa in tre principati: Hokuzan (北山 Montagna settentrionale), Chūzan (中山 Montagna centrale) e Nanzan (南山 Montagna meridionale). Per molti secoli Okinawa – nell'arcipelago dei tre regni delle Ryu-kyu, che allora erano stati a sé, indipendenti dal Giappone – aveva mantenuto rapporti commerciali con la provincia cinese del Fujian e fu così, probabilmente, che conobbe alcune arti marziali cinesi come il kenpo o quanfa («metodo del pugno») – nato secondo la tradizione nel monastero di Shàolín-sì – modificandolo col passare degli anni secondo metodi locali.
Shō Hashi (soprannominato Shang Bazhi), re di Chuzan, nel 1429 unificò i tre regni di Okinawa e in seguito anche tutti i regni delle Ryu-kyu. Poco più tardi, Sho Shin (che regnò dal 1478 al 1526), per mantenere la pace, intorno al 1500 vietò il possesso di armi, che furono raccolte e chiuse in un magazzino del castello di Shuri.
Dopo la battaglia di Sekigahara, il clan vittorioso dello shogunato Tokugawa concesse al clan Shimazu, che governava il bellicoso feudo di Satsuma nell'isola di Kyūshū, di occupare le Ryu-kyu: 3000 samurai compirono l'invasione senza incontrare valida resistenza (1609).
Poiché fu rinnovato il divieto di possedere armi e persino gli utensili di uso quotidiano come bastoni e falcetti dovevano essere chiusi nei magazzini durante la notte, i membri della classe nobiliare si dedicarono in segreto allo studio di una forma di autodifesa da usare contro gli invasori.
Nacque così la scuola Okinawa-te («mano di Okinawa»), detta anche tōde («mano cinese», dove l'ideogramma to caratterizza la dinastia Tang), che si differenziava in tre stili: Naha-te, sul modello del kung-fu della Cina meridionale, Shuri-te e Tomari-te, sul modello del kung-fu della Cina settentrionale. Va precisato che Naha era la capitale dell'isola di Okinawa, Shuri la sede del castello reale e Tomari la zona del porto (oggi Shuri e Tomari sono quartieri di Naha)[15].
L'ideogramma te (手) letteralmente indica la parola "mano", ma per estensione può anche indicare "arte" o "tecnica"; il significato di Okinawa-te, quindi, è "arte marziale di Okinawa".
Essa era praticata esclusivamente dai nobili, che la tramandavano di generazione in generazione. Secondo le credenze popolari, come detto sopra, la nascita del karate è dovuta alla proibizione dell'uso delle armi nell'arcipelago delle isole Ryūkyū. La conoscenza del te restava uno dei pochissimi segni di appartenenza passata a un'elevata posizione sociale. Per questo motivo i nobili, ormai divenuti contadini, tramandavano quest'arte a una cerchia ristrettissima di persone, quasi in modo esoterico.
Così facendo si è avuta una dispersione dell'arte originale e furono gettate le basi per i vari stili di karate. Per la nascita del tode furono fondamentali anche le arti marziali cinesi: le persone che si recavano in Cina, anche per due o tre anni, avevano modo di studiare le arti marziali del luogo e, in molti casi, cercarono di apprenderle; però le arti marziali cinesi si basavano su concetti filosofici e su un'elaborata concezione del corpo umano, pertanto era impossibile imparare le arti cinesi nello spazio di un solo viaggio e con ciò i viaggiatori giapponesi appresero quel che potevano.
Si pensa quindi che sia stata possibile una sorta di fusione tra le arti arrivate dalla Cina, che comunque costituivano uno stile non metodico e il te okinawense. Una prova di questo importante scambio culturale tra Okinawa e Cina è fornita da un maestro vissuto in epoca successiva, Ankō Itosu. In uno scritto di suo pugno vede le origini del karate nelle arti cinesi e sottolinea come non abbiano influito né il Buddhismo né il Confucianesimo.
Il primo maestro delle Ryu-kyu fu Sakugawa Kanga di Shuri (1733-1815), nobile di Okinawa ed esperto di te; era soprannominato “Tode” perché combinò il kempo, da lui studiato in Cina, con le arti marziali di Okinawa. Egli fu il primo maestro che provò una razionalizzazione e una codificazione delle arti diffuse a Okinawa. Tuttavia trascorse ancora qualche decennio prima dello sviluppo di una vera e propria scuola di tode.
Il fondatore di questa scuola fu il suo allievo Matsumura Sōkon (1809-1901); egli fu maestro di Asato Ankō (o Azato 1827-1906), a sua volta maestro di Funakoshi Gichin (1868-1957) e Itosu Ankō (1830-1915), anch'egli maestro di Funakoshi e di altri importanti maestri come Motobu Chōki (1870-1944), Motobu Chōyū (1865-1928), Chibana Chōshin (1885-1969), Mabuni Kenwa (1889-1952) e Tōyama Kanken (1888-1966).
Il suo stile di tode era chiamato Shuri-te (arte marziale di Shuri) in quanto Matsumura era residente proprio nella città di Shuri. Egli basò il proprio insegnamento su tre punti fondamentali: la pratica dell'arte autoctona di Okinawa, l'arte giapponese della spada (Jigen-ryū) e la pratica delle arti cinesi. Nacque così il vero e proprio tode.
Anko Itosu introdusse il to-de nelle scuole di Okinawa e mise a punto i cinque kata detti Pinan (presenti nel karate degli stili come il Wado-Ryu e Shito-Ryu; questi kata cambiarono poi il nome in Heian[16]).
Il primo maestro di Okinawa a recarsi in Giappone fu Motobu Chōki di Shuri (1871-1944), straordinario combattente, ma illetterato, che perciò non ottenne grande successo come insegnante. Solo più tardi, con l'arrivo di Funakoshi, divenuto poi maestro, l'Okinawa-te poté diffondersi nel paese del Sol Levante.
Si dice che il primo maestro di Naha-te fosse Higaonna Kanryō, noto anche come Higashionna (1853-1915; secondo alcune fonti la nascita sarebbe nel 1840). Kanryio Higaonna aiutò molto Funakoshi nella diffusione del karate in Giappone. Con questa diffusione, l'Okinawa-te divenne così il karate.
Gichin Funakoshi nacque a Shuri. Bambino gracile e introverso, si appassionò alle arti di combattimento: studiò con Azato, padre di un suo compagno di scuola e maestro di svariate arti marziali, poi con Itosu, quindi con Matsumura. Era non solo un abile calligrafo, ma conosceva anche i classici cinesi; pertanto nel 1888 cominciò a insegnare in una scuola elementare.
Nel 1921 passò per Okinawa il principe Hirohito, diretto in Europa, e nel castello di Shuri, Funakoshi organizzò un'esibizione che fu molto apprezzata. Lasciato l'insegnamento, nella primavera del 1922 Funakoshi fu scelto per eseguire una dimostrazione di karate alla Scuola Normale Superiore Femminile di Tokyo, ove si stabilì[9].
Nel 1922 scrisse "Ryu-kyu kempo": karate (karate significava ancora «mano cinese» e i nomi dei kata erano quelli originari di Okinawa). Nel 1935 pubblicò "Karate-do kyohan", molti anni dopo tradotto dal maestro Tsutomu Ōshima.
I primi anni furono difficili soprattutto sotto l'aspetto economico. Nel 1931 il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Dai Nippon Butoku Kai, l'organizzazione imperiale per l'educazione della gioventù. Dopo aver utilizzato un'aula del Meisei Juku (un ostello per studenti di Okinawa nel quartiere Suidobata), per qualche tempo Funakoshi fu ospite nella palestra del maestro di scherma Hiromichi Nakayama.
Nel 1936, grazie al comitato nazionale di sostenitori del karate, venne costruito il dojo Shotokan («casa delle onde di pino») a Zoshigaya, sobborgo del quartiere speciale di Toshima a Tokyo. “Shoto” era lo pseudonimo che Funakoshi usava da giovane nel firmare i suoi poemi cinesi, "kan" invece vuol dire "sala".
Per facilitare la diffusione del karate in Giappone, gli ideogrammi tode e te, vennero assemblati. Si ottenne così la parola tote, ma l'ideogramma to, che si leggeva anche "kara" (ma con il significato di «vuoto» sia nel senso di «disarmato», sia in riferimento allo stato mentale del praticante, concetto Zen di mu-shin), fu cambiato con questa lettura. Pertanto l'ideogramma finale risultò karate. Vennero inoltre cambiati in giapponese i nomi originali delle tecniche e dei kata per renderli più comprensibili.
Nel dopoguerra il generale Douglas MacArthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l'anima dello spirito militarista nipponico, ma a poco a poco l'interesse per il karate crebbe anche in Occidente e Funakoshi fu ripetutamente invitato a dare dimostrazioni.
Funakoshi lasciò la direzione dello stile Shotokan al figlio Yoshitaka, che trasformò profondamente lo stile elaborato dal padre, inserendovi attacchi lunghi e potenti, che facevano uso di nuove tecniche di calci. Yoshitaka morì di tubercolosi nel 1945. Ricordiamo che la diffusione del karate nel Giappone si deve ai maestri Funakoshi e Higaonna, ma la diffusione di esso in tutto il mondo occidentale, si deve a un allievo di Chōjun Miyagi (che era un allievo di Higaonna): Jitsumi Gōgen Yamaguchi.
Dal karate nacquero poi diverse correnti di pensiero e il karate si divise così in vari stili.
Funakoshi divide le scuole e i kata del karate di Okinawa in due stili principali: shōrin-ryū (a cui attribuisce caratteristiche simili a quelle degli stili settentrionali di kung-fu) e shōrei-ryū (più simile al kung-fu meridionale). L'altra principale divisione degli stili di karate di Okinawa si basa sulla città di origine: Tomari, Naha e Shuri.
In generale, lo shōrin-ryū era associato allo Shuri-te e al Tomari-te, mentre lo shōrei-ryu era associato al Naha-te. Il Naha-te, ideato da Kanryō Higaonna diede vita ad alcuni stili di karate, il cui principale è il Gōjū-ryū, la cosiddetta "scuola dura e morbida" sviluppata dal maestro Chōjun Myiagi.
Lo Shuri-te e il Tomari-te videro una fusione sempre più profonda e diedero vita ad alcuni stili come il Wado-Ryu e lo Shotokan-ryu.
A Okinawa esiste una tradizione dove entrambi gli approcci shōrin e shōrei sono mescolati in uno stile unico, la cui maggiore scuola è quella di Kenwa Mabuni che insegna lo Shitō-ryū, anche se l'influenza maggiore di questo stile deriva dall'area shōrei.
I principali stili del karate sono:
Nel karate si sono formati molti altri stili e, talvolta, all'interno di un Paese, ci sono dei maestri che si ritengono creatori di stili che non sono altro che copie di stili antichi o, comunque, già preesistenti. La World Karate Federation, che è l'unica organizzazione mondiale, che raggruppa le federazioni nazionali riconosciute dai rispettivi comitati olimpici, ed essa stessa riconosciuta dal CIO, riconosce solo I seguenti 4 stili di karate della lista:[18]
Anko Itosu ebbe il grande merito di introdurre il karate nelle scuole dell'epoca; a seguito delle prestigiose esibizioni del Maestro Gichin Funakoshi a Tokyo nel 1922, il karate venne conosciuto al di fuori dell'isola di Okinawa. Questi sono stati i quattro maestri che hanno determinato nel karate svolte di fondamentale importanza.
Funakoshi fu anche fondatore dello Stile Shotokan, che basa l'efficacia delle proprie tecniche su agili spostamenti e attacchi penetranti. Egli intese e insegnò il karate come "sistema di disciplina interiore" capace di condizionare tutti gli aspetti della vita dei praticanti, denominato più precisamente karate-dō.
Da allora il karate si è diffuso in gran parte del mondo, subendo anche cambiamenti discutibili che - secondo alcuni - lo hanno allontanato dallo spirito originale voluto dai suoi fondatori.
Il più grande ringraziamento che il praticante possa elevare è diretto ai maestri che insegnano a comprendere quest'arte e svelano, passo dopo passo, il Dō, la "via" è molto più della tecnica, è un lento e misterioso cammino dell'essere verso la propria perfezione, il proprio compimento.
Ogni scuola di karate tradizionale sintetizza per i propri allievi i principi morali che devono guidare la pratica e che ne costituiscono i fondamenti. Essi sono chiaramente enunciati nel dōjō kun, regole variabili da scuola a scuola e nei nijū kun, unici per lo stile shotokan.
Dōjō kun indica le regole del dōjō, che variano a seconda della scuola. Quelli sotto riportati si riferiscono allo shotokan.
Il karate è fondamentalmente rispetto reciproco, sul quale si basa e il dōjō kun dovrebbe venire applicato anche al di fuori del dōjō. Infatti un esempio di questo principio è che nel kumite, praticato da certe palestre, non si può toccare l'avversario, mentre prima di salire sul tatami bisogna fare il saluto al Maestro. I quattro lati del dōjō hanno particolari nomi: la Sede Superiore, ovvero dove sta il ritratto del Maestro fondatore dello stile che viene praticato è chiamato Kami-za, mentre il lato dove stanno gli allievi, per fare il saluto, è chiamato Shimo-za, ovvero sede inferiore. Nel saluto gli allievi sono sistemati in ordine di cintura, incominciando dalle nere con grado maggiore fino ad arrivare alle bianche. Il lato verso gli allievi di grado più alto è chiamato Jo-seki, mentre invece quello verso le bianche, quindi verso coloro con meno esperienza è chiamato Shimo-seki.
I venti principi fondamentali dello spirito del karate (松濤二十訓?, Shōtō nijū kun) insegnati dal maestro Gichin Funakoshi sono:[19]
In quasi tutte le arti marziali è uso allenarsi indossando un abito adeguato, chiamato gi (pronuncia: ghi); nel karate, quest'abito è il karate-gi, composto da una giacca (uwagi), da un paio di pantaloni (zubon) di cotone bianco e da una cintura (obi) il cui colore designa il grado raggiunto dal praticante non dal punto di vista fisico ma dal punto di vista della preparazione mentale e dell'esperienza.
Oltre al termine specifico "karate-gi", l'abito per la pratica del karate può essere chiamato genericamente "keikogi" o "dogi"; mentre molto in voga è il termine "kimono". Questa antica parola della lingua giapponese, che originariamente significava semplicemente "abito", ai nostri giorni viene usata per indicare uno specifico tipo di vestito tradizionale che nulla ha a che vedere con la pratica delle arti marziali.
Fu il maestro Gichin Funakoshi ad adottare per primo l'uso del "karate-gi". Infatti, in occasione della prima dimostrazione al Budokan di Tokyo, lui e un suo allievo indossarono un abito fatto da Funakoshi stesso la notte precedente, ispirandosi al modello del judo-gi e utilizzando, però, una tela più leggera e comoda. Il colore bianco è quello naturale del cotone non tinto, essendo questo un abito semplice e umile.
In genere esistono tre tipi di karategi:
In molte arti del Budō (Kendō, Kyudo, Aikidō), per esercitarsi si indossa, invece, una gonna-pantalone (hakama) tipica giapponese ma mai utilizzata a Okinawa.
Si pratica a piedi scalzi.
La cintura nel karate è un riferimento che indica l'abilità, attestata dal superamento di appositi esami, nella pratica della disciplina di chi la indossa.
Nel 1924 Gichin Funakoshi, fondatore del Karate Shotokan, adottò il sistema dei "dan" dal fondatore del judo, Kanō Jigorō. Egli usò un sistema di gradi con un set limitato di colori di cintura. Anche gli altri insegnanti di Okinawa adottarono questa pratica. In precedenza gli allievi incominciavano la pratica con la cintura bianca; però non esistevano le cinture colorate: la cintura nera fu adottata da Kanō soltanto tre anni dopo l'invenzione del sistema di dan, prendendola dalla fascia nera indossata, nel nuoto, dagli atleti migliori. Quando Funakoshi adottò il sistema, comunque, le cinture erano già tre: bianca, marrone e nera, a cui si aggiunse, in seguito, la cintura verde (o blu, a seconda della testimonianza). Tuttavia il sistema di gradazione delle cinture può variare a seconda dello stile. Nel sistema kyū/dan i gradi per principianti cominciano con un kyū numerato in maniera crescente (ad esempio 9 kyū), e avanza in maniera decrescente fino al kyū di numero più basso. Il dan incomincia col 1 dan (Shodan o "cominciando a dan") sino a giungere ai dan di grado più elevati. I gradi sono assegnati come una "cintura di colore" o mudansha ("uni senza dan"). I karateka con grado di dan sono assegnati come yudansha ("possessori del rango di dan"). Il yudansha porta tipicamente una cintura nera. I requisiti dei ranghi differiscono fra stili, organizzazioni e scuole. La minima età e il tempo nei gradi sono fattori promozione importanti.
L'esame consiste nel dimostrare le tecniche di fronte a una commissione di esaminatori. Questa varia da scuola a scuola, ma l'esame può includere tutto ciò che si è imparato fino a quel punto oppure nozioni nuove. La dimostrazione è una domanda per grado nuovo (shinsa) e può includere: kata, bunkai, l'autodifesa, routine, tameshiwari ("rompendo") e/o kumite (combattimento). L'esame di cintura nera può includere anche una parte scritta.
Le cinture colorate vengono dette Kyū, mentre le cinture nere vengono dette Dan. Entrambe le parole significano "grado", "livello", ma la prima è comunemente utilizzata. Il primo livello di dan non è chiamato "ichi dan", che vorrebbe dire "primo grado", ma "sho dan", cioè "inizio del grado", a testimonianza del fatto che il raggiungimento della prima cintura nera è solo l'inizio di un lungo e severo apprendimento dell'Arte Marziale, in cui i livelli di kyū hanno il solo scopo di dare le basi necessarie a un apprendimento più approfondito.
CINTURE COLORATE, che si ottengono per esame:
CINTURE NERE, che si ottengono per esame:
CINTURE NERE, che si ottengono ad honorem per meriti od onorificenze:
Le classificazioni per i kyū variano da federazione a federazione, ed esistono, presso alcune scuole, ulteriori cinture intermedie (bianca, bianco-gialla, gialla, gialla-arancione, arancione, arancione-verde, verde, verde-blu, blu, blu-marrone, marrone, marrone-nera). Dopo la cintura marrone si passa a cintura nera che rimane tale al raggiungimento di gradi superiori (dan), dal 1º in poi, anche se è possibile trovare federazioni che utilizzano la cintura bianco-rossa per il 6°, 7°, 8° dan e rossa per i 9º e 10º dan. L'ideogramma dan si trova anche nella parola shodan, che significa "principiante", per dimostrare come l'aver impiegato alcuni anni per diventare cintura nera sia davvero poca cosa in confronto a tutti gli anni di allenamento che aspettano. Generalmente, le cinture si ottengono per esami fino al 5º dan, mentre dal 6º dan in poi, il grado viene assegnato solo per meriti speciali e non più in seguito a esami, anche se il modo in cui vengono rilasciati i più alti gradi dan può variare da federazione a federazione. Per i gradi più elevati non viene valutata solamente la mera capacità tecnica raggiunta ma soprattutto le doti di esperienza, didattica, organizzazione, sviluppo e dedizione a quest'arte marziale.
Bisogna però sottolineare come il formalismo relativo al vestiario e alle cinture incominciò solamente con lo sviluppo di massa del karate e quindi con la sua commercializzazione, soprattutto in occidente. Alle origini, il karate era praticato con i vestiti quotidiani, spesso solamente con la biancheria intima e non esistevano le graduatorie per cinture. Da molti praticanti di karate tradizionale, la cintura è considerata un simbolo di un certo livello di conoscenza e di percorso ma non possiede certo un valore meramente di grado.
Gichin Funakoshi interpretò il "kara" del karate-dō con il significato di "purificare sé stessi da pensieri egoisti e malvagi, perché solo con una mente e coscienza limpida il praticante può comprendere la conoscenza che riceve". Riteneva che il karateka doveva essere "interiormente umile ed esternamente gentile". Solamente comportandosi umilmente si può essere aperti alle molte lezioni del karate. Questo può essere fatto solamente attraverso l'ascolto e attraverso la ricezione delle critiche. Egli considerava la cortesia di primaria importanza. Diceva che "il karate viene propriamente applicato solo in quelle rare situazioni in cui uno deve davvero atterrare qualcuno o essere da lui atterrato". Funakoshi ha ritenuto insolito per un appassionato l'utilizzo del karate in uno scontro fisico reale più di una volta nella vita. Egli disse che i praticanti di karate "non devono mai essere facilmente trascinati in una lotta". Resta inteso che un colpo scagliato da un vero esperto potrebbe significare la morte. Risulta chiaro che coloro i quali fanno un uso distorto di ciò che hanno imparato portano disonore a sé stessi.[20]
Una peculiarità del karate è il fatto di stare a piedi nudi nello svolgere la lezione, questo ha motivazioni tecniche e formali, risponde a esigenze pratiche ed è volto al conseguimento della massima efficacia. Ragioni fisiche: il piede è ricco di ricettori tattili che permettono di conoscere la conformazione del suolo senza interventi della vista; la struttura ossea del piede è arcuata così da restare parzialmente sospesa sul piano di appoggio. L'adattamento alle caratteristiche del suolo viene avvertito dai recettori di tensione dei tendini e delle articolazioni: il corpo risponde così alla percezione dell'inclinazione e della direzione di pendenza, adeguandosi alle mutevoli necessità dello stare eretti. Fare karate significa anche imparare a flettere, estendere e ruotare il piede, adattandolo al fine di ottenere un impatto efficace sul bersaglio. Un'altra delle ragioni che chiariscono perché i praticanti di karate tradizionale non usino protezioni ai piedi affonda le sue radici nel passato, quando i samurai divennero imbattibili nell'uso della spada, si chiesero cosa sarebbe stato di loro se fossero stati sorpresi disarmati. Di qui la necessità di imparare a usare il corpo come un'arma e vennero sviluppate le prime tecniche a mano nuda: la loro evoluzione e quella delle forme di lotta che in esse si fusero, portò alla codificazione di sistemi di combattimento a mano disarmata sempre più articolati. Lo stare a piedi nudi è un segno di umiltà, rispetto e di volontà di affrontare l'allenamento con la mente vuota dalle preoccupazioni quotidiane.
A seconda dei vari stili di karate, il karate si compone di numerosissime tecniche: tecniche di pugno, di mano aperta, di gomito, calci, parate, cadute, spostamenti, posizioni e guardie.
Il karate prevede lo studio approfondito di tecniche di colpo dette "atemi waza", parola derivata dalla contrazione del verbo "ateru-colpire" e "mi-corpo". Si utilizzano pugni, calci (principalmente alle gambe e al tronco), gomitate, ginocchiate e colpi di percussione a mano aperta nelle zone sensibili del corpo umano (femore, articolazioni, fegato, gola, costole fluttuanti) al fine di provocare un trauma anatomico che neutralizzi l'avversario nel modo più veloce ed efficace possibile seguendo la regola del "minimo sforzo, massimo risultato".
Da segnalare che nello studio più avanzato dell'arte vengono esaminati anche gli "tsubo" o "punti di pressione" e particolarmente rilevante è il fatto che nel primo testo redatto dal maestro Funakoshi ("karatedō kyohan") un intero capitolo fosse dedicato all'anatomia umana a dimostrazione che non solo si deve imparare "come" colpire ma anche e, soprattutto, "dove".
Tutte queste tecniche sono corredate da un insieme di parate, schivate, spostamenti e scivolate atte a deflettere e intercettare gli attacchi oltre a proiezioni, spazzate, bloccaggi e leve articolari.
Non si deve però pensare al Judo o all'Aikido. Le proiezioni e le spazzate del karate non prevedono di "lanciare" l'avversario in lontananza (come nell'Aikido) ma di "sgretolarlo" sul suo centro, a terra, per impedirgli di contrattaccare e quindi finirlo con tecniche di colpo. Il karate, del resto, è primariamente un'arte di percussione sebbene il suo studio comprenda tutte le possibilità di combattimento.
Il Kihon è un termine che indica le tecniche di allenamento base, di parata o di attacco, su cui si basa il karate. In pratica, si tratta di esercizi propedeutici all'esecuzione tecnica nel karate.
Il kihon, nel karate, è l'insieme delle tecniche fondamentali.
In italiano potremmo tradurlo con le parole "basilare" o "rudimenti". La parola kihon è composta da due sezioni: Ki (fondamenta o radici) e Hon (base). Visualizzando gli ideogrammi delle due sezioni si nota che Ki è formato da due parti, una che simboleggia la terra e l'altra rappresenta l'inizio; Hon, invece, mostra un albero le cui radici sono rivolte verso il basso.
La parola Kihon ha dunque il significato della necessità di porre delle solide fondamenta, delle profonde radici per poter costruire qualche cosa di duraturo. Nella cultura giapponese viene data molta importanza alla preparazione prima di mettere mano a qualunque progetto ed è importante essere padroni delle basi di qualunque disciplina, prima di progredire in essa.
Come in qualsiasi altra disciplina, anche nel karate, senza una perfetta padronanza degli esercizi di base, non è possibile progredire e raggiungere notevoli livelli di pratica. Le basi del karate, i primi esercizi insegnati all'allievo, portano a imparare il corretto uso del proprio corpo, sia esso in movimento o statico.
Nella pratica del kihon si impara a migliorare la propria resistenza e a ottenere una maggiore rapidità nell'esecuzione; aiuta anche a rafforzare lo spirito combattivo e l'allievo apprende come gestire le "armi" del nostro corpo.
Il kime, nella pratica del Karate, può essere definito come "focalizzazione della massima potenza esplosiva del colpo" in un punto stabilito. Lo studio e la corretta comprensione di ogni singola tecnica, da parte dell'allievo, dovranno trovare quindi il loro naturale coronamento nello sviluppo del kime, conferendo ad ogni attacco e ad ogni parata la massima incisività, potenza e pulizia. Nessun praticante di Karate, dunque, può aspirare a progredire verso i gradi superiori della disciplina se non è in grado di applicare un buon kime durante l'esecuzione delle tecniche. Lo stesso principio si applica, a maggior ragione, nelle manifestazioni agonistiche, nelle quali il kime è uno degli elementi fondamentali di valutazione dell'atleta.
Il kata è un combattimento contro più avversari immaginari. Si tratta di una serie di movimenti codificati che rappresentano varie tecniche di combattimento, in modo da evidenziarne i principi fondanti e le opportunità di esecuzione ottimali (spazio, tempo e velocità).
Nel Kata, che significa "forma", si racchiudono le tecniche diffuse dalle varie scuole. Il karate ha una vasta gamma di kata che si differenziano nei diversi stili e per i diversi kyū. I kata possono essere visti come delle tecniche marziali prestabilite, per la maggior parte, nelle otto direzioni dello spazio. Il kata non viene considerato come un combattimento simbolico eseguito a vuoto, ma come un combattimento contro uno o più avversari.
Il numero dei kata, ma anche i loro nomi e i kata stessi, cambiano in base alla scuola ("stile") che si pratica.
Gli elementi fondamentali per eseguire un buon kata sono[21]:
E da un punto di vista atletico:
La maggior parte delle volte, un kata (nelle gare a squadre) è seguito dal bunkai, cioè la messa in pratica delle tecniche e la dimostrazione dell'efficacia delle tecniche e dei movimenti; solitamente le squadre sono formate da tre persone e, solo in Italia, vige la regola per cui il Torei (colui che si difende) deve essere unico.
Bunkai letteralmente significa "smontare" e indica lo studio per l'applicazione pratica delle tecniche contenute nei kata. Lo studio di esse permette di estrapolare dai kata efficaci tecniche di difesa, molto spesso proiezioni, tecniche combinate, leve articolari e spazzate che sono nascoste magari all'interno di una tecnica di pugno o parata. Lo studio dei Bunkai Kata è uno dei più complessi dell'arte poiché richiede una chiave di lettura che si deve dedurre dallo stile del fondatore. È altresì uno degli argomenti più delicati per i teorici e gli studiosi dell'arte marziale poiché non possediamo documenti scritti sulla pratica del bunkai sebbene essa sia importantissima per la comprensione del karate. Da ricordare, inoltre, come le tecniche dei kata derivino da tecniche di combattimento codificate e non il contrario. Ciò significa che le tecniche contenute nelle forme sono funzionali e non mera tradizione scolastica.
Il termine bunkai (分解? "caratteri Han") è utilizzato nelle arti marziali giapponesi per indicare la spiegazione testuale e palese di un gesto simbolico contenuto in un esercizio formale (kata). La parola è formata da due kanji che significano rispettivamente “porzione” e "slegare" e uniti servono a indicare l'atto di ricondurre qualcosa di complesso alle sue parti essenziali.
Kata bunkai significa letteralmente "kata smontato", cioè applicato. Mentre i kata vengono svolti con un avversario (o più) immaginario, il kata bunkai viene svolto con avversario (o più) vero, pertanto si ha bisogno di un partner.
I bunkai sono normalmente eseguiti nel dojo o in esami per passaggi di grado, nello specifico per esami inerenti ai passaggi da secondo dan o superiori, con un partner o un gruppo di partner che danno una dimostrazione del significato delle tecniche eseguite in un kata oppure mettono in pratica un attacco predefinito cui occorre rispondere con un determinato kata. In questo modo l'allievo comprende i vari movimenti di cui è composto il kata e migliora la propria tecnica imparando a valutare i tempi, aggiustare le distanze e adattare la tecnica alle dimensioni dell'avversario.
Gichin Funakoshi (船越 義珍), disse: "Non ci sono dispute nel Karate". Prima della seconda guerra mondiale, in Okinawa, il kumite non era parte integrante dell'insegnamento. Shigeru Egami riferisce che, nel 1940, alcuni karateka furono cacciati dal dojo perché usavano il karate nelle risse in strada. Tra le caratteristiche del Kumite del Karate si nota che i colpi, con l'eccezione del Kyokushinkai (e degli stili a contatto pieno da esso derivati), non vengono affondati alla ricerca del knockout dell'avversario, ma vengono arrestati per ovvi motivi di incolumità. Le tecniche tuttavia devono dimostrare il loro potenziale ed essere eseguite, arrestandole con controllo per non arrecare eccessivi danni. Ciò è possibile grazie a un adeguato allenamento e a un opportuno regolamento di gara. Quest'ultimo infatti prevede, in linea di massima, un lieve contatto a livello addominale, nessun contatto con tecniche di braccio al volto e un lievissimo contatto con tecniche di calcio al volto (anche se esistono vari regolamenti e, per esempio, in alcune federazioni e in determinati stili il contatto è consentito). L'eventuale ausilio di protezioni preventive (conchiglia, paradenti, corpetto, paratibia-piede, guantini e maschera per il naso, abolita nel 2015/16 perché sembrava arrecare più danni che senza) e l'adozione di sanzioni adeguate e di opportune norme completano il regolamento nella massima tutela dei praticanti. Negli anni cinquanta, il maestro Mas Oyama creò il Kyokushinkai (Full Contact Karate) e da esso, successivamente, si svilupparono molti altri stili che facevano del contatto pieno il loro punto di forza.
Il karate di Okinawa usa un addestramento supplementare noto come Hojo undō (補助運動). Questo utilizza una semplice attrezzatura fatta di legno e pietra. Il makiwara è uno degli attrezzi più usati (allenamento all'impatto dei colpi).
Il "nigiri game" è un grande vaso usato per rinforzare la presa di mani e dita. Questi esercizi supplementari sono progettati per aumentare forza, capacità di resistenza, velocità e coordinazione muscolare.
Il karate sportivo enfatizza esercizio aerobico, anaerobico, potenza, agilità, flessibilità e gestione dello stress. Tutte le pratiche variano a seconda delle scuole e degli insegnanti.
Il karate sportivo è la forma sportiva del karate, modellata tra diversi stili, privata in gran parte della sua componente marziale e finalizzata alla sola competizione agonistica.[22]
La federazione mondiale del karate (WKF) è riconosciuta dal comitato olimpico internazionale (CIO) come responsabile per le competizioni di karate. La WKF ha sviluppato regole comuni che governano tutti gli stili. I WKF organisations nazionali coordinano con i loro rispettivi comitati olimpici nazionali.
Il karate è una disciplina olimpica. Ha raggiunto il numero di voti sufficiente nelle decisioni del Comitato Olimpico Internazionale nel 2016 e nel 2021 è stata presente alle olimpiadi di Tokyo.
Sul fronte karate sportivo va precisato che, oltre alla WKF, ci sono realtà diverse che enfatizzano il combattimento, nelle cui competizioni si può vincere anche per KO. Famoso è il Sabaki Challenge, dove ogni anno si sfidano atleti provenienti da ogni parte del mondo. Da menzionare, poi, i campionati mondiali di Kyokushinkai e Ashihara; entrambi caratterizzati da un numero rilevante di atleti internazionali.
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