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Nella terminologia buddista e induista, e successivamente teosofica,[1] il Kamaloka è il luogo post-mortem dove si provano desideri, sentimenti (piacevoli o spiacevoli) e passioni, o meglio una condizione esistenziale in cui il dipartito prova su di sé tutti gli eventi (positivi e negativi) che ha fatto provare a tutte le persone conosciute nella sua vita terrena.[2]
Il termine viene dal sanscrito Kāma = «desiderio» e Loka = «mondo». Traducibile pertanto come «mondo dei desideri», viene detto anche piano astrale. Esso corrisponde solo da un certo punto di vista al Purgatorio della religione cristiana.[2]
Rudolf Steiner afferma che questo periodo dipende da quanto ci si è distaccati dalla materialità. Se infatti si è operato un progressivo distacco il periodo si accorcia.
«L'arte sensuale e materialistica rende più difficile il periodo del kamaloca, mentre un'arte spirituale lo facilita. Ogni piacere nobile e spiritualizzato abbrevia il kamaloca. Dobbiamo quindi già ora disabituarci da quei piaceri e da quei desideri che possono venir appagati soltanto per mezzo dell'organismo fisico. Nel periodo del kamaloca ci si deve appunto disabituare ai piaceri e agli istinti dei sensi; questo periodo dura circa un terzo della lunghezza della vita terrena. Le esperienze del kamaloca sono molto singolari: in esso si comincia veramente a risperimentare la propria vita, e mentre il quadro mnemonico apparso subito dopo la morte era puramente oggettivo, ora si rivivono le gioie e i dolori, ma al rovescio, in modo da sentire in sé le gioie e i dolori cagionati ad altri.»
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