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processo di ingrandimento reale o apparente di qualcosa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
In ottica, l'ingrandimento è la proprietà di un sistema ottico di formare una immagine più grande (o più piccola) di quella che si vede ad occhio nudo (ad esempio, tramite una lente di ingrandimento o un binocolo, ecc.).[1]
In questo modo, l'occhio è il riferimento dell'ottica, e siccome l’ingrandimento può essere indicato come valore numerico corrispondente ad un moltiplicatore con varie notazioni (se è 20, si scrive più comunemente 20× [dove x è il simbolo matem.] o 20 ingrandimenti, 20 volte più grande, ecc.), la vista assume un valore di ingrandimento relativo pari a 1×, e che nel caso, è anche il valore di riferimento (valore convenzionale) per la misurazione degli ingrandimenti visuali.[1]
Valori di ingrandimento maggiori di 1×, servono per rendere maggiormente visibili i particolari e dettagli più fini di un oggetto, aumentando direttamente la risoluzione della sua immagine (quando è possibile). Così, per gli oggetti lontani, si usano strumenti ottici per l'osservazione da lontano, tipo binocoli, cannocchiali o mirini e telescopi, mentre per gli oggetti vicini si usano strumenti, quali lenti d'ingrandimento, microscopi, ecc.
L'ingrandimento visuale o angolare, è il rapporto tra l’angolo sotto il quale è vista dall’occhio l’immagine dell’oggetto data dallo strumento e l’angolo sotto cui l’oggetto è visto ad occhio nudo (tale rapporto varia al variare della distanza dell’oggetto dallo strumento), con riferimento all’immagine virtuale (cioè quella fornita dagli strumenti ausiliari dell’occhio, quali microscopio o cannocchiale, ecc.).[1][2]
L'ingrandimento convenzionale o commerciale per le lenti d’ingrandimento e gli oculari (per il quale si intende che nella visione con la lente, l’oggetto sia quasi nel fuoco anteriore e che nella visione a occhio nudo l’oggetto si trovi alla distanza della visione distinta, assunta pari a 250 mm) è il rapporto tra la distanza della visione distinta a occhio nudo e la distanza focale della lente; così, per avere forti ingrandimenti conviene usare lenti di piccola distanza focale (cioè, con lunghezza focale corta o con potere diottrico maggiore).[1]
In fotografia, con ingrandimento si intende quel processo per ottenere una copia fotografica di dimensioni maggiori, da un negativo, mediante apparecchi detti ingranditori, o anche la copia fotografica stessa, così ottenuta (es: un bell’ingrandimento a colori ).[1]
L'ingrandimento lineare, anche detto «rapporto di ingrandimento o di riproduzione», è il rapporto tra le dimensioni reali, omologhe, dell’immagine e dell’oggetto, con riferimento all’immagine reale (cioè quella raccolta su una lastra fotografica, su uno schermo, ecc.). [1]
Valori di ingrandimento inferiori a 1× («rimpicciolimento»), li si trova spesso nelle caratteristiche dei mirini ottici oculari per il puntamento delle fotocamere (es: 0,72x, 0,62x, ecc), e servono solitamente per ampliare il campo visivo e rendere maggiormente visibili le zone periferiche intorno ad un oggetto, aumentando la sua contestualizzazione all'interno dell'inquadratura (quando è possibile).
L'ingrandimento ottico è in ogni caso strettamente legato alla visione umana e alla percezione visiva: è un ingrandimento apparente che non modifica mai la prospettiva, nonostante l'effetto che solitamente produce, fa apparire l'oggetto osservato come se si fosse avvicinanto a noi (o viceversa): quando ci avviciniamo fisicamente ad un oggetto, la sua dimensione sulla retina aumenta e percepiamo questo aumento come un ingrandimento a tutti gli effetti (detto, «effetto prospettico»); infatti, avvicinare gli occhi agli oggetti (entro le possibilità fisiologiche) fa aumentare la visibilità effettiva dei dettagli e la dimensione apparente, ma cambia realmente il punto di vista (ovvero, la prospettiva). E l'ingrandimento fornito da uno strumento per l'osservazione da lontano, tende a modificare questa naturale e comune conoscenza e consapevolezza umana, creando quello che in gergo viene chiamato «schiacciamento dei piani» nella profondità della scena o anche distorsione prospettica, benché non avvenga nessuna distorisione ottica reale, essendo solamente un effetto ottico dato dall'ingrandimento.
L'ingrandimento visuale è calcolato dall'angolo sotteso di una dimensione apparente dell'oggetto (la larghezza o l'altezza) ed è inteso come il rapporto tra la dimensione apparente (vista nello strumento) e la dimensione dell'oggetto vista ad occhio nudo.
Per gli strumenti ottici con oculare, la dimensione lineare dell'immagine non può essere misurata con un metro, quindi l'unica dimensione possibile è quella che indica l'angolo sotteso dall'oggetto al punto focale. In termini tecnici, si considera la tangente dell'angolo. Quindi l'ingrandimento angolare è definito come: , e dove è l'angolo sotteso dall'oggetto al punto focale anteriore dell'obiettivo, mentre è l'angolo sotteso dall'immagine al punto focale posteriore all'oculare.
Ad esempio, siccome la dimensione angolare della luna piena vista ad occhio nudo è di 0.5°, usando un binocolo con ingrandimento 10x, la luna ora sottende un angolo di 5°.
Per le immagini reali, come quelle proiettate su uno schermo, la dimensione ne indica una lineare, cioè quella misurata in millimetri o con unità di misura equivalenti.
Per le lenti di ingrandimento e i microscopi ottici, dove la dimensione dell'oggetto è una dimensione lineare e la misura apparente un angolo, l'ingrandimento è convenzionalmente il rapporto tra la dimensione apparente vista nell'oculare e la dimensione angolare dell'oggetto posizionato alla distanza di 25 cm dall'occhio (massima distanza vicina, oltre la quale emerge clinicamente una presbiopia).
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