Femminismo islamico
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Il femminismo islamico è una forma di femminismo interessato a valorizzare il ruolo delle donne nell'Islam e a riprendere l'etica ugualitaria delle fonti del diritto islamico (Corano e Sunna) al fine di adattarle alle evoluzioni sociali contemporanee. Esso mira alla piena uguaglianza di tutti i musulmani, a prescindere dal sesso, nella vita pubblica e privata. Le femministe islamiche sostengono i diritti delle donne, l'uguaglianza di genere e la giustizia sociale basandosi in un contesto islamico. Sebbene radicate nell'Islam, le pioniere del movimento hanno utilizzato anche discorsi femministi laici, occidentali, o comunque non musulmani, e hanno riconosciuto il ruolo del femminismo islamico come parte di un movimento femminista globale integrato.[1]
I sostenitori del movimento cercano di evidenziare gli insegnamenti profondamente radicati di uguaglianza nella religione, e incoraggiare a mettere in discussione l'interpretazione patriarcale degli insegnamento islamici attraverso Corano (libro sacro), ḥadīth (detti di Maometto) e shari'a (Legge) verso la creazione di una società più equa e giusta.[2]
Paesi a maggioranza islamica hanno prodotto vari capi di stato, primi ministri, segretari di stato donne: Lala Shovkat in Azerbaigian, Benazir Bhutto in Pakistan, Mame Madior Boye in Senegal, Tansu Çiller in Turchia, Kaqusha Jashari in Kosovo, e Megawati Sukarnoputri in Indonesia. Il Bangladesh è stato il secondo paese al mondo (dopo Maria I ed Elisabetta I nel XVI secolo in Inghilterra) ad avere il governo di una donna subito dopo un'altra, con quelle due che erano Khaleda Zia e Sheikh Hasina, che hanno governato il paese come primi ministri dal 1991, più di quanto abbiano fatto gli uomini, che potrebbe rendere il Bangladesh unico nella storia delle repubbliche al mondo.[3]