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I fatti di Watts indicano una sommossa a sfondo razziale d'imponente portata durata per 6 giorni nell'agosto 1965. I centri maggiormente colpiti furono Watts (un distretto di Los Angeles) e i sobborghi contigui, anch'essi interessati da continui disordini multietnici. Alla fine della sommossa si contarono 34 morti, 1.032 feriti e 3.952 arresti.[1][2] Si trattò di una delle rivolte più crude e violente della storia degli Stati Uniti d'America, superata per entità di danni solo dalla rivolta di Los Angeles.[senza fonte]
Fatti di Watts | ||||
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La polizia arresta un manifestante | ||||
Data | 11 - 17 agosto 1965 | |||
Luogo | Watts (Los Angeles) | |||
Causa | arresto di un uomo di colore | |||
Esito | Polizia e Guardia Nazionale riuscirono a ristabilire l'ordine a Watts | |||
Schieramenti | ||||
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I disordini iniziarono l'11 agosto, quando Lee Minikus, un poliziotto della California Highway Patrol, fermò Marquette Frye, un uomo afroamericano in apparente stato di ebbrezza per via della propria andatura irregolare in automobile. Dopo aver eseguito i controlli standard del test anti-droga e verifiche per accertarne l'eventuale ubriachezza, Frye venne portato al distretto di Watts. Il caso si complicò quando Ronald Frye, fratello di Marquette, richiese al distretto di concedergli il ritiro dell'auto per riportarla a casa, ma Minikus, incaricato delle indagini, negò l'autorizzazione al ritiro poiché l'auto era sotto sequestro.
Lo stesso giorno dell'arresto, alcune persone di colore contestarono la scelta della polizia, mostrando rumorose proteste in favore dell'arrestato. Passati i manifestanti afroamericani da poche decine a centinaia, la situazione cominciò a sfuggir di controllo.[3] Alla manifestazione si aggiunsero Ronald e sua madre, che insieme alla folla iniziarono a contestare in modo violento, lanciando sassi e oggetti vari contro il dipartimento di polizia in cui era rinchiuso Marquette.[4]
Vennero quindi arrestate altre tre persone, due delle quali erano Ronald Frye e la madre, ma la violenza dilagò senza che la polizia potesse fare nulla, e nei sei giorni che seguirono il sobborgo venne messo a ferro e fuoco.[5]
L'annuncio dei nuovi arresti, nei tre casi nuovamente persone di colore, scatenò la sommossa. Nel primo giorno vennero distrutti negozi appartenenti sia a bianchi sia a neri e incendiati edifici, mentre si susseguirono le risse, le aggressioni e le missioni punitive a sfondo razziale da entrambe le parti, nonché atti di vandalismo. La polizia non reagì, ma venne comunque coinvolta da centinaia di manifestanti di colore che scelsero la violenza, ingaggiando scontri feroci con le forze dell'ordine e impedendo agli uomini del Los Angeles Fire Department di spegnere gli incendi.
Gli scontri tra i bianchi americani e i neri si fecero sempre più violenti e accesi, tanto che agli atti di ordinario vandalismo si aggiunsero raid contro i negozi e incendi ad automobili appartenenti a persone di entrambe le fazioni. Pochissima gente, preferendo rimanere chiusa in casa lontana dagli scontri, non partecipò alla rivolta. Ad alimentare la tensione razziale vi furono anche le dichiarazioni di William Parker, direttore della LAFD, che in un'intervista descrisse gli afroamericani rivoltosi come "scimmie dello zoo".[4]
Lo Stato della California stimò i danni finali della sommossa sui 40 milioni di dollari, da aggiungere agli oltre mille edifici distrutti dalle fiamme. I danni superiori furono rilevati nel quartiere con concentrazione maggiore di bianchi, con incendi dolosi provocati nel centro urbano ai danni di attività commerciali e non.
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