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La fàlera[1] era in origine un disco laterale dell'elmo cui si fissavano gli allacci[2]. Il termine falera designa per esteso un disco in metallo che serviva come semplice elemento decorativo, atto a ornare sia le corazze degli uomini sia la bardatura dei cavalli, oppure come decorazione al valor militare, in varie epoche e presso diverse popolazioni (celtiche, etrusche e romane).
La falera era spesso costituita da un rialzo centrale (umbone).[3][4] Limitatamente al caso dei ritrovamenti di falere che provengono dal comune di Manerbio in provincia di Brescia, queste sono riconducibili alla tribù celtica dei Cenomani.[5] Sul calderone di Gundestrup, datato al II secolo a.C., si possono notare cavalli ornati con falere.
In epoca romana le falere furono utilizzate come ricompense militari romane per gli ambasciatori esteri, specialmente di origine gallica. Erano utilizzate dagli Etruschi e furono introdotti a Roma dal quinto re, Tarquinio Prisco.[6] Al tempo di Polibio, in età repubblicana, le decorazioni erano concesse al cavaliere che aveva riportate le spoglie di un nemico, mentre in età imperiale, alla truppa, ovvero legionari e ausiliari (falerati) che si erano distinti in battaglia. Erano concesse anche collettivamente ad ali e coorti.[7] Sui monumenti romani appaiono di solito nel numero di nove, unità geometricamente uniforme. In dosso ai soldati erano disposte su tre linee, legate con corregge ortogonali a formare un pettorale, indossato poi sulla corazza, in modo da essere agganciate. Le falere potevano essere anche sfoggiate sulle insegne (vexilla e signa) dei reparti militari.
Nel nono libro dell'Eneide si ricordano le falere esibite da Ramnete.
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