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vescovo cattolico italiano (1752-1843) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Fabrizio Selvi (Sorano, 18 gennaio 1752 – Siena, 11 dicembre 1843) è stato un vescovo cattolico italiano.
Fabrizio Selvi vescovo della Chiesa cattolica | |
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Incarichi ricoperti | Vescovo di Grosseto (1793-1835) |
Nato | 18 gennaio 1752 a Sorano |
Ordinato presbitero | 14 aprile 1776 |
Nominato vescovo | 17 giugno 1793 da papa Pio VI |
Consacrato vescovo | 23 giugno 1793 dal cardinale Andrea Corsini |
Deceduto | 11 dicembre 1843 (91 anni) a Siena |
Nato a Sorano, nella diocesi di Sovana, il 18 gennaio 1752,[1] fu ordinato sacerdote nel 1776. Il 17 giugno 1793 venne nominato vescovo di Grosseto da papa Pio VI[2] e fu consacrato il 23 giugno dal cardinale Andrea Corsini e gli arcivescovi Antonio Felice Zondadari e Giovanni Francesco Guidi di Bagno-Talenti.
Selvi resse la diocesi grossetana per quarantadue anni.[1] Il 20 novembre 1803 permutò l'edificio del vecchio episcopio, il palazzetto Gigli presso la cattedrale, con quello dell'attuale palazzo vescovile, già proprietà dei conti Ariosti.[1] Il 21 luglio 1819 cedette al comune di Grosseto le terme di Roselle, proprietà della mensa vescovile.[1]
Il vescovo è ricordato per i suoi rapporti filo-francesi durante l'occupazione napoleonica. Soggiornò più volte a Parigi ed entrò a fare parte di un gruppo di ecclesiastici napoleonici chiamati "i rossi": nel 1814 fu insignito dell'Ordre impérial de la Réunion.[3][4] Presso il museo d'arte sacra della diocesi di Grosseto è conservato un calice, realizzato dall'orafo Jean Baptiste Famechon a Parigi tra il 1811 e il 1813, appartenuto al Selvi e a lui donato da Napoleone Bonaparte, come egli stesso riferiva.[1][3][4] L'ecclesiastico donò il calice insieme ad una patena sempre parigina alla cattedrale di Grosseto nel 1817, come si legge nell'iscrizione sotto il piede del calice.[1][4]
Si dimise dalla carica vescovile il 9 giugno 1835, lasciando la sede vacante per due anni, finché non venne nominato il suo successore, Giovanni Domenico Mensini. Trascorse gli ultimi anni, gravemente malato, a Siena, dove morì l'11 dicembre 1843 e fu tumulato nella chiesa di San Donato.[1] Nel testamento lasciava 7 000 scudi complessivi per il rifacimento della facciata del duomo di Grosseto, per il mantenimento di un sordomuto di cittadinanza grossetana a Siena e per l'istruzione di tre chierici grossetani presso il seminario vescovile senese.[1]
La genealogia episcopale è:
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