Estetica trascendentale
parte della Critica della ragion pura di Immanuel Kant / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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L'Estetica trascendentale è la prima parte della Critica della ragion pura (1781; seconda edizione 1787), opera del filosofo prussiano Immanuel Kant.[1]
La parola estetica, in questo contesto, non rinvia alla scienza del bello (trattata da Baumgarten nella sua Aesthetica del 1750 e poi dallo stesso Kant nella Critica del giudizio del 1790), ma alla teoria della sensibilità (Sinnlichkeit), intesa come capacità di ricevere intuizioni sensibili (Anschauungen).[2]
L'estetica è quindi per Kant la dottrina della sensibilità (la parola estetica deriva dal greco αἴσθησις, 'sensazione', 'percezione', dal verbo αἰσθάνομαι, 'percepire'). In questa parte dell'opera, Kant analizza infatti le condizioni a priori dell'intuizione sensibile. Kant ritiene che esistano solo due forme pure a priori della sensibilità: spazio e tempo; il primo è la forma dell'intuizione sensibile esterna, il secondo è la forma dell'intuizione sensibile interna. Entrambi sono forme dell'intuizione, non concetti, come Kant sottolinea in polemica con Leibniz.
Spazio e tempo non sono, secondo Kant, né indipendenti dagli oggetti e dalle loro relazioni (come riteneva Newton)[3] né mere relazioni o determinazioni di oggetti in sé non spazio-temporali (come riteneva Leibniz).[4] Essi sono, come scrive Shabel, "le forme trascendentalmente ideali delle nostre intuizioni di cose empiricamente reali".[5][6]
La Critica della ragion pura è così suddivisa:
- Dottrina trascendentale degli elementi
- Estetica trascendentale
- Logica trascendentale
- Dottrina trascendentale del metodo