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film del 1924 diretto da René Clair Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Entr'acte è un film del regista francese René Clair girato nel giugno 1924.
Entr'acte | |
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Una scena del film | |
Titolo originale | Entr'acte |
Paese di produzione | Francia |
Anno | 1924 |
Durata | 22 min |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,33:1 film muto |
Genere | sperimentale |
Regia | René Clair |
Soggetto | Francis Picabia |
Sceneggiatura | René Clair |
Produttore | Rolf de Maré |
Casa di produzione | Ballets suédois |
Fotografia | Jimmy Berliet |
Musiche | Erik Satie |
Interpreti e personaggi | |
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Il film è considerato il manifesto del cinema dadaista ed una delle opere più significative delle avanguardie francesi nel cinema.[1]
«In Entr'acte la poetica dadaista si dispiega nel pieno della sua libertà, creando un cinema in cui le immagini, libere finalmente dall'obbligo di produrre un senso e di raccontare una storia, diventano autentiche protagoniste del film; non hanno altro fine che se stesse, giocano tra loro, si associano, si dissociano, si compongono, si scompongono, si ricompongono, in un film-balletto che esprime magnificamente la gioia di vivere e di guardare.»
Sul tetto di un palazzo (il Théâtre des Champs-Élysées) un cannone punta minaccioso sulla città di Parigi. Arrivano due personaggi (Satie e Picabia) che lo caricano e sparano. È un rutilare di immagini. Marcel Duchamp e Man Ray giocano a scacchi su una terrazza. Appare una piazza di Parigi al centro della scacchiera (Place Vendôme) e un getto d'acqua, come pioggia sulla piazza, rovescia la scacchiera. Dei fantocci, la cui testa è un palloncino che si gonfia, sfilano in treno, mentre pugili si esibiscono in place de l'Opéra. Fiammiferi si muovono, sullo sfondo di una testa capelluta, poi si infiammano e l'uomo si gratta la testa.
Le colonne di un edificio vengono riprese da più angolazioni, mentre una barchetta di carta "vola" sui tetti di Parigi. La macchina da presa riprende da sotto, attraverso un pavimento trasparente su cui balla, una ballerina, che si scopre poi essere barbuta. Appaiono occhi rovesciati sullo sfondo del mare, e un uovo bagnato da uno spruzzo d'acqua. Un cacciatore in abiti tirolesi mira all'uovo, puntando il fucile dritto contro lo spettatore. L'immagine dell'uovo si sdoppia e si moltiplica, per poi venire colpito, mentre un colombo si poggia sul cappello del cacciatore. Un altro cacciatore mira allora al tirolese, che cade giù dal tetto. L'uovo ritorna integro.
I partecipanti a un funerale escono dalla chiesa dietro a un carro funebre trainato da un dromedario e adornato da ghirlande di pane, da cui gli invitati staccano e mangiano pezzi. In discesa, il corteo funebre, nel quale si riconoscono molti degli artisti parigini dell'epoca amici del regista, tra cui Marcel Achard, Georges Charensol, Pierre Scize e Marcel Duchamp nelle vesti femminili di Rrose Sélavy, prende velocità. In un crescendo di frenesia, acuita dal contrapporsi di scene di gare automobilistiche, montagne russe e traffico cittadino, la bara si stacca e rotola via, finendo in un prato. Tutti si recano attorno al catafalco che si apre e, nella sorpresa generale, esce un prestigiatore, che è lo stesso cacciatore, interpretato da Jean Börlin, il divo dei Balletti svedesi. Costui fa sparire la bara e poi, uno a uno, tutti i presenti. Rivolge infine la bacchetta contro se stesso per eseguire il medesimo incantesimo, per cui scompare dalla scena senza lasciare traccia.
Su un cartellone con la scritta fine irrompe, strappandolo, uno dei cannonieri della scena iniziale, interpretato da Picabia. Un calcio lo fa però tornare indietro, la scena si riavvolge su se stessa e la scritta ritorna integra.
Il titolo si traduce in italiano come Intervallo o Intermezzo. Il film nacque per essere proiettato durante l'intervallo tra i due tempi del balletto "istantaneista", Relâche, uno spettacolo dei Balletti Svedesi di Rolf de Maré con musica di Erik Satie, sceneggiatura e coreografia di Picabia e Jean Börlin.
La parola intervallo allude inoltre al dadaismo che concepisce l'opera d'arte, in questo caso l'opera cinematografica, libera da ogni struttura.[2]
Firma la sceneggiatura, composta solo di due pagine, il pittore Picabia. Si racconta che Picabia aveva annotato su un foglio di carta da lettere intestata, del ristorante "Chez Maxim's", una serie di appunti da trasmettere al regista René Clair:
«Levarsi del sipario:
Durante l'intermezzo:
René Clair da queste indicazioni sommarie attinse temi che concertò, tagliò, ritmò e ampliò.[3]
Clair rimase così colpito dalla figura di Satie che lo volle assolutamente nel suo film; da notare che il musicista è presente nella scena sul tetto del Théâtre des Champs-Élysées con il suo immancabile ombrello.[4]
Lo spettacolo fu messo in scena al Théâtre des Champs-Elysées il 4 dicembre 1924.
Satie è l'autore di Cinéma, musica di accompagnamento del film, che egli scrisse fra il 25 ottobre e il 5 novembre del 1924. Il brano è eseguito in sala da un'orchestra. È una musica ironica e ritmata, che si adatta fedelmente alle immagini, in quanto Satie, rinunciando a ispirazioni personali, si è messo completamente al servizio del regista[5] Nella sequenza del funerale si riconosce la citazione, in chiave di parodia, dell'incipit della Marcia funebre della Sonata n. 2 in Si bemolle minore di Chopin.[6]
Flauto, oboe, clarinetto, fagotto, due corni, due trombe, trombone, percussioni e archi.
Entr'acte è un gioco in cui ritroviamo le vecchie attrazioni del cinematografo: la sovrimpressione, la dissolvenza incrociata, lo split screen, il rallenti, l'accelerato, il primo piano, la soggettiva, il montaggio puramente ludico, la fuga-inseguimento, la sparizione alla Meliés.[7]
Molti particolari tipicamente dadaisti si potevano riconoscere nelle commedie scritte allora da Louis Aragon e Tristan Tzara, ma molte gag, specialmente nella seconda parte, provenivano dalle comiche d'anteguerra, di cui il dadaismo aveva subito l'influsso, segnatamente Feuillade, Jean Durand, Pathé e Mack Sennett.[8]
Il film ebbe un successo immediato e venne proiettato da solo nelle sale d'avanguardia.[1]
«Questo film voleva essere, secondo Picabia, un "...intermezzo alle imbecillità quotidiane e alla monotonia della vita." È la testimonianza di un allegro furore iconoclasta, tipico degli "anni folli". [...] Si tratta di una sorta di "cinema automatico" nello spirito del movimento Dada, cui Picabia si rifaceva. Clair vi aggiunge un omaggio a Georges Méliès e agli insegnamenti della Pathé che lo avevano incantato anni prima. Diversamente da Un chien andalou, molto più aggressivo, che Luis Buñuel e Salvador Dalì realizzeranno quattro anni più tardi, Entr'acte non vuole affatto scioccare ma solo divertire.»
Il film, e in particolare il corteo che insegue il carro funebre, è stato citato più volte, anche in tempi recenti, in alcuni film italiani, tra cui Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco, Tutti giù per terra di Davide Ferrario e La fame e la sete di Antonio Albanese.
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