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questione filosofico-teologica tra i pensatori scolastici del XII secolo, sorta da un passo della "Isagoge" di Porfirio (tradotta e commentata da Boezio) in cui si affrontava il problema della natura dei termini universali di genere e specie Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La disputa sugli universali (quaestio de universalibus) è la maggiore questione filosofico-teologica della scolastica, avente per base il concetto degli universali.
La questione si originò da un passo dell'Isagoge, opera del filosofo pagano Porfirio (discepolo di Plotino), tradotta e commentata da Boezio, nella quale si trattava della definizione dei termini universali di genere e specie (per esempio animale, uomo ecc.) applicabili a una molteplicità di individui.
Gli scolastici ripresero il problema, adattandolo al contesto culturale cristiano.
Porfirio aveva formulato la questione nel modo seguente:
«Per quanto riguarda i generi e le specie, circa la questione se siano entità esistenti in sé o siano solo semplici concezioni poste nella mente e, ammesso che siano esistenti, se siano corporee o incorporei e se infine siano separate o invece esistano nelle cose sensibili e in dipendenza da esse, mi asterrò dal parlare.»
La disputa si sviluppò nel XII secolo, contrapponendo Anselmo d'Aosta e Guglielmo di Champeaux, sostenitori della realtà degli universali (realismo), a coloro che sostenevano invece il carattere nominalistico degli universali (nominalismo), come Roscellino.
Il rapporto tra voces e res, tra linguaggio e realtà, al centro degli studi grammaticali e della dialettica, costituisce l'elemento essenziale della questione degli universali, vivacemente dibattuta nel secolo XII per le sue implicazioni linguistiche, gnoseologiche e teologiche.
Più in generale si tratta di un problema che riguarda la determinazione del rapporto tra idee o categorie mentali, espresse con termini linguistici, e le realtà extramentali, tra le voces e le res, tra le parole e le cose. Il problema investe dunque il fondamento e la validità della conoscenza e in genere del sapere umano. Possiamo ancora riformulare il problema e le soluzioni in questo modo:
gli universali possono essere:
Gli universali, quindi, o sono reali ed esistono prima delle cose, in Dio prima della creazione, o esistono nelle cose come essenza, conformemente al pensiero di Aristotele, o, infine, assumono realtà solo nel momento in cui la mente li ha formati.
Su questi punti si dividono i realisti, a cui si contrappongono i nominalisti, i quali negano qualsiasi realtà all'universale, che per essi è un semplice nome, flatus vocis.[2]
La disputa assunse ben presto connotazioni teologiche.
Roscellino, sostenendo il nominalismo, affermava che come l'umanità non è nulla di per sé, poiché la sua vera realtà è costituita dagli uomini, questi sì reali, che la compongono, sicché la divinità non è qualcosa di comune alle Tre Persone della Trinità, ma ognuna delle tre – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – è una realtà distinta dalle altre, per quanto identiche per il potere e la volontà.
Roscellino fu accusato, da Anselmo e da Abelardo, di triteismo, in quanto negatore del dogma della Trinità. Questa dottrina venne condannata dal Concilio di Soissons nel 1092. Roscellino per evitare la condanna dichiarò di avere errato e ritrattò.[3]
Abelardo, discepolo prima di Roscellino e in seguito di Guglielmo di Champeaux, contestò ambedue le tesi contrapposte.
Innanzitutto, non si può sostenere la realtà dell'universale ante rem, poiché nessuno è in grado di conoscere la mente divina, né ha senso sostenere l'esistenza dell'universale nelle cose, poiché esse sono sempre individuali, ma l'errore fondamentale che accomuna i realisti e i nominalisti è concordare nell'attribuire all'universale la caratteristica di res, cosa, che per i primi è un'essenza trascendente, per i secondi una mera vox, un'emissione vocale, un semplice nome.
In effetti – sostiene Abelardo – l'universale non è una cosa, non è nulla di materiale che stia negli individui o fuori di essi (in re o ante rem) ma è un sermo, un discorso, un significato logico-linguistico prodotto dalla nostra mente che elabora la realtà ma che non coincide con essa, limitandosi ad attribuirle un senso.
La novità nel dibattito, dovuta alla soluzione concettualistica, è il passaggio della discussione dall’esistenza degli universali al loro significato.
Il compromesso fra le tre soluzioni della disputa degli universali fu trovato da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino.
Gli universali sono:
All'interno dell'universale post rem si distingue una intentio prima o universale metafisico («che non è né uno né molteplice, ed è termine della definizione», cioè intenzione che si rivolge alle cose individuali) dalla intentio secunda (che è il genere o la specie astratta dalla mente,[4] e che può essere predicata di uno o più individui).[5]
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