Loading AI tools
disturbo da discontrollo degli impulsi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La dipendenza da Internet, nota anche come internet dipendenza (in inglese Internet addiction disorder, in acronimo IAD), è un disturbo da dipendenza legato a utilizzo intensivo e ossessivo di Internet[1] in tutte le sue forme, dalla navigazione sui social network, alla visualizzazione di filmati, al gioco online.
Il termine è stato coniato dal medico Ivan Goldberg nel 1995, il quale aveva per primo diffuso in rete un questionario diagnostico a scopo inizialmente goliardico e provocatorio[1][2]. Nonostante l'intenzione puramente ironica del questionario diagnostico, la sua diffusione ha subito riscontrato forte interesse tra gli utenti e acceso discussioni tra i clinici, che si sono confrontati nell'avvalorare o nel contestare la teoria dell'esistenza della nuova psicopatologia del millennio[1][3].
La "sindrome" di dipendenza dalla rete presenta segni e sintomi paragonabili al gioco d'azzardo patologico, classificato secondo i criteri diagnostici di nosografia categoriale del DSM-IV[4][5]. Nel 2013 è stata inserita nella Sessione III del DSM-5[6] la proposta di classificazione dell'"Internet Gaming Disorder" tra i disturbi di Dipendenza Patologica; si tratta di una proposta di nosografia diagnostica che necessita quindi di ulteriori studi sperimentali prima della sua validazione, e che pertanto non può essere utilizzata a fini legali o assicurativi. Diversi studiosi affermano tuttavia che la dipendenza da Internet non può essere classificata come uno specifico disturbo psichiatrico, ma deve piuttosto essere considerata come un sintomo psicologico che può manifestarsi nell'ambito di differenti quadri psicopatologici[1][7].
La dipendenza da Internet o Internet addiction è in realtà un termine piuttosto vasto che copre un'ampia gamma di comportamenti psicopatologici, le cui matrici comuni sembrano essere la disregolazione degli impulsi e la difficoltà nel gestire stati emotivi dolorosi[8]. La dipendenza da Internet e la dipendenza dal computer sono ormai inscindibilmente legate, tanto che i termini dipendenza online o dipendenza tecnologica vengono usati intercambiabilmente per indicare il fenomeno nel suo complesso[2].
La psicologa statunitense Kimberly Young[9] fu la prima al mondo a ipotizzare l'esistenza di un disturbo psicopatologico legato all'abuso di internet[5], fondando nel 1995 il primo centro di studi e terapie per le dipendenze tecnologiche, il Center for Internet Addiction[10]. In un suo primo studio del 1998, la ricercatrice ha riadattato il questionario psicodiagnostico utilizzato in ambito clinico per la diagnosi della dipendenza da gioco d'azzardo patologico (GAP) secondo i criteri del DSM-IV[5], per indagare le diverse tipologie e i diversi livelli di gravità dell'uso disfunzionale della rete. Il campione di indagine comprendeva 496 soggetti, di cui 396 sono risultati "Dipendenti" e 100 "Non-Dipendenti", secondo i criteri da lei selezionati per identificare l'uso patologico da quello non patologico di internet. Tra i 396 soggetti "Dipendenti", 157 erano uomini e 239 donne[5]. Il questionario diagnostico (Diagnostic Questionnaire, DQ) della Young comprendeva nella sua prima forma 8 item a risposta dicotomica si/no; i soggetti che rispondevano affermativamente a cinque o più item erano classificati come "Dipendenti". Le variabili indagate dal gruppo di ricerca della Young per appurare l'incidenza, il livello di gravità e la tipologia della sindrome da Dipendenza da Internet furono: 1) da quanto tempo il soggetto era utente di internet; 2) numero di ore di connessione a settimana; 3) tipologia di applicazioni maggiormente utilizzate; 4) in che misura e in quale ambito della vita quotidiana l'abuso di internet aveva avuto un'influenza negativa[5].
Dai risultati della sua ricerca, Kimberly Young ha individuato 5 specifiche tipologie di dipendenza online[7][11][12]:
La Young ha successivamente perfezionato il suo questionario diagnostico con lo IAT (Internet Addiction Test), composto da 20 item diversi.[12] che mirano a identificare coloro che fanno di Internet un uso prolungato (anche 40-50 ore a settimana) sino a trascurare gli affetti familiari, il lavoro, lo studio, le relazioni sociali e la propria persona (notti insonni, ansia, agitazione psicomotoria, depressione legata al fatto di essere off-line, sogni e fantasie riguardanti Internet)[5]. Alle domande si risponde scegliendo tra 5 modalità differenti: 1) rare volte; 2) occasionalmente; 3) piuttosto spesso; 4) spesso; 5) sempre. A seconda del punteggio ottenuto rispondendo a tutte le domande, il soggetto può autovalutare il suo livello di dipendenza da Internet identificandosi in uno dei tre profili che corrispondono a tre range di risultati possibili: a) massimo controllo dell'uso di Internet; b) si evidenziano problemi relativi all'impatto che l'uso della Rete ha sulla vita del soggetto; c) la Rete causa importanti problemi di dipendenza[12].
Un capitolo a parte sembra costituito ormai dall'uso degli smartphone, che essendo portatili si prestano facilmente a un utilizzo compulsivo. Tuttavia non si può parlare di dipendenza da smartphone in senso clinico, dato che non si tratta di un disturbo psichiatrico riconosciuto. La ricerca mostra però che molti utenti manifestano un "uso problematico dello smartphone", soprattutto legato al tempo eccessivo speso davanti allo schermo e alla tendenza a frammentare le attività e fare troppe cose contemporaneamente.[20][21][22] Recenti studi mostrano anche che l'uso problematico dello smartphone si distribuisce in maniera ineguale tra i giovani: chi ha minori risorse socio-economiche tende a farne un uso più pervasivo e ad averne maggiori conseguenze negative.[23]
Nel 2019, il giornalista francese Bruno Patino ha pubblicato La civiltà del pesce rosso (La civilisation du poisson rouge) in cui argomenta che l'utilizzo degli smartphone è strutturato in modo da provocare la consultazione compulsiva: lui stesso nel 2018 avrebbe consultato il suo smartphone 198.000 volte, cioè 542 volte al giorno, 30 volte all'ora e una volta ogni 3 ore di sonno. Questo avrebbe portato il tempo medio di attenzione a 9 secondi, cioè solo 1 secondo di più del pesce rosso[24]. Secondo un'inchiesta, il 41% dei Francesi rinuncerebbe al sesso mattutino o serale piuttosto di privarsi dello smartphone: la proporzione della dipendenza da smartphone preoccupa psicologi, neurologi e medici[25].
In un comunicato stampa del 2018, la Apple ha dichiarato di essere consapevole del problema e di avere fornito alcuni strumenti in modo da disattivare le notifiche delle applicazioni su smartphone[26].
Nel suo libro "Digital Minimalism" Cal Newport, professore di informatica alla Georgetown University, propone una filosofia chiamata appunto "minimalismo digitale", con la quale propone un utilizzo più sano di Internet e in particolare degli smartphone. Fra i suoi consigli, quelli di tentare una sconnessione totale dai social per la durata di un mese, senza avvisare i propri contatti[27], non usare lo smartphone come sveglia bensì usare una normale sveglia, non portare mai il cellulare addosso quando si è in casa bensì tenerlo in un "phone foyer" per la ricarica[28].
Un sintomo connesso alla nomofobia è la sindrome da vibrazione fantasma, chiamata anche "ringxiety" (termine che nasce dall'unione tra i termini inglesi "ring" e "anxiety"). La sindrome da vibrazione fantasma è il disturbo di cui soffre chi crede di avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio cellulare. Tali persone manifestano stati d'ansia dovuti a squilli o vibrazioni che in realtà non esistono.[29]
Un ulteriore fenomeno collegato alla dipendenza da smartphone è il phubbing (termine nato dalla fusione tra "phone" e "snubbing", in italiano snobbare, ignorare). Per phubbing si intende l'atteggiamento scortese e maleducato che indurrebbe a controllare di continuo lo smartphone, isolandosi e trascurando la persona con cui si è impegnati in una qualsiasi situazione sociale.[30] La ricerca mostra che il phubbing si associa in chi lo subisce minore coinvolgimento nella relazione e percezione di solitudine, nei rapporti amicali, di coppia e genitori-figli.[31]
Le numerose ricerche epidemiologiche presenti in letteratura su questo disturbo riportano 4 fattori di rischio principali che potrebbero predisporre all'insorgere di psicopatologie legate all'uso di internet:
Numerosi studi di ricerca sul campo confermano come la dipendenza da internet sia associata spesso ad altri disturbi psichiatrici, in particolar modo all'abuso di sostanze, alla sindrome da deficit dell'attenzione e dell'iperattività(ADHD), alla depressione, al disturbo d'ansia sociale, e al disturbo di personalità ossessivo-compulsivo.
Oltre al fattore di vulnerabilità rappresentato dalla personalità pre-morbosa, le più recenti teorie eziopatogeniche affermano che la Rete sia in grado, di per sé, di causare forte dipendenza anche nelle personalità non affette da alcun disturbo psichiatrico, in quanto essa fa sperimentare stati di onnipotenza[33] in cui l'individuo sente di avere il pieno controllo sulla realtà virtuale e sulle relazioni che intrattiene online[1][3][7][19].
In particolare, secondo diversi specialisti di tecnologia e informatica, il design degli smartphone e dei social media ricalcherebbe da vicino quello delle slot machine e sarebbe appositamente studiato per creare dipendenza[34][35][36], comportando conseguenze a livello cognitivo per es.sull'apprendimento[37]
Questo tipo di condizionamento è stato studiato da Burrhus Skinner nella famosa "gabbia di Skinner", in cui ha provocato un comportamento di dipendenza in un piccione[38].
«Il vero motivo per cui noi continuiamo a scorrere la bacheca di Facebook o di Instagram è perché attendiamo la nostra ricompensa, esattamente come i piccioni del professor Skinner […] La ragione per cui queste compagnie hanno così tanto successo è perché riescono a governare i meccanismi della mente […] Ci sarà di sicuro un prezzo da pagare per questa rivoluzione che stiamo vivendo, e una parte sarà pagata dalla nostra attenzione.»
Il riferimento al piccione è abbastanza noto nell'ambiente informatico, infatti è stato ripreso come pubblicità negativa, per esempio da Xiaomi contro la Apple in riferimento al costo del suo iPhone[39]
Sia Cal Newport che Bruno Patino insistono sul fatto che la ragione profonda della dipendenza da smartphone è meno tecnologica e più economica: in pratica le aziende produttrici sia di smartphone che di applicazioni (es. Facebook) hanno lavorato per anni per creare delle "esche" in modo da indurre l'utente a non staccarsi dal dispositivo, impiegando veri e propri "ingegneri dell'attenzione". Per esempio, la "spia rossa" di Facebook avrebbe dimostrato di essere molto più efficace nell'attirare utenti invece della spunta blu[40], e sembra che malgrado i tentativi degli utenti di disabilitarla, questa si ripresenti[41]. È noto inoltre che Facebook negli ultimi 5 anni avrebbe impresso una forte accelerazione negli scambi grazie a specifici algoritmi per ottenere più guadagni[42].
Questa pianificazione per distogliere l'attenzione dell'utente da quello che sta facendo e portarlo a visionare il contenuto proposto costituisce il "capitale di attenzione" che ogni azienda cerca di procurarsi[43]. Si parla quindi di economia dell'attenzione (attention economy)[44]
Nella fase iniziale della sindrome IAD, il soggetto avverte il bisogno di prolungare la sua connessione ad internet fino a 5-6 ore al giorno, fino a quando diventerà per lui sempre più difficile interrompere il collegamento[1][5][7][19]. Nella fase più avanzata, il soggetto subisce importanti disagi nella sua vita relazionale e lavorativa a causa delle numerose ore trascorse in rete, la quale diventa per lui una realtà parallela che egli preferisce a quella della vita reale. Tra le primissime teorie relative al decorso della sindrome della Dipendenza da Internet, nel 1998 lo psichiatra italiano Cantelmi definisce la prima fase della patologia come “tossicofilia”[2][15][19], in cui il soggetto si impegna in un controllo man mano sempre più ossessivo della sua mailbox e naviga spesso in molteplici siti web e forum come semplice osservatore (fase del “lurker”), senza mai esporsi o interagire direttamente. In questa fase “esplorativa”, il soggetto non è ancora un utente esperto della rete, anche se ne è attirato[1][2][15][19]. Nella seconda fase, definita da Cantelmi “tossicomanica”, avendo acquisito maggiori competenze sull’uso della rete, il soggetto comincia progressivamente ad aumentare il numero di ore di connessione e a partecipare sempre più attivamente a siti di discussione tra più utenti, oppure a scambiare messaggi privati con un solo utente; nei momenti di disconnessione da internet, si manifestano sintomi ingravescenti di ansia, irritabilità, aggressività, e irrequietezza. Nella fase più acuta della dipendenza, il soggetto ha costruito un alter-ego virtuale (avatar) con cui interagisce con altri utenti all’interno di giochi di ruolo ambientati in una realtà virtuale. Egli perde progressivamente interesse per la sua vita reale e le relazioni, con grave compromissione della sfera lavorativa e affettiva. Le relazioni intrattenute online acquistano maggiore importanza di quelle reali[1][2][15][19]. Secondo quanto osservato in alcuni quadri clinici, ulteriori sintomi psicopatologici legati alla dipendenza da internet possono essere, nella fase acuta, sintomi di dissociazione e depersonalizzazione, alterazione degli stati di coscienza e della memoria, dispercezioni, allucinazioni, deliri, sintomi di astinenza e di tolleranza[1][2][3][7]
Le persone maggiormente a rischio di contrarre questa forma di Dipendenza da Internet sono quelle con difficoltà comunicative-relazionali[1][8][19][33]. In questi casi la dipendenza costituisce un comportamento di evitamento attraverso cui il soggetto si rifugia nella rete per sfuggire alle sue problematiche esistenziali. Le relazioni che si instaurano attraverso la rete tendono ad essere idealizzate, e spesso restano tali, con l'intento di rispondere ai propri bisogni relazionali e affettivi[1][2][7][15][19]. In questi contesti, inoltre, la persona spesso fornisce di sé un'immagine idealizzata e irrealistica, utilizzando dei nickname che se da un lato mascherano la propria identità, consentendo alla persona di sperimentare un anonimato spesso facilitatore[1][7][19], dall'altro le permettono anche di rivelare di sé alcuni aspetti selezionati, come interessi e preferenze che possono trasparire dalla scelta di immagini e soprannomi. Tonino Cantelmi attribuisce la diffusione del fenomeno IAD alla capacità della rete di soddisfare nell’immediato molteplici bisogni dell’individuo. Proprio sull’individuazione della specificità di questi bisogni, Cantelmi ha costruito il primo questionario psicodiagnostico in Italia volto a riconoscere la particolare tipologia e il livello di gravità di internet addiction di cui soffre il soggetto (Uso e Abuso di Internet, questionario UADI)[45][46][47].
Il contributo più importante allo studio di questa nuova patologia in Italia si deve allo psichiatra Tonino Cantelmi, il quale fu il primo a diagnosticare l'Internet Addiction Disorder in quattro pazienti da lui seguiti (1998)[48]. Cantelmi presenta i risultati delle sue osservazioni cliniche nella relazione tenuta a Roma al III Convegno Nazionale ARFN (Associazione per la Ricerca e la Formazione Neuropsicosociale) nell’aprile dello stesso anno[49]. La relazione sulla scoperta della nuova psicopatologia del secondo millennio riceve immediatamente forte attenzione mediatica, che vede l’opinione pubblica dividersi tra scettici e avvallatori della teoria neopatogena[1][2][3].
Sempre nello stesso anno, Cantelmi pubblica insieme al collaboratore Massimo Talli un articolo su Psicologia Contemporanea[2], in cui descrive il fenomeno già conosciuto in America dal 1995 e formula le prime ipotesi eziopatogeniche e di comorbidità del disturbo. Successivamente, egli avvierà diversi progetti di ricerca epidemiologica in Italia, che saranno la base per le sue numerose successive pubblicazioni sull’argomento, oltre che per la costruzione e la validazione scientifica del suo strumento diagnostico UADI (Uso, Abuso e Dipendenza da Internet)[19][45][46][47]. Secondo lo psichiatra romano, non è del tutto corretto accomunare il Gioco D’azzardo Patologico e lo Shopping Compulsivo al disturbo da Dipendenza da Internet, in quanto quest’ultimo ha una matrice fortemente relazionale forse anche più significativa di quella della disregolazione degli impulsi[19][32]. Cantelmi rappresenta ancora oggi uno dei massimi esperti della sindrome IAD in Italia.
Da novembre 2009 all'Ospedale Policlinico Il Gemelli è stato aperto il primo ambulatorio ospedaliero italiano specializzato nella dipendenza da Internet.[50]
Nel marzo 2014 c'è stato a Milano il "First International Congress on Internet Addiction Disorders" organizzato dal centro ESC[51].
Il 2 dicembre 2017 c’è stato ad Ancona la “Prima Giornata Nazionale sulle Dipendenze Tecnologiche” organizzata dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo “Di.Te.”
Il primo strumento psicodiagnostico ad essere stato realizzato in Italia per la diagnosi del disturbo IAD è la scala UADI (Uso, Abuso e Dipendenza da Internet)[19][45][46][47], progettata e convalidata da Tonino Cantelmi e i suoi collabortatori nel 2001 su un campione di 241 soggetti (163 maschi e 78 femmine tra i 13 e i 57 anni), la maggior parte con titolo di studio di scuola media superiore. Tale scala è composta da 80 item che indagano non solo il numero di ore trascorso in rete e il loro impatto sulla vita reale (come precedentemente proposto dal questionario della Young), ma anche i sintomi che il soggetto sperimenta nei momenti in cui è on- e off-line, e il particolare sistema motivazionale attivato dall’uso della rete[19][45][46][47]; Cantelmi infatti riconosce il fattore che mantiene in essere la dipendenza nella capacità della rete di soddisfare molteplici bisogni dell’individuo, in particolare quelli della scala di Maslow[46], quali il bisogno di relazionarsi con altri, il bisogno di appartenenza, il riconoscimento sociale, e l’autorealizzazione[46]. Sulla base della tipologia di sintomi e comportamenti indagati dagli 80 item della scala di Cantelmi è stata condotta un’analisi fattoriale che ha raggruppato la spiegazione del 40% della varianza tra soggetti normali e soggetti abusanti la rete entro 5 dimensioni principali: Evasione, Dissociazione, Impatto sulla vita Reale, la Sperimentazione, e la Dipendenza. La prima dimensione, l’Evasione, fa riferimento al tentativo di fuga dalla realtà degli utenti, che trovano in internet una compensazione o un sollievo dai problemi della vita quotidiana. La seconda variabile, la Dissociazione, indaga la presenza di sintomi dissociativi come dispercezioni, depersonalizzazione e derealizzazione, oltre che all’estraneazione dal mondo reale. La variabile Impatto sulla Vita Reale è una valutazione della misura in cui le ore trascorse in internet non abbiano già danneggiato la vita sociale, relazionale, accademica o lavorativa del soggetto. La Sperimentazione si riferisce al bisogno di sperimentare nuove identità o versioni di Se stessi, anch’esso soddisfatto dall’anonimato della rete. La dimensione della Dipendenza indaga invece la presenza di sintomi legati all’astinenza, quali il craving, la tolleranza, la compulsività e l’irrequietezza quando il soggetto è offline[19][45][46][47]. Ai 241 soggetti della ricerca erano stati somministrati i test personologici Minnesota Multiphasic Personality Inventory 2 (MMPI-2) e Big Five Questionnaire (BFQ), al fine di indagare eventuali profili di personalità particolarmente correlati con l'abuso di internet[47]
Seamless Wikipedia browsing. On steroids.
Every time you click a link to Wikipedia, Wiktionary or Wikiquote in your browser's search results, it will show the modern Wikiwand interface.
Wikiwand extension is a five stars, simple, with minimum permission required to keep your browsing private, safe and transparent.