Dawes Act
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Il Dawes Act del 1887 (noto anche come General Allotment Act o Dawes Diversity Act del 1887)[1][2] regolava i diritti sulla terra nei territori tribali negli Stati Uniti. Prese il nome dal senatore Henry L. Dawes del Massachusetts, e autorizzava il presidente degli Stati Uniti a suddividere le proprietà terriere nei comuni tribali dei nativi americani in assegnazioni per i capifamiglia e gli individui dei singoli nativi. Ciò convertì i sistemi tradizionali di proprietà fondiaria in un sistema di proprietà privata imposto dal governo, costringendo i nativi americani ad "assumere una relazione capitalista e proprietaria" che in precedenza non esisteva nelle loro culture.[3] L'atto concesse alle tribù la possibilità di vendere le terre rimaste dopo l'assegnazione, al governo federale. Prima che la proprietà privata potesse essere dispensata, il governo doveva determinare "quali indiani erano idonei" per le assegnazioni, il che spinse una "ricerca ufficiale di una definizione federale di indianità".[4]
Sebbene l'atto fosse stato approvato nel 1887, il governo federale, successivamente, implementò il Dawes Act "tribù per tribù". Ad esempio, nel 1895, il Congresso approvò l'Hunter Act, che amministrava il Dawes "tra gli Ute meridionali".[5] Lo scopo nominale dell'atto era proteggere "la proprietà dei nativi" ma anche costringere "il loro assorbimento nel mainstream americano".[6]
I popoli indigeni ritenuti "di sangue misto" furono costretti ad accettare la cittadinanza statunitense, mentre altri furono "detribalizzati".[4] Tra il 1887 e il 1934, come risultato dell'atto, i nativi americani "persero il controllo di circa 40,5 milioni di ettari di terra" o circa "due terzi di quella che detenevano nel 1887".[7] La perdita di terre e la rottura della leadership tradizionale delle tribù produssero effetti culturali e sociali negativi che da allora hanno spinto gli studiosi a riferirsi all'atto come a una delle politiche statunitensi più distruttive per i nativi americani nella storia.[3][4]
Le "cinque tribù civilizzate" (Cherokee, Chickasaw, Choctaw, Muscogee e Seminole) erano inizialmente esentate dal Dawes Act. Nel 1893 venne costituita la Commissione Dawes come delegazione per registrare i membri delle tribù per l'assegnazione delle terre. Vennero a definire l'appartenenza tribale in termini di quantismo sanguigno. Ma, poiché non esisteva un metodo per determinare le linee di sangue precise, i membri della commissione spesso assegnavano lo "stato di sangue intero" ai nativi americani che erano percepiti come "scarsamente assimilati" o "legalmente incompetenti" e "stato di sangue misto" ai nativi americani che "somigliavano di più ai bianchi", indipendentemente da come si identificassero culturalmente.[4]
Il Curtis Act del 1898 estendeva le disposizioni del Dawes Act alle "Cinque tribù civilizzate", richiedeva l'abolizione dei loro governi e lo scioglimento dei tribunali tribali, l'assegnazione di terre comuni a individui registrati come membri della tribù e la vendita di terre dichiarate eccedentarie. Questa legge era "una conseguenza della corsa alla terra del 1889 e completò l'estinzione delle rivendicazioni di terra indiane nel territorio, in violazione della promessa degli Stati Uniti che il territorio indiano sarebbe rimasto terra indiana in perpetuo" e finì per completare l'annullamento dei titoli di terra tribali nel territorio indiano preparando l'ammissione della terra del territorio all'Unione come Stato dell'Oklahoma.[8]
Il Dawes Act venne nuovamente modificato nel 1906 con il Burke Act.
Durante la Grande depressione, il 18 giugno 1934 l'amministrazione Franklin D. Roosevelt approvò l'US Indian Reorganization Act (noto anche come legge Wheeler-Howard). Proibiva qualsiasi ulteriore assegnazione di terra e creava un "New Deal" per i nativi americani, che rinnovava i loro diritti di riorganizzarsi e formare autogoverni al fine di "ricostruire una base di terra adeguata".[9][10]