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Con l'espressione collaborazionismo in Francia si intende descrivere tutte le attività di supporto e cooperazione che la Francia di Vichy mise in atto tra il 1940 e il 1944 nei confronti del Terzo Reich, che in quel lasso di tempo occupava il territorio transalpino. Collaborazionisti furono definiti sia i sostenitori del governo di Vichy nel sud sia anche quelli del governo tedesco d'occupazione (amministrazione militare tedesca della Francia) diretta nel nord (compresa Parigi) e sulla costa atlantica.
Il 16 giugno 1940 - quando l'invasione nazista aveva ormai raggiunto tutti i suoi obiettivi tattici e strategici - il presidente della Repubblica Albert Lebrun nominò primo ministro il maresciallo Pétain, che in quel momento svolgeva l'incarico di ambasciatore presso la Spagna franchista ed era gradito dagli ambienti di estrema destra; il nuovo governo francese, guidato dall'anziano militare, si affrettò subito a firmare l'armistizio con i tedeschi (22 giugno).
La collaborazione, favorita anche dalle non esagerate richieste armistiziali tedesche, fu lanciata dopo l'incontro tra Pétain ed Adolf Hitler a Montoire-sur-le-Loir, avuto luogo il 24 ottobre 1940, in cui avvenne la famosa «stretta di mano di Montoire». Il governo di Vichy diventò il principale attore del collaborazionismo europeo quando il suo vicepresidente, l'ammiraglio Darlan, firmò con l'ambasciatore Otto Abetz i tre protocolli di Parigi del 28 maggio 1941.
Questi testi, che istituirono una collaborazione militare tra le forze armate tedesche e francesi in Siria-Libano, a Biserta ed in Tunisia, furono approvati personalmente da Pétain nel suo telegramma del 15 maggio 1941 al generale Dentz, alto commissario in Siria. Le disposizioni furono applicate totalmente in Siria e Libano e parzialmente in Africa del Nord, con la consegna al nemico di pezzi di artiglieria pesante e di munizioni, che furono in seguito usati contro i soldati francesi a Bir Hakeim e poi durante la campagna di Tunisia.
Lo Stato francese in seguito accordò, ricambiando diverse concessioni tra cui il rimpatrio dei prigionieri di guerra, il suo appoggio al regime nazista. Questo anche attraverso l'espulsione e la spoliazione dei beni, associata alla deportazione di stranieri (130.000) e di francesi ebrei (70.000)[1]. L'obbligo di portare la stella gialla non venne mai istituito nella zona sotto il controllo di Vichy, né vennero emanate leggi repressive o discriminanti nei confronti delle minoranze. Il regime fu però responsabile del rastrellamento del Velodromo d'inverno[senza fonte] (francese: Rafle du Vélodrome d'Hiver, comunemente chiamato Rafle du Vel' d'Hiv: "Retata del Vel' d'Hiv", dal nome con cui viene chiamato il Vélodrome d'Hiver - "Velodromo d'inverno", stadio e circuito per gare di ciclismo), che fu il maggiore arresto di massa contro ebrei sul suolo francese durante la seconda guerra mondiale, a Parigi, eseguita dalla polizia parigina, in cui furono arrestati 12.884 ebrei, tra cui 4.051 bambini e 5.802 donne. Le persone arrestate furono radunate in campi di detenzione, tra cui quello di Drancy, dove la sorveglianza era eseguita dalla gendarmeria francese.
Per meglio comprendere la stima di cui godeva il governo di Pétain tra i francesi, basti pensare che quando gli inglesi occuparono il Libano, solo 6.000 soldati su 31.000 accettarono di aderire alla "Francia libera" di De Gaulle, mentre gli altri rientrarono in Francia.[2]
Eppure, benché Pétain e Darlan siano stati largamente responsabili del collaborazionismo, alcuni osservatori degli avvenimenti di tale epoca esitano a classificarli tra i collaborazionisti. Il maresciallo era certo, all'inizio, un "reazionario" e presentava poche affinità con il nazionalsocialismo, sebbene durante il suo processo nel dopoguerra affermò che egli cercò di ottenere il recupero più rapido possibile dei prigionieri di guerra francesi. Inoltre approfittò della sconfitta francese (forse dovuta in parte anche alle sue cattive scelte strategiche, quando presidiò il Consiglio superiore di guerra) per condurre in porto i suoi progetti di Rivoluzione nazionale. Le accuse si sono dunque principalmente indirizzate su Pierre Laval, che portava avanti una collaborazione profonda, giudicando preferibile che la Francia fosse al fianco della Germania alla conclusione della guerra ineluttabilmente vittoriosa per quest'ultima.
«Io mi auguro la vittoria della Germania perché, senza di essa, il bolscevismo domani si insedierà dappertutto»
Già prima della fine della guerra i collaborazionisti francesi subirono arresti ed incarcerazioni, seguite da giudizi sommari ed esecuzioni capitali, solitamente emesse direttamente dai partigiani che li avevano catturati. Il semplice intrattenimento di una relazione con un militare tedesco prevedeva per le donne il taglio dei capelli a zero ed il pubblico ludibrio.[3]
Dopo la caduta del Governo di Vichy, alcuni collaboratori dei nazisti furono perseguitati. Alcune stime dicono che circa la metà delle sanzioni avvenne in forma di esecuzione sommaria, altre sono estremamente più tragiche. Nelle Memorie De Gaulle afferma che 10.842 collaborazionisti sono stati giustiziati senza aver avuto un regolare processo. Solo 779 sono stati i collaborazionisti giudicati in tribunali regolari.[4] Gli altri furono giustiziati ma, poiché i giudici chiamati a pronunciarsi avevano tutti, tranne uno, prestato giuramento a Philippe Pétain, molti degli imputati sfuggirono alle sanzioni. Una legge di amnistia nell'agosto 1953 pose fine all'epurazione (Épuration légale), ad eccezione dei colpevoli di «crimini contro l'umanità».
Questa la sorte dei governanti principali:
L'agitazione portata dai «collaboratori» più in vista, la cui collaborazione è iniziata nella maggior parte dei casi a Parigi occupata, provenienti da posizioni politiche varie, fece dimenticare l'azione paziente e risoluta del governo di Vichy in materia di collaborazione:
Tra i collaborazionisti sono da annoverare diverse decine di scrittori e giornalisti rinomati, a volte remunerati dalla « Propagandastaffel » tedesca, che finanziava le loro pubblicazioni:
Altri, pur non essendo assimilabili a dei collaborazionisti, sostennero (almeno per un certo periodo), il governo di Vichy:
Un caso a parte è quello di Jean Giraudoux in quanto dovrebbe essere ascritto tra gli antisemiti precoci divenuti resistenti tardivi dato che sottobanco passava informazioni alla resistenza.
Altri, collaboratori parziali e simpatizzanti tiepidi come l'architetto Le Corbusier, o pensatori accusati di una qualche simpatia o perlomeno ambiguità ideologica come il filosofo e scrittore Georges Bataille[5] (accusato di ammirare la simbologia nazista, in particolare per la conferenza del 1939 Hitler e l'ordine teutonico), non subirono ritorsioni o condanne, venendo considerati estranei a responsabilità collaborazioniste morali o politiche. Emil Cioran, ammiratore del nazismo e del fascismo rumeno negli anni '30, all'epoca del suo trasferimento in Francia (1940) ne aveva invece preso ormai le distanze.
Alcuni uomini dello spettacolo (ad esempio Sacha Guitry) furono tacciati di collaborazionismo perché, durante l'occupazione avevano continuato ad esercitare il loro mestiere (che notoriamente implica delle relazioni pubbliche). Altri artisti infatti (come ad es. Ray Ventura), pur di non compromettersi con il regime, decisero di emigrare.
I due "grandi" partiti:
I partiti "medi" :
I piccoli gruppi filonazisti francesi
Semi-collaborazionismo
La grande maggioranza della stampa francese sotto l'occupazione sosteneva la politica collaborazionista e antisemita di Pétain. Una parte di questa stampa era nelle mani dei tedeschi, che finanziavano alcune pubblicazioni, specie, ma non solo, attraverso le Éditions du Pont. Il più noto giornale collaborazionista fu Je suis partout.
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