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La battaglia di Faenza fu uno scontro avvenuto il 2 febbraio 1797 sul fiume Senio fra le milizie pontificie del generale Colli e l'esercito di Napoleone, guidato da Victor. La vittoria costrinse la Santa Sede alla trattativa per ottenere la cessazione delle ostilità.[1]
Battaglia di Faenza parte della guerra della Prima coalizione | |||
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Rappresentazione della piazza di Castel Bolognese a metà dell'Ottocento | |||
Data | 2 febbraio 1797 | ||
Luogo | Castel Bolognese e Faenza | ||
Esito | Vittoria francese | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
Effettivi | |||
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Perdite | |||
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Voci di battaglie presenti su Wikipedia | |||
Nel gennaio del 1797 le truppe austriache tentarono per l'ultima volta di liberare la città di Mantova dall'assedio francese: vennero sconfitti in rapida successione sia a Rivoli sia a La Favorita.
Mentre le truppe di Sérurier proseguivano nell'assedio della città, ormai destinata a cadere, Napoleone decise di occuparsi del Papa, le cui ingerenze nella politica italiana e la cui ostilità nei confronti dei francesi erano poco gradite.[2]
Il generale prese con sé circa 9 000 uomini e li affidò ai generali Victor e Lannes (quest'ultimo guidava una riserva di granatieri) ed iniziò a scendere nella penisola in direzione di Roma.[3]
Il 2 febbraio, Victor avvistò le truppe di Colli sul fiume Senio a Castel Bolognese, vicino a Faenza. L'artiglieria pontificia iniziò a bersagliare i francesi, infliggendo diverse perdite. L'armata di Victor lanciò un assalto sul Senio, disperdendo le forze di fanteria e cavalleria pontificie e catturando 14 cannoni.[4][5]
Il bilancio fu di circa 100 tra uccisi e feriti tra le file dei francesi e di circa 800 tra le file dei papali, a cui si aggiungevano quasi 1200 prigionieri.[6]
I francesi proseguirono nella marcia verso sud: il 9 febbraio una guarnigione di 1 200 uomini e 120 cannoni si arrese agli uomini di Victor ad Ancona senza che vi fosse un caduto tra le file francesi.[6]
Il Papa si arrese alla manifesta superiorità dei militari repubblicani e firmò un trattato di pace a Tolentino: i nuovi territori conquistati dai francesi furono annessi alla Repubblica Cispadana. Inoltre, il pontefice fu costretto a consegnare 500 opere d'arte[4] e a pagare un'indennità di 30 milioni di franchi.[7]
La sconfitta dell'esercito pontificio venne giudicata ingloriosa da un rivoluzionario come Francesco Saverio Salfi, che dedicò all'evento una pantomima satirica;[8] venne tuttavia registrata con sarcasmo anche da un reazionario come il conte Monaldo Leopardi[9] e, anni dopo, da Giacomo Leopardi.[10]
Si riporta il resoconto della battaglia nelle memorie di Monaldo Leopardi, padre di Giacomo:
«"Tutte le milizie pontificie ascendevano a circa diecimila uomini, e un quarto di questa gente si era adunata a poco a poco in Faenza. Imola, perché troppo vicina a Bologna, erasi abbandonata, e la resistenza doveva farsi sul fiume [Senio] che corre fra le due città suddette. (...) Il giorno 2 di febbraio del 1797, alla mattina, i Francesi attaccarono, forti di circa diecimila uomini. I cannoni del ponte spararono, e qualche Francese morì. Ben presto però l'inimico si accinse a guadare il fiume; e vistosi dai popolani che i Francesi non temevano di bagnarsi i piedi: "Addio", si gridò nel campo. "Si salvi chi può" e tutti fuggirono per duecento miglia, né si fermarono sino a Fuligno. Non esagero, ma racconto nudamente quei fatti che accaddero in tempo mio, e dei quali vidi alcuna parte. Un tal Bianchi, maggiore di artiglieria, venne imputato di avere caricati i cannoni con li fagiuoli. Ho letto la sua difesa stampata, e sembra scolpato bastantemente; ma il fatto dei fagiuoli fu vero, e questa mitraglia figurò nella guerra fra il Papa e la Francia"»
Commentò lo storico Giustino Filippone-Thaulero: "si rise, e per molto tempo, sulla resistenza dell'esercito pontificio e forse troppo, e con non molta ragione".[11]
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