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stile architettonico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il termine generico stile coloniale o architettura coloniale sta a indicare gli stili architettonici adottati dai popoli europei che avevano colonizzato terre straniere, in genere situate in altri continenti; pur trovando la sua essenziale espressione nell'architettura[1], si parla di stile coloniale anche in riferimento ad arredamento e decorazioni.
Lo stile coloniale nasce, a partire dal Seicento, come conseguenza del colonialismo e dell'imperialismo. Per citare solo alcuni degli esempi più diffusi, si ricordano la dominazione inglese e francese nel continente nordamericano e in Africa, quella olandese in Indonesia e Africa del Sud, la colonizzazione portoghese in Brasile e quella spagnola nel resto dell'America Latina.
A volte i popoli colonizzatori hanno conservato inalterati, emigrando, gli stili della madrepatria; più spesso, però, essi hanno assimilato degli elementi tipici della nuova terra o addirittura di paesi terzi (è questo il caso, per esempio, dello stile sudafricano detto Cape Dutch). Quindi, le costruzioni coloniali hanno frequentemente introdotto degli elementi autonomi, ideando soluzioni originali e strettamente legate alla speciale situazione sociale e geografica del posto.[2] Forme e materiali possono variare, rispetto al paese di origine dei coloni, a causa della reperibilità di materie prime e del clima. Il legno può ad esempio sostituire il marmo nella costruzione di colonne e capitelli, mentre le finestre possono variare notevolmente di dimensioni date le differenze climatiche.
Il continente americano è famoso per i suoi numerosi esempi di architettura generatasi in seguito all'epoca del colonialismo. Per quanto riguarda la colonizzazione degli Stati Uniti, l'edilizia di questo tipo ebbe la maggiore espansione tra il diciassettesimo ed il diciannovesimo secolo, ricorrendo ad esempio agli schemi dell'architettura rurale delle Isole Britanniche (esempio: Corvin House, vedi immagine) oppure, per edifici più rappresentativi, a quelli del neoclassicismo. Resta inoltre il fatto che anche altri popoli emigrati come gli olandesi e i francesi svilupparono dei propri stili nel territorio nordamericano.
In America Latina, il colonialismo degli spagnoli e dei portoghesi esportò dall'Europa lo stile barocco, il quale avrebbe lasciato tracce nell'architettura locale fino all'Ottocento come ad esempio nel caso della Cattedrale di Città del Messico). Città che conservano lo stile coloniale spagnolo sono Cartagena in Colombia, Quito, in Ecuador, Trinidad, a Cuba.
Per quanto riguarda la successiva epoca storica dell'espansione politica degli europei, quella dell'imperialismo ottocentesco, si ricorda per esempio l'architettura britannica in India, che risente di forti influenze della madrepatria; ne è un noto esempio la stazione ferroviaria Chhatrapati Shivaji di Bombay, ricca di elementi inglesi di fattura prevalentemente neogotica.[3] In Cina, un esempio di caratteristica architettura coloniale tedesco può essere ritrovato a Qingdao, dove numerosi sono gli edifici in stile bavarese ancora ben conservati.
Si possono trovare esempi di architettura coloniale italiana nelle ex-colonie italiane di Libia, Eritrea, Somalia ed Etiopia, nonché nel Dodecaneso e nella concessione italiana di Tientsin in Cina.
Al più tardi nella prima parte del ventesimo secolo, finita l'epoca dell'imperialismo, tramonta l'epoca degli stili coloniali, sia per gli sviluppi politici delle ex-colonie, che seguono percorsi autonomi, sia per ragioni artistiche. Con il declino dei tradizionali neostili, in genere fondamentali per l'architettura coloniale, e con i nuovi impulsi di standardizzazione internazionale introdotti dal movimento moderno, le architetture dei vari continenti iniziano infatti a somigliarsi:[4] in questo modo, le varie particolarità etniche, storiche e geografiche che avevano determinato lo sviluppo dei diversi stili perdono in fretta gran parte della loro importanza.
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