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poetessa italiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Anna Maria Falchi Massidda (Bortigali, agosto 1824 – Bortigali, 25 dicembre 1873) è stata una poetessa del Regno di Sardegna.
Donna Anna Maria Falchi (o Falqui[1]) nacque a Bortigali nell'agosto 1824, da don Efisio e donna Maria Giuseppa Passino. Era quindi di famiglia nobile e benestante. Questa condizione privilegiata le aveva garantito un buon livello di istruzione, che certamente influì sulla sua produzione letteraria[2]. Sposò nel 1843 don Pietro Paolo Massidda (1812/1897), un ricco possidente di Santulussurgiu, che la seguì a Bortigali, di cui divenne anche sindaco, verso il 1850 e dal 1883 al 1887. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Efisio, Caterina, Nicolò[3], battista[4], Giomaria, Giuseppa Antonia.
Morì a Bortigali, relativamente giovane, la sera di Natale del 1873, nella propria abitazione posta in Via Nazionale[5]
Sotto il suo nome ci sono state tramandate sedici “Glossas”[2][6] e tre “Muttos”, grazie soprattutto ai quaderni manoscritti di Vittorio Mura di Santu Lussurgiu e Raimondo Pili di Seneghe[2]. La poesia che le ha dato maggiore notorietà è sicuramente “Lenta sonat sa campana”, citata da Nichita Ordioni Siotto[7] in un articolo de Il Giornale d'Italia del 16 aprile 1925[8] e pubblicata in riviste di poesia sarda[9]. Ma in tutte, come dice Giovanna Cerina[2]
«ci sorprendono gli accenti di una sensibilità moderna e la singolarità di valenze letterarie insospettate, particolarmente preziose per comprendere i modi di sviluppo della tradizione poetica in sardo attraverso i contatti e prestiti derivanti da una tradizione colta. Va sottolineato inoltre il particolare significato che ha il recupero della produzione in versi di una donna, presenza rara[10] nel contesto di una tradizione poetica in cui sono quasi del tutto dominanti le voci maschili.»
La biblioteca di Bortigali, nel 1999, ne ha curato la raccolta, con la pubblicazione del libro Glossas[2], curato da Giovanna Cerina[11], col testo critico di Maurizio Virdis[12] e con le traduzioni di Duilio Caocci[13].
«Lenta sonat sa campana,
tristu de morte un’ispiru,
sonat de dantza unu giru,
una chitarra profana.
Sa chitarra armoniosa
dat pro su ballu trasportu,
nos avvisat chi ch’at mortu,
sa campana lamentosa
e, sonende luttuosa,
mustrat ch’ogni pompa est vana:
ca cando si crêt lontana
sa morte messat in giru,
già chi de morte un’ispiru
lenta sonat sa campana.
Fusu e a cordas filadu,
unu e atteru est metallu,
unu at sonadu unu ballu
s’atteru a mortu at toccadu:
su coro meu affannadu,
ch’appena traet respiru,
non pius da danza in su giru
dêt sigundare su pe,
ma dêt sonare pro me
tristu de morte un’ispiru.
Chissà, Su chi hat formadu
s’unu e s’atteru sonu,
s’in cuss’ora su perdonu
m’at a dare s’appo erradu,
cando su coro, portadu
de giovanile regiru,
de su ballu in su deliru
currìat s’ora festosa,
ca sa chitarra briosa
sonât de dantza unu giru.
Ca cando in sa gioventude
sas festas nos faghen corte,
no si pensat a sa morte,
no si curat sa salude:
bi cheret troppu virtude
e fortza pius che umana,
pro chi sa trista campana
sa morte a pensare ispingat,
cando su coro lusingat
una chitarra profana.»
«Lenta suona la campana
triste di morte un sospiro,
suona di danza un giro
una chitarra profana.
La chitarra armoniosa
dona al ballo trasporto
e ci avvisa che c’è un morto
la campana lamentosa;
poi suonando luttuosa,
mostra che ogni pompa è vana
perché, quando si crede lontana,
la morte miete in giro,
giacché di morte un sospiro
lenta suona la campana.
Sia fuso che a corde filato,
l’uno e l’altro è metallo,
uno ha suonato il ballo,
l’altro a morto ha rintoccato:
il cuore mio è affannato
e a stento trae respiro,
lesto nel giro di danza
non più seguirà il mio pie’,
ma suonerà per me
triste di morte un sospiro.
Chissà se Chi ha formato
l’uno e l’altro suono
in quell’ora perdono
mi darà se ho peccato,
quando il cuore portato
da follia giovanile,
nel delirio del ballo
seguiva l’ora festosa,
ché la chitarra briosa
suonava di danza un giro.
Ché quando in gioventù
le feste ci fanno la corte,
non si pensa alla morte,
non si cura la salute:
ci vuole troppa virtù
e forza sovrumana
perché la triste campana
a pensare alla morte ci spinga,
quando una chitarra profana
il nostro cuore lusinga[14].»
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