Gherardini
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I Gherardini di Montagliari (o di Toscana)[2] sono una famiglia storicamente rilevante nelle vicende toscane tra il IX e il XIV secolo, nelle vicende venete ed emiliane tra il XVI e il XVIII secolo, e nel risorgimento italiano.
Gherardini | |
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Festina lente Di rosso, a tre fasce d'argento vaiate d'azzurro[1] | |
Stato | Repubblica fiorentina Repubblica di Venezia Regno d'Italia Italia Francia |
Fondatore | Cece Gherardini (IX sec) |
Attuale capo | Marchese Francesco Alberto (ramo primogenito) Conte Gian Claudio (Ramo secondogenito). |
Data di fondazione | IX secolo |
Etnia | italiana |
Rami cadetti |
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Si tratta di una famiglia che ha suscitato la curiosità di numerosi storici del Medioevo per la sua indole irrequieta e combattiva. Proveniente dalla tradizione feudale, fu una delle famiglie fondatrici della Repubblica fiorentina e una delle colonne dell'antica aristocrazia repubblicana che resse Firenze del X e XI secolo sino a quando venne duramente bandita dalla città al mutare degli assetti politici, ai primi segni della futura Signoria. Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, la collocò nel V Cielo del Paradiso, quello di Marte, tra gli "spiriti militanti".
Dopo il suo esilio dalla Toscana nel XII secolo (conflitto tra guelfi e ghibellini) ha proseguito nella sua vocazione feudale/assembleare (ostile ai poteri assoluti, monarchici o religiosi) nella Repubblica di Venezia e in alcuni feudi sopra gli Appennini. La sua autonomia politica, infine, cessa proprio a causa di una delle maggiori espressioni assolutistiche europee: il regime napoleonico. Da qui, presumibilmente, il suo interesse a sostenere il processo unitario italiano.
Il loro simbolo è un'arme di rosso a tre fasce di vaio, che nel Seicento fu inquartato con l'aquila imperiale. è stato così mantenuto dai discendenti. Appartiene a questa famiglia il più antico sepolcro cavalleresco in Toscana (nella Pieve di Sant'Appiano) e il simbolo più alto della resistenza contro mercantilismo fiorentino (il castello di Montagliari):
«Dei Gherardini non rimane in quel luogo neppure la memoria. Nessuno ricorda che a Montagliari fosse un forte castello, del quale protetta quella gente gagliarda, osò sfidare, or fanno quasi sei secoli, tutta la potenza della Repubblica fiorentina. Chi ben considera tali fatti, rimane ammirato dalla fortezza d'animo di quegli antichi, che ponevano a repentaglio gli averi e la vita loro, non solo, ma quella ancora delle donne e dei figliuoli, pel trionfo della loro parte (…). Tempi invero tristissimi! Ma era fra mezzo di codesta gente; fra mezzo alle lotte crudeli delle parti, che crescevano le forti generazioni, che seppero reggere con animo indomabile le proscrizioni e la morte; cadere a Montaperti e rialzarsi a Campaldino. Dalle sventure attingevano nuove forze e nuovo ardimento: le battiture non gli avvilivano. Onde avviene che facendosi a meditare nelle loro istorie, siamo assaliti dal dubbio se a quelle genti, a quei costumi barbarici, sia veramente da preferirsi la nostra tisica civiltà, generatrice di uomini fiacchi e snervati, sempre pronti a posporre all'utile l'onore.»
(“I Gherardini ed il Castello di Montagliari”, Giuseppe Corazzini, Firenze 1897.)