Espulsione dei tedeschi dopo la seconda guerra mondiale
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Dalla fine della seconda guerra mondiale, nell'immediato dopoguerra, la maggior parte delle popolazioni tedesche fuggirono o furono espulse dai territori occupati dalle forze alleate in Europa; in molte regioni regnava un forte risentimento antitedesco, soprattutto nelle regioni che erano state occupate militarmente dalle forze naziste durante la guerra.
I territori in cui la popolazione tedesca fu maggiormente maltrattata e dai quali fu costretta ad emigrare furono:
- gli ex territori della Germania trasferiti alla Polonia ed all'Unione Sovietica dopo la guerra, tra cui il Brandeburgo orientale, la Prussia orientale, la Pomerania e la Slesia;[1]
- la Cecoslovacchia, ricostituita nei confini della Cecoslovacchia pre-bellica, che comprendeva le zone occupate dalla Wehrmacht dopo l'Accordo di Monaco;[1]
- le aree polacche annesse o occupate alla Germania nazista durante la guerra;[1]
- l'Ungheria, la Romania, la Jugoslavia settentrionale (prevalentemente regione della Vojvodina) ed altri Stati dell'Europa Centrale ed orientale.[1].
La maggior parte delle espulsioni si verificarono nei territori dell'ex Germania orientale trasferita alla Polonia e all'Unione Sovietica (circa 7 milioni di profughi)[2] e dalla Cecoslovacchia (circa 3 milioni di profughi)[1][2]. Gli espulsi poi furono trasferiti nelle zone di occupazione alleata in Germania e Austria.