Anglo-cattolicesimo
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Per anglo-cattolicesimo, soprattutto nel XIX secolo, si è denominata l'alta chiesa appartenente alla Comunione anglicana, che, pur recitando gli stessi credi della chiesa bassa, tratta la parola cattolico nel credo non solo come un vero sinonimo più antico universale, ma come il nome della Chiesa di Cristo alla quale appartiene insieme con la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. La chiesa anglo-cattolica non riconosce il papa come suo capo, ma l'arcivescovo di Canterbury.
Gli anglo-cattolici hanno dogmi e rituali religiosi simili al cattolicesimo romano. Gli elementi simili comprendono la fede in sette sacramenti, la transustanziazione (opposta alla consustanziazione), la devozione alla Madonna e ai santi, la descrizione del clero ordinario come "preti" - chiamati "padri" - i vestiti liturgici usati nelle celebrazioni e talvolta anche la descrizione della loro celebrazione eucaristica come messa. Tuttavia i sacerdoti anglo-cattolici non sono tenuti a vivere il celibato, quindi possono sposarsi, sia prima sia dopo essere diventati sacerdoti. I sacerdoti coniugati anglicani, come quelli anglo-cattolici, possono convertirsi al cattolicesimo entrando nella Chiesa cattolica romana secondo quanto stabilito da Benedetto XVI nella costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus[1]. Il rito dell'ordinazione anglicano è infatti considerato non valido dalla Chiesa cattolica romana, pertanto i sacerdoti anglicani necessitano di una nuova ordinazione.
La principale fonte di diversità col cattolicesimo romano è lo statuto, potere e influenza del vescovo di Roma. Lo sviluppo dell'ala anglo-cattolica dell'anglicanesimo avvenne soprattutto nel XIX secolo ed è fortemente associato al Movimento di Oxford. Due dei suoi luminari maggiori, John Henry Newman e Henry Edward Manning, entrambi preti anglicani, finirono per riunirsi alla Chiesa cattolica romana, diventando cardinali.
Quasi paradossalmente il movimento di Oxford era sorto anche come risposta ad alcune leggi che, favorendo proprio i non anglicani (sia i cattolici romani che i protestanti non conformisti) sembrarono volere indebolire il "carattere cristiano della nazione" mettendo in dubbio la necessità per i sudditi inglesi che volevano esercitare diritti politici l'obbligo di ricevere l'Eucarestia almeno una volta all'anno e permesso di esercitare cariche pubbliche anche chi rifiutava il giuramento di appartenenza alla Chiesa (rispettivamente con il Sacramental Test Act 1828 e il Roman Catholic Relief Act 1829). Si voleva ribadire l'importanza di essere membri della Chiesa (ufficiale) mettendone in evidenza la storia, sia in campo liturgico che teologico, partendo dalle origini del cristianesimo cioè dalla Chiesa dei primi secoli.
Nel 1833 fu poi approvata una legge che imponeva l'unione amministrativa forzosa di alcune diocesi minori e parrocchie in Irlanda (il Church Temporalities Act 1833 portò all'abolizione di dieci diocesi irlandesi) in seguito alla richiesta dell'abolizione delle decime condotte dal cattolico Daniel O'Connell, fatto che sembrava prefigurare un sequestro dei beni ecclesiastici suscitando lo sdegno di molti fedeli che vedevano una prevaricazione di un governo "liberale" contro i diritti e i beni della Chiesa d'Irlanda per accontentare i "non credenti" (sull'esempio di diversi governi anticlericali europei di quel periodo). John Keble (1792-1866) sacerdote anglicano e uno dei più famosi professori dell'università di Oxford, parlò di "apostasia nazionale" e lanciò allora il "movimento di Oxford" come risposta a queste tendenze presenti soprattutto tra i liberali e i non conformisti, pubblicando nel 1833 i Tracts for the Times. Di questo movimento fecero parte sia chi rimase sempre fedele alla Chiesa anglicana (come lo stesso Keble) sia chi (come John Henry Newman) finì per convertirsi al cattolicesimo proprio come risposta a un'idea di una Chiesa che doveva riallacciarsi alle origini della "Chiesa primitiva indivisa".