[Rivolto al ministro Giuseppe Siccardi, in occasione della firma della legge sull'abolizione del foro ecclesiastico] Badi bene: è lei che è responsabile; e se questa legge dovrà condurre all'inferno coloro che l'hanno fatta, ci andrà lei solo.[2]
Con Roma capitale ho sciolto la mia promessa e coronato l'impresa che ventitré anni or sono veniva iniziata dal mio magnanimo genitore.[3]
[Rivolgendosi a Costantino Nigra] Io procurerò di sbarrare la via di Torino, se non ci riesco e il nemico avanza, ponete al sicuro la mia famiglia e ascoltate bene questo. Vi sono al Museo delle armi quattro bandiere austriache prese dalle nostre truppe nella campagna del 1848 e là deposte da mio padre. Questi sono i trofei della sua gloria. Abbandonate tutto, al bisogno: valori, gioie, archivi, collezioni, tutto ciò che contiene questo palazzo, ma mettete in salvo quelle bandiere. Che io le ritrovi intatte e salve come i miei figli. Ecco tutto quello che vi chiedo; il resto non conta.[4]
[In occasione dell'apertura del Parlamento piemontese] Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito presso i consigli d'europa perché grande per le idee che rappresenta, le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli. Giacché nel mentre che rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi. Forti per la concordia, fidenti per il nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi decreti della Divina Provvidenza. [5]
Io non ho altra ambizione che quella di essere il primo soldato dell'indipendenza italiana.[6]
[...] l'italia è restituita a se stessa e a Roma. [...] qui, dove noi riconosciamo la patria dei nostri pensieri, ogni cosa ci parla di grandezza ma nel tempo stesso ogni cosa ci ricorda i nostri doveri [...].[7]
La volontà della nazione, fondamento del nostro diritto pubblico, e glorioso titolo della monarchia su cui venne ricostituita l'unità della patria, ha la sua ordinaria manifestazione per mezzo del corpo elettorale, da cui emana la Camera rappresentativa.[8]
Mio caro generale, vi ho affidato l'affare di Genova perché siete un coraggioso. Non potevate fare di meglio e meritate ogni genere di complimenti. Spero che la nostra infelice nazione aprirà finalmente gli occhi e vedrà l'abisso in cui si era gettata a testa bassa. Occorre molta fatica per trarla fuori ed è proprio suo malgrado che bisogna lavorare per il suo bene; che ella impari per una volta finalmente ad amare gli onesti che lavorano per la sua felicità e a odiare questa vile e infetta razza di canaglie [...][9]
[Rivolgendosi ad un Ambasciatore Francese] Se noi fossimo battuti in Crimea, non avremmo altro da fare che ritirarci, ma se saremo vincitori, benissimo! questo varrà per i Lombardi assai meglio di tutti gli articoli che i ministri vogliono aggiungere al trattato [...] se essi non vorranno marciare, io sceglierò altri che marceranno [...].[10]
[Su un presunto attentato sventato contro la sua vita] È assoluta necessità usare le più grandi cautele, ed io prego V.M. per quanto so e posso, a non avventurarsi ad ogni pericolo, come purtroppo per la coraggiosa di Lei natura è solito fare. L'Austria vi troverebbe di certo il suo tornaconto; ma speriamo che i suoi calcoli falliranno, e V.M. potrà aggiustare i conti con lei in altro modo. (Urbano Rattazzi)
Il bene della patria non si rinviene fuori della sua unità: né dal concetto della Italia ringenerata si può distaccare il nome di Vittorio Emanuele che ne è l'Eletto. (Sebastiano Tecchio)
Il Re ama le donne! E guai se non le amasse: sarebbe un tiranno; la storia ci narra che i più grandi despoti e i più feroci monarchi furono sempre coloro ai quali il volto di una donna non seppe mai far battere il cuore! (dalla Gazzetta d'Italia, 1869[11])
Le lagrime che proruppero dal cuore del popolo furono il tributo della sua gratitudine al Re, che ne aveva ascoltato il primo grido di dolore, cimentando pace, vita e trono in quella lunga epopea, che finì in Campidoglio ma incominciò sul calvario. Il suo nome più che nella pietra sta nell'opera eterna affidata alle vostre cure, sta nella sacra eredità raccolta dal figlio, che già sul campo di battaglia si mostrò degno di lui. (Benedetto Cairoli)
Nel 1860 nessuno pensava che Garibaldi potesse avere ragione dei Borboni ma quando l'eroe dei due Mondi occupò Napoli, i Savoia si gettarono alla rincorsa: il 10 settembre Vittorio Emanuele II invase lo Stato Pontificio. Sei settimane dopo era a Teano, nel Casertano, dove veniva salutato da Garibaldi come "primo re d'Italia". (Gianluca Di Feo)
[Rivolgendosi ai parlamentari della Camera] Possa l'opera vostra servire efficacemente alla gloria ed alla prosperità della Corona che posa sul capo di un monarca venerato dalla sua nazione, ed ammirato dal mondo civile, così pel valore spiegato sui campi di battaglia in cui si propugnava l'indipendenza italiana, come per la lealtà con cui mantenne le libertà della sua patria. (Carlo Bon Compagni di Mombello)
[Era solito] Prelevare quanto gli serviva dalle casse dell'erario e spendere senza porsi troppi problemi. (Lorenzo Del Boca)
Se si passa al carattere, al temperamento, ai gusti, all'interiorità di Vittorio Emanuele, le differenze [con il padre Carlo Alberto] diventano abissali. [...] bastava un'occhiata a giudicarlo: sciamannato, neppure troppo pulito, vestito come un contadino, con gusti rozzi, refrattario alle arti, alla musica e a qualsiasi forma di curiosità intellettuale, ignorante, bisognoso di muoversi, di scatenarsi a caccia sui monti dell'amata Val d'Aosta, indifferente alla religione e osservante solo perché superstizioso e preoccupato delle punizioni divine se mancava verso la Chiesa e i preti. (Silvio Bertoldi)
Toccò a noi vedere, impietrati alla immensa sciagura, scendere nella tomba il gran Re che gli Italiani avevano invocato vindice nei dì del servaggio ed acclamavano vanto e presidio della risorta nazione: toccò a noi assistere ad altro avvenimento intorno al quale le timide menti abbuiavansi speculando l'avvenire. (Domenico Farini)
Vittorio Emanuele ha nella sua presenza qualcosa di regio, che incute rispetto, qualcosa di affettuoso e domestico, che persuade ad amare. Ha l'aspetto militare, schietto, franco: ascolta come uomo assuefatto a sentirsi circondato da chi l'ama e lo stima: ha lo sguardo vivace, e che interroga: il portamento sicuro, e la parola pronta. È penetrato della missione, che gli è affidata dalla Provvidenza: persuaso della fiducia de' popoli di'Italia in lui; sicché, al primo viderlo si ravvisa nel Re il cittadino e il guerriero senza baldanza e senza paura. (Ruggero Bonghi)
Vittorio Emanuele, il Re semplice e leale, popolare nel tratto e insieme, quando necessario, grande signore, ricco di buon senso e impaziente di agire, ambizioso certo ma capace di volgere ad alti scopi l'ambizione. (Gioacchino Volpe)
Federico Quercia
È fama che nel giorno, in cui egli nell'accanita battaglia di Custoza[13], nome due volte infausto all'Italia, investiva, capitanando un bellissimo reggimento di cavalleria, impetuosamente gl'inimici, un ufficiale austriaco prigioniero domandò: chi è mai quel giovane e prode generale? gli fu risposto, il Duca di Savoia; e quegli abbassò il capo sospirando. Nell'animo suo presago vide il tempo in cui quel Duca, divenuto re, avrebbe espulsi gli austriaci dalle belle terre d'Italia.
Egli era la più splendida personificazione dell'Italia redenta: niun partito predeliggeva, e li amava tutti. Li riguardava come parte, come membra della istessa patria comune. Nell'animo suo elevato iscorgea chiaramente, che ognuno fra essi era concorso a formare l'Italia, e ne volea la grandezza e l'indipendenza. I rancori, gli odii, le accuse, mormoravano in una regione più bassa, in cui egli vivea sereno: gl'italiani tutti erano la sua famiglia; non si accomunava egli con loro nelle repugnanze e nelle diffidenze partigiane, si univa loro bensì e con ardore nell'istesso affetto per la indipendenza, nell'istesso rispetto per la libertà.
Re Vittorio Emanuele una crudele accusa cancellò dalla storia, che i re siano cioè inimici a libertà. Una famosa sentenza suonò in seno all'assemblea francese in su i primordii della rivoluzione, e parve che contenesse la ragione storica dei re: la storia dei re è il martirologio de' popoli. Toccava ad un re, ad un principe italiano di stirpe, la nuova gloria che un re possa essere il fondatore della libertà della sua nazione. E tale fu Vittorio Emanuele.
↑ Citato in Giuseppe Massari, La vita ed il regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d'Italia, vol. I, Fratelli Treves editori, Milano, 1878, p. 161.
↑ Citato in Pier Luigi Vercesi, L'Italia in prima pagina: i giornalisti che hanno fatto la storia, Francesco Brioschi Editore, 2008, p. 411.
↑ Citato in Corriere della Sera, 22 febbraio 2010.
↑ Dal Discorso della Corona al Parlamento Subalpino, 10 gennaio 1859. Citato da Antonello Capurso e Gaetano Quagliarello, Le frasi celebri nella storia d'Italia, Mondadori, 23 ottobre 2012, p.4, ISBN9788852031267, OCLC799582099.Parametro url vuoto o mancante (aiuto), serie Oscar Storia.
↑ Da Seduta reale d'inaugurazione della sessione 1871-1872, 27 novembre 1871, in Rendiconti del Parlamento italiano sessione del 1871-1872, vol. I, Discussioni della Camera dei deputati, Eredi Botta, Roma, 18722, p. 1. La frase, pronunciata presso il Palazzo Montecitorio (sede della Camera dei deputati), è citata in una targa presso il Palazzo Madama di Roma (sede del Senato della Repubblica), nell'Aula, precisamente dietro al seggio del presidente.
↑ Da una lettera al generale Alfonso La Marmora del 1849; citato in Andrea Acquarone, Zena 1814. Come i liguri persero l'indipendenza, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2015, p. 78. ISBN 978-88-6943-094-7
↑ Citato in Franco Catalano, L'Italia nel Risorgimento dal 1789 al 1870, Mondadori, 1964.
↑ Citato in Bruno Vespa, Donne di cuori, Mondadori, 2009, p. 367.