Tito: Come ti chiami? Scampolo: Scampolo. Tito: Come? Scampolo: Siete sordo? Scampolo! Tito: Ma questo non è un nome, è un nomignolo. Scampolo: Mi basta. Tito: E chi te l'ha messo? Scampolo: Il commissario, una volta che mi portarono in questura perché chiedevo l'elemosina. Franca: Fecero bene! Scampolo: Fecero male! Perché avevo fame, glielo dissi anche al commissario. Gli dissi che se non volevano che ci fosse l'attacconaggio... l'accagionaggio... Tito: L'accattonaggio. Scampolo: Sì, ecco, «bisognava che non ci fossero i poveri», proprio così gli dissi. Il commissario mi fece chiacchierare per più di mezz'ora e poi mi disse: «In te c'è troppo per una bambina, poco per una donna: sei uno scampolo». Ma che significhi non lo so. Tito: È l'ultimo stacco che resta di una pezza di stoffa: non basta per fare un vestito ed è troppo per fare una camicetta.
Scampolo: Mi ha detto che sono carina, che ho i capelli di seta e gli occhi di cielo. Tito: Ah, e non ti vergogni? Scampolo: Io? Perché? Era lui che parlava, era lui che doveva vergognarsi. Tito: Invece no, non dovevi ascoltarlo. Perché quando un uomo come Giulio riesce a ingannare una bambina come te, è la bambina che è disonorata. Scampolo: E l'uomo no? Non mi pare giusto. Tito: Non sarà giusto ma è così.
Qui la commedia ci appare battuta per battuta, e meno il finale (Scampolo non resta a meditare sulla grammatica ma parte con il suo ingegnere) tutto è in regola con la vicenda niccodemiana. Si schiude qua e là in esterni, entra – e se ne va via subito – un personaggio nuovo; ma la commedia è ripetuta nel suo dialogo e nei suoi episodi con attenta fedeltà. [...] Vi è Lilia Silvi, questa bravissima attrice che ci dà un personaggio fra i più singolari per l'alacre fantasia, lo slanciato brio, la patetica gentilezza. E vi sono Nazzari e la Garella. (Eugenio Ferdinando Palmieri)
Tipica e ovvia commedia dei «telefoni bianchi», con una sognante Cenerentola italiana, particolarmente apprezzata – si diceva – da Mussolini. (Il Mereghetti)