Mario Fiorentini (1918 – 2022), partigiano, agente segreto e matematico italiano.
- Nella settimana in cui nacqui si decisero le sorti del primo conflitto mondiale con la sconfitta della Germania e dell'Impero austro-ungarico. Sembra come un segno del destino che mi attenderà venticinque anni dopo e, insieme a me, tanti altri giovani di una generazione sfortunata cresciuta tra le due guerre mondiali e nel pieno dello sviluppo e del dominio del regime fascista. Ma c'è un di più che vorrei ricordare: esattamente un anno prima della mia nascita in Russia c'era stata la rivoluzione bolscevica. Anche quell'evento, così importante nel tormentato «secolo breve», condizionò le scelte della mia generazione. Fu, per tutti coloro che negli anni '40 aderiranno al Partito Comunista, ed io sono tra questi, un solido punto di riferimento ideale nella lotta al nazifascismo. (p. 18)
- [Parlando della guerra civile spagnola] Il racconto dei soldati italiani reduci dalla Spagna fu molto importante per la formazione politica di tanti giovani che, da quel momento, capirono di essere obbligati a compiere delle scelte nette: o stare dalla parte del legittimo governo repubblicano appoggiato dall'opinione pubblica democratica europea e dall'Unione Sovietica, o dalla parte di Franco appoggiato dai nazifascisti. Per me la scelta fu naturale e da quel momento posso dire di avere avuto sempre la Spagna nel cuore. (pp. 23-24)
- Avevo ormai ventuno anni, e le leggi razziali colpendomi negli affetti più cari, completarono non solo la mia formazione antifascista, ma rafforzarono in me l'idea che con il fascismo non era più possibile nessun compromesso. (p. 24)
- Ai magazzini Mas lavorava come commesso un uomo di mezza età molto simpatico: fu lui che mi parlò per la prima volta dell'Unione Sovietica e del comunismo. Non lo dimenticherò mai: con calore ma a voce bassa, mi parlava di giustizia sociale e di uguaglianza. Quelle brevi lezioni di comunismo rimasero impresse nella mia mente ed ebbero un peso non secondario nella mia evoluzione politica. A volte le persone apparentemente più insignificanti, che attraversano la nostra vita per puro caso, lasciano in noi una traccia indelebile. (pp. 25-26)
- Io e Lucia [Ottobrini] prima di un'azione tremavamo di paura l'uno per l'altro. Ci stringevamo la mano e accennavamo un rassicurante sorriso nella speranza di potercela fare e ci gettavamo nella mischia. Poi, ad azione terminata, il mio primo pensiero era per lei, dovevo subito rassicurarmi della sua sorte. Vivevamo quotidianamente questa doppia tensione che era snervante: la tensione per l'azione e la sua riuscita e per la sorte dell'altro. (pp. 33-34)
- La notte tra il 6 e 7 novembre [1943], in occasione dell'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, ci organizzammo in varie squadre e riempimmo il centro di Roma con scritte inneggianti a Lenin, Stalin e la Rivoluzione Bolscevica. Il pomeriggio del 7 organizzammo tre comizi volanti: Mario Leporatti a Largo Tassoni, Carlo Salinari a San Giovanni e Franco Calamandrei a piazza Fiume. (p. 54)
- [Sui partigiani] Sbaglia sia chi pensa che fossimo eroi, sia chi pensa che fossimo violenti bombaroli: la verità è che sapevamo commuoverci e anche piangere, ma la storia ci aveva messo nella condizione di avere una sola scelta, quella di combattere contro la barbarie nazifascista. (p. 65)
- La Resistenza, non bisogna mai dimenticarlo, non si può ridurre alla sola azione armata, non è solo una storia militare, ma è stata una lunga catena di solidarietà tra uomini e donne che in modi diversi hanno dato il loro fondamentale contributo. Certo ci sono state le avanguardie armate come noi gappisti, ma senza l'aiuto della gente non saremmo durati a lungo. (p. 100)
- Sasà [Bentivegna] oltre ad essere stato un grande combattente nei sette mesi di guerriglia urbana, nella vita è stato un grande uomo, come medico si è preso cura degli altri. Purtroppo ha dovuto sopportare tutto il peso di via Rasella anche se quel giorno eravamo circa venti gappisti e l'azione l'avevo ideata io. Ma le persone non ragionano, non pensano, non sanno. (p. 122)
- Carla [Capponi] è stata la donna più coraggiosa che io abbia conosciuto. Era sempre pronta e disponibile ad attaccare. Forse in alcune occasioni, come a Viale Giulio Cesare il giorno in cui morì la Gullace, è stata troppo intemperante ed ha seriamente rischiato di essere individuata ed arrestata. Ma questa intemperanza era dovuta alla sua generosità. Ha dato tutta se stessa fino ad ammalarsi. (p. 123)
- Forse tra 50 anni ci condanneranno pure, perché magari verrà fuori l'idea che una guerra è sempre sbagliata, che uccidere una persona è sempre sbagliato. Però in quel momento siamo stati noi a decidere, su questo non ci piove. (p. 123)
- Ascolta, il sale della vita sono la curiosità e la volontà. (p. 24)
- [Parlando di Lucia Ottobrini] Durante le nostre azioni, nessuno avrebbe potuto avere sospetti su di lei, e nemmeno su di me. Eravamo due giovanotti puri, due visi puliti, nessuno avrebbe mai pensato che eravamo pronti a tutto pur di contrastare i nazifascisti. (p. 57)
- Emilio [Vedova] era bianco come un lenzuolo, aveva una paura tremenda ogni volta che gli chiedevo di farmi un favore... sapeva che gli avrei chiesto qualcosa di pericoloso. (p. 40)
- Io, l'algebra, non la insegnavo solo agli studenti, la spiegavo ai professori! (p. 51)
- La gente crede che sia stato un guerriero. Un guerriero, io? Ma quando mai, io ero un angelo, mia moglie [Lucia Ottobrini] più di me, ma abbiamo dovuto scegliere, se agire o restare fermi, e abbiamo deciso di agire. (p. 61)
- [Parlando di Lucia Ottobrini] Lei era unica, non amava la matematica, eppure, quando veniva con me a incontrare le mogli dei miei colleghi all'università, tutti l'amavano, non c'era una persona con cui non andava d'accordo, riusciva sempre a rasserenare gli animi. Pensa, noi eravamo molto amici di una coppia, marito e moglie. Litigavano sempre, quando la situazione degenerava venivano da noi per parlare. Lucia era straordinaria, con una parola sistemava tutto. (p. 58)
- [Parlando di Lucia Ottobrini] Lei viveva per me. Quando era sul letto di morte, chiamò mia figlia, per dirle le ultime parole, che furono: "Papà... papà". Come a dire, avrei dovuto restare io a badare a tuo padre, ma, visto che è andata così, dovrai stargli vicino tu, prenditi cura di lui. Neanche in punto di morte si preoccupava per se stessa, pensava solo a me. (pp. 57-58)
- Quando sono andato in Romania mi sentivo romeno, quando stavo in Vietnam ero un vietnamita. In qualsiasi parte del mondo sono stato, mi hanno voluto bene perché ero uno di loro. (p. 64)
- Sai come mi chiamavano all'università? Il mago! E sai perché? Perché sono riuscito a tirare fuori cose eccezionali da persone che non si aspettavano di poterle fare. (pp. 13-14)
- Se avessi scelto di fare questo [la politica] nella vita, l'Italia avrebbe avuto un pessimo politico in più e il mondo un bravo matematico in meno. (p. 52)
- Se mai davvero qualcuno mi considerasse un eroe, questo deve essere per l'impegno che ho messo nello studio, non certo per le azioni partigiane! (p. 50)
- Sono sereno perché mi sono realizzato come matematico e perché io e Lucia [Ottobrini] ci siamo sempre prodigati per aiutare anche gli altri a realizzarsi, ma se penso alla felicità, beh, non posso che confermare che l'uomo è un essere imperfetto. L'unica cosa che si può desiderare veramente è avvicinarsi alla fine sereni, perché questo vuol dire che quello che era nelle nostre possibilità è stato fatto, perché non abbiamo rimpianti, perché siamo stati quello che volevamo essere. (pp. 95-96)
- Aveva sempre il solito aspetto di uomo senza età e, in un certo senso, privo di radici. [...] Sapevo che era stato un combattente partigiano deciso, ma nient'altro. Mi accorsi anche che la cordialità amichevole, che dimostrava a me, lo legava anche a tutti gli altri compagni che lo conoscevano; ma ciò, invece di diminuire l'intensità del rapporto, sembrava al contrario rafforzarlo per moltiplicazione. Intuivo che il suo profondo, la sua indole più vera restava lontana, inafferrabile; ma in quei recessi non doveva nascondersi nulla di contraddittorio con l'affettuosità e il parlare soave e a bassa voce che sembravano legarlo serenamente al mondo. (Luca Canali)
- Mario è un aquilone di cui io tengo i fili, ogni tanto li tiro e lo riporto giù. (Lucia Ottobrini)
- Mario Fiorentini, Sette mesi di guerriglia urbana. La Resistenza dei GAP a Roma, Odradek, Roma, 2015. ISBN 978-88-96487-36-5
- Mirko Bettozzi, L'ultimo gappista. Mario Fiorentini. Una vita di lotte, incontri, passioni e teoremi, Efesto, Roma, 2018. ISBN 978-88-338-1044-7