In questi tempi i letterati bisognosi accorrevano al salone della signora di Geoffrin, dove rinvenivano qualche sussidio e qualche soccorso; e la facilità che avevano di poter conversare con gli alti personaggi che vi si radunavano, loro dava la speranza di qualche protezione; vi si pranzava due volte la settimana, ed eranvi delle bellissime cene a proprio arbitrio, ella cortese all'ultimo segno con modi obbliganti cercava rendersi amabile; poco conosceva di lettere, e ciò nullamanco aveva uno squisito genio a ben narrare; la signora di Geoffrin sosteneva la conversazione con arte ed in modo da far favellare chicchessiasi, nel che appunto è sita tutta la diligenza, cosa ardua, d'una padrona di casa. Essa aveva una perfetta conoscenza delle convenienze di società la quale fa calcolare e gli altri e se stesso per quanto valgono, assegnando a ciascuno il proprio posto. (Jean-Baptiste Capefigue)
In questo salone senza soggezione, e liberi al discorso, gli enciclopedisti rinvenivano un luogo a poter vendere le loro chimere, e le loro empietà. La signora di Geoffrin non opponevasi giammai, ma tacevasi spesse volte; dappoiché non amava le proposizioni antireligiose; e pare che senza volerlo fosse in lei personificato perciò il secolo, che lasciava urtare il tutto nel gran caosse delle cose senza molto molestarle col pensiere dell'avvenire e del disordine. (Jean-Baptiste Capefigue)
Mai e poi mai nella sua lunga vita la signora Geoffrin prestò il fianco alla maldicenza, e ciò riesce tanto più meritorio in un secolo, in una città e in un ambiente[1] che rimasero celebri nei fasti della galanteria. (Neera)