Luca Pinelli (1542 – 1607), gesuita e teologo italiano.
- [...] sappi figliuolo, che la religione è una scuola tutta contraria a quella del mondo. Quivi s'insegna ad onorare Dio con l'osservanza de' precetti e consigli divini. Quivi si mostra una via più breve e più sicura per giungere al fine, per il quale sei stato creato. Quivi si scuoprono gli inganni e i lacci tesi dal comun nemico per prendere l'anime e precipitarle nel baratro infernale. Or di questa scuola io sono il supremo maestro, che a tutti con interne ispirazioni insegno la strada della perfezione. Nell'insegnare non sono parziale, né accettatore di scolari, perché non faccio più conto del nobile che dell'ignobile, né del ricco più del povero, ma bene amo più quello il quale in pratica e con opere impara meglio la lezione dell'umiltà, della mansuetudine, dell'obbedienza che io lessi con l'esempio della mia vita, vivendo tra voi, e partendomi la dettai ai miei evangelisti, da' quali fu poi scritta fedelmente. Non è buono scolaro chi non si sforza di esser simile al suo maestro. (Libro I, cap. III, p. 16)
- Signore, se il regno de' cieli è pei poveri, il numero de' beati sarà molto copioso, poiché nel mondo sono molto più i poveri che i ricchi. È vero figliuolo, che il regno de' cieli è pei poveri, ma non tutti i poveri sono pel cielo, ma quei solamente che eleggono di essere poveri, e di questi se ne trovano pochi. (Libro secondo, cap. VIII, p. 107)
- Figliuolo, se non fosse la virtù della castità, l'uomo sarebbe molto maltrattato, essendo la concupiscenza della carne di tale condizione, che se ella non è raffrenata, in poco tempo fa diventare un uomo, ancorché sia di natura e d'ingegno elevato, simile ad una bestia. Perché la dilettazione sensuale offusca, e di tal maniera sì fortemente accieca la mente umana, che la tira ad ogni brutta immondizia; e togliendo da lei, (come per ordinario ella fa) il giudizio e il consiglio, la fa miserabilmente precipitare. Di qui ne viene , che l'uomo dato a' diletti della carne, perde ogni fortezza nel ben fare, non pensa né parla d'altro che di lascivie e di piaceri carnali, dai quali imbriacato vorrebbe star sempre in questa vita per avere dilettazioni sensuali; onde ha in orrore l'altra vita. (Libro secondo, cap. XIII, p. 131)
- Vuoi sapere, figliuolo, quello che l'umiltà opera nel religioso: primieramente l'inchina a sentire bassamente di se; dipoi, quando bisogna l'inchina a mostrare negli atti esteriori la bassezza e viltà propria. Chi ha umiltà nel parlare, nell'andare, nel conversare, nel trattare, negli esercizi bassi, dimostra che disprezza se stesso. Di più la vera umiltà fa che il religioso sopporti con pazienza e allegrezza quando è disprezzato dagli altri; anzi fa che di questo non si turbi né mormori, ma fa che di cuore ne ringrazi il suo Creatore, poiché in questo modo viene ad assomigliarsi a me suo Maestro e Signore. (Libro terzo, cap. I, p. 202)
- [...] niuna virtù mi piace, se non è fondata nell'umiltà. Alla mia Madre, che mi è stata sempre carissima, sarebbe stata chiusa la porta del cielo, s'ella, ancorché vergine e pura, fosse quivi comparsa senza l'umiltà. Si può bene entrare in cielo senza la verginità, ma non senza l'umiltà. (Libro terzo, cap. I, p. 205)