Era un personaggio da romanzo. Dovette accontentarsi di entrare in una raccolta di novelle del suo compare Clelio Malespini, falsario e spia di professione. Indossò nome e cognome come una divisa. Ne fece anche un cartello di sfida. Lo espose in alto, sotto la grondaia di casa sua. Era un bassorilievo. Vi comparivano due leoni (Leene Leoni, come in una declinazione). Sbranavano un essere semiferino che, nel suo soccombere, era compendio da bestiario di avversari e nemici.
Leone Leoni era un artista di successo. Ma aveva anche una violenta propensione a delinquere. Organizzava agguati, maneggiava i pugnali a tradimento: li faceva volare nell'ombra; li lanciava da dentro il segreto di un travestimento. Non risparmiava i nemici. E neppure gli amici. Tentò persino di assassinare il pittore Orazio Vecellio, figlio del suo amico Tiziano. Voleva derurbarlo dei quadri del padre.
Un altro dei «capricci» di Leone Leoni. I telamoni non guardavano tutti nella stessa direzione. Si giravano, chi a sinistra, chi a destra. E chi vi camminava davanti li percepiva in movimento, privi della staticità delle cariatidi.