Il Soratte, il monte Circeo, il monte Cavo nei colli Albani, sono tutti vulcani spenti. Come scrisse un antico viaggiatore del Lazio "Noi qui camminiamo sempre sui resti di un fuoco remoto, nella polvere dei secoli che hanno preceduto la comparsa dell’essere umano nella storia". Questo fuoco cosmico spento ormai da un pezzo e questa polvere dei secoli primordiali hanno conferito alla terra del Lazio le sue forme maestose e solenni. Da esse si leva una profondissima quiete e il riscatto da tutto ciò che comporta una vita meschina e affrettata. Forse quella pace e quel riscatto che inconsciamente cerca chiunque più tardi rammenterà esaltandosi le rovine di Ostia, le necropoli di Corneto e i monasteri di Subiaco.
L'interesse per le opere dell’intelletto e le impressioni dei sensi qui cedono il posto alla contemplazione, che domina ogni essere vivente e blocca ogni altra possibilità. Più che vedere il Lazio, bisogna immergersi nel suo spirito antico, segreto e beato, in cui si mescolano il profumo delle erbe fragranti della Campagna, l'odore del mare e la freschezza delle alture montane. Gli elementi naturali, il mare, le catene montuose e le pianure della Campagna, nelle più varie combinazioni, formano il paesaggio del Lazio.
Qui il tempo non ha nemmeno alterato la purezza dei lineamenti del viso. Il tipo antico dei primi abitanti del Lazio si è conservato con una fedeltà unica nel suo genere. La fronte bassa e sporgente degli Etruschi e l'ovale allungato dei Volsci si possono vedere anche ai giorni nostri per le strade di Corneto e di Cori. I Sabini, grossi e tarchiati, si affollano nelle processioni dalle parti di Subiaco. L'uomo antico è rimasto padrone di questa terra.