arcivescovo e domenicano italiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Jacopo De Fazio noto anche come Jacopo da Varagine o Giacomo da Varagine (1228 – 1298), frate domenicano, arcivescovo di Genova, agiografo italiano e beato della Chiesa Cattolica.
Il tempo dell'Avvento comprende quattro settimane, perché quattro sono gli avventi del Signore: nella carne, nello spirito, al momento della morte e al momento del Giudizio. (da L'Avvento, p. 5)
Nicola, cittadino di Patera, nacque da ricchi e santi genitori. Suo padre si chiamava Epifane, sua madre Giovanna: lo generarono nel fiore della loro giovinezza e vissero poi in castità. Il giorno in cui nacque, mentre lo stavano lavando, Nicola si alzò e rimase in piedi nel catino; e per di più il mercoledì e il venerdì prendeva il latte una sola volta al giorno. Diventato ragazzo evitava i divertimenti degli altri giovani e preferiva frequentare le chiese, custodendo nella memoria tutto ciò che riusciva a sapere della Sacra Scrittura. (da San Nicola, p. 26)
Lucia, nobile fanciulla di Siracusa, sentendo parlare per tutta la Sicilia della fama di sant'Agata, era andata alla sua tomba con la madre Euticia, che da quattro anni soffriva di una perdita di sangue, e i medici non avevano potuto guarirla. Capitò che durante la celebrazione della messa si leggesse quel giorno il passo del Vangelo in cui si dice che il Signore guarì una donna da quella stessa malattia; Lucia disse allora alla madre: – Se credi a ciò che è stato letto, credi che Agata ha sempre accanto a sé colui per il quale ha patito il martirio: se dunque toccherai con fede la sua tomba, riacquisterai immediatamente la salute. Quando tutti si allontanarono, la madre e la figlia rimasero in preghiera presso la tomba: il sonno avvinse Lucia ed ella vide davanti a sé Agata, ornata di pietre preziose, in mezzo agli angeli, che le diceva: – Sorella mia Lucia, vergine devota a Dio, perché mi chiedi ciò che tu stessa potresti ottenere per tua madre? Ecco che, grazie alla tua fede, è guarita. (da Santa Lucia, p. 34)
Anastasia era una nobilissima romana, figlia di Pretestato, uomo molto illustre ma pagano. Fu istruita alla fede di Cristo da sua madre Fantasta, che era cristiana, e da san Crisogono. Data in moglie a Publio, fingeva sempre di sentirsi poco bene, riuscendo così sempre a evitare di congiungersi con lui. Quando poi il marito venne a sapere che Anastasia, vestita miseramente, andava con una serva di prigione in prigione, dai cristiani, per visitarli e rifornirli del necessario, la fece mettere sotto severissima custodia, facendole negare anche il cibo per farla morire e poter poi liberamente scialacquare il suo immenso patrimonio. Anastasia credeva ormai di morire, e mandava pietose lettere a Crisogono, che le rispondeva consolandola. Nel frattempo però suo marito morì e lei fu messa in libertà. (da Sant'Anastasia, 58)
Quando Tommaso di Canterbury stava alla corte del re d'Inghilterra si rese conto che quanto accadeva là dentro era contrario alla religione. Abbandonò allora la corte e si affidò all'arcivescovo di Canterbury, che lo nominò arcidiacono. Il vescovo tuttavia lo pregò di accettare la carica di cancelliere del re perché insinuandosi a corte potesse mettere a frutto la sua abilità di consigliere, mettendo un qualche freno alle manovre di chi voleva il male della Chiesa. Il re cominciò a stimarlo e amarlo al punto che, quando morì l'arcivescovo, riuscì a far salire Tommaso alla cattedra episcopale. Tommaso cercò di resistere con forza, ma alla fine, costretto all'ubbidienza, chinò il collo per caricarsi di quel peso. Da quel momento la sua natura cambiò, e divenne uomo perfetto, sottoponendo il suo corpo al tormento del cilicio e del digiuno. (da San Tommaso di Canterbury, p. 80)
In quarto e ultimo luogo è il segno della circoncisione, che in questo giorno Cristo si degnò di accogliere. Volle essere circonciso per molte ragioni. Per sé, per mostrarci di aver preso un corpo reale, sapendo che non sarebbero mancati coloro che avrebbero sostenuto che non aveva preso corpo reale ma fantastico; perciò, per confutarne l'errore, volle essere circonciso e versare sangue. Un corpo fantastico infatti non versa sangue. Per noi, per mostrarci che dobbiamo essere circoncisi nello spirito. (da La circoncisione del Signore, p. 99)
Ilario, vescovo di Poitiers, proveniva dall'Aquitania; precedette come il pianeta Venere risplendendo fra le stelle. In un primo tempo era sposato e aveva avuto un figlia; benché laico conduceva una vita monastica; infine, ormai avanti negli anni e nella dottrina, fu eletto vescovo. Poiché il beato Ilario difendeva dall'eresia non soltanto la sua città, ma l'intera Francia, su consiglio di due vescovi corrotti dall'eresia, l'imperatore, anch'egli eretico, lo esiliò con il beato Eusebio, vescovo di Vercelli. [...] Tornato a Poitiers resuscitò con le sue preghiere un bambino che era morto senza ricevere il battesimo. Rimase steso nella polvere finché tutti e due si rialzarono, il vecchio dalla preghiera e il bambino dalla morte. (da Sant'Ilario, p. 118)
Si legge invece in un'altra leggenda che Massimo, vescovo di Nola, cercando di sfuggire alla persecuzione, sfinito dalla fame e dal freddo, era crollato a terra; Felice fu inviato a lui da un angelo, e sebbene non vi fosse del cibo, vide pendere da un rovo vicino un grappolo d'uva, da cui spremette del vino nella bocca di Massimo, e caricatoselo sulle spalle lo portò con sé. Morto Massimo, Felice fu eletto vescovo. Essendo ricercato dai persecutori perché predicava, si nascose, infilandosi attraverso uno stretto passaggio, fra dei muri in rovina. Subito, per volontà di Dio, dei ragni tessero le loro ragnatele attraverso il passaggio; i persecutori, vedendo le ragnatele, convinti che nessuno potesse essere passato di lì, se ne andarono. (da San Felice, p. 124)
Sebastiano, cristiano esemplare, era cittadino di Milano, ma di famiglia narbonese. Era così amato dagli imperatori Diocleziano e Massimiano, che questi gli affidarono il comando della prima coorte e lo vollero sempre al loro fianco. Aveva accettato di vestire l'abito militare soltanto per poter confortare le anime dei cristiani che vedeva cadere nei tormenti. (da San Sebastiano, p. 132)
Allora Diocleziano lo fece legare in mezzo al Campo Marzio e dette ordine ai soldati di trafiggerlo con le loro frecce. Gliene tirarono tante che quasi sembrava un riccio. Convinti poi che fosse morto se ne andarono; ma dopo alcuni giorni si liberò, ed ergendosi sulla scalinata del palazzo rimproverò con violenza gli imperatori che gli stavano andando incontro, per tutto il male che facevano contro i cristiani. (da San Sebastiano, p.137)
Agnese, giovane piena di senno, come ci dice Ambrogio che scrisse la sua Passione, nel tredicesimo anno di età lasciò la morte e trovò la vita. La sua giovane età risultava dagli anni, ma la maturità della sua mente era straordinaria: giovane nel corpo, ma matura nell'anima, bella nell'aspetto ma ancor più bella nella fede. Accadde che mentre tornava da scuola, il figlio del prefetto si innamorò di lei. Le promise gioielli e ricchezze senza fine se avesse acconsentito a sposarlo. Agnese gli rispose: – Stai lontano a me, esca dal peccato, alimento di cattiva azione, nutrimento di morte! Un altro mi ha amato prima di te. (da Sant'Agnese, p. 140)
Allora il prefetto la fece spogliare e portare al bordello. Ma il Signore rese così folti i capelli di Agnese che la coprivano meglio di una veste, e quando entrò in quel turpe luogo trovò ad attenderla l'angelo del Signore che illuminò la stanza di una luce splendente e le preparò una stola bianchissima. Così il luogo del peccato divenne un luogo di preghiera, tanto che Agnese ne uscì più pura di quando era entrata, quando quella grande luce le aveva reso onore. (da Sant'Agnese, p. 141)
[Su Santa Paola romana] Lei, infiammata dalle virtù di Paolino, vescovo di Antiochia, e di Epifanio, che erano venuti a Roma, a tratti meditava di abbandonare la patria. Ma perché indugiare? Scese al porto accompagnata dal fratello, dai cognati, dai parenti e, ciò che più conta, dai figli che cercavano di trattenere la tenerissima madre: già comimciavano a spiegarsi le vele e la nave era spinta al largo dal governo dei remi; sulla riva il piccolo Tossocio tendeva le mani supplici; Rufina, già in età da marito, tacendo chiedeva col pianto che la madre aspettasse almeno fino alle sue nozze; e tuttavia lei volgeva al cielo gli occhi asciutti, vincendo l'amore per i figli con l'amore per Dio. Ignorava in sé la madre per dimostrarsi pienamente ancella di Cristo. (p. 169)
[Su Santa Paola romana] Dopo la morte del marito, fino alla morte, non mangiò più con alcun uomo, per quanto lo sapesse santo, e al sommo della dignità episcopale. Non andò ai bagni se non quando la sua salute era in grave pericolo. Non ebbe, anche con febbri altissime, morbidi materassi nel suo letto, ma dormiva su durissima terra, coperta di qualche pezzo di cilicio: se pure si può parlare di sonno, dal momento che con preghiere quasi continue univa i giorni alle notti. (p. 170)
[Su Santa Paola romana] Al suo funerale convenne tutta la popolazione delle città della Palestina. Quale infatti dei monaci ritirati nel deserto si trattenne nella sua cella? Quale delle vergini restò nel segreto delle sue stanze? Ciascuno riteneva sacrilego non aver reso l'omaggio a una donna simile. Poi fu inumata sotto la chiesa, accanto allo speco del Signore. La venerabile vergine e figlia sua Giulia Eustochio, come una bimba appena slattata, non poteva essere staccata dalla madre; le baciava gli occhi, non si staccava dal suo volto, abbracciava tutto il suo corpo e voleva essere seppellita con la madre. Gesù è testimone che neanche un denaro fu da lei lasciato alla figlia, ma ne fu dato a chi più ne aveva bisogno e, ciò che è ancora più difficile, all'immensa moltitudine dei fratelli e delle sorelle, che è arduo sostenere ed empio abbandonare. (p. 173)
Giuliana, pur essendo già sposata a Eulogio, il prefetto di Nicomedia, rifiutava di consumare le nozze se prima il marito non fosse stato battezzato. Il padre allora la fece denudare e battere duramente, poi la fece portare al prefetto che le disse: – Mia dolcissima Giuliana, perché ti sei presa gioco di me e mi hai rifiutato in questo modo? (p. 223)
[Su santa Giuliana di Nicomedia] Il prefetto la fece bastonare duramente, poi la fece appendere per i capelli e le fece versare in testa del piombo fuso. Ma visto che tutto questo non le provocava alcun dolore, la fece incatenare e chiudere in carcere, dove le apparve il diavolo in forma d'angelo, che le disse: – Io sono l'angelo del Signore, che mi ha mandato da te perché io ti convinca a sacrificare agli dei per non essere più torturata e morire in modo così crudele. (p. 223)
Quando giunse il prefetto, Giuliana fu legata a una ruota, e tirata tanto che tutte le ossa si ruppero fino a uscirne il midollo; ma venne un angelo del Signore che stritolò la ruota e sanò Giuliana in un istante. I presenti che avevano visto credettero, ma furono subito decapitati: erano cinquecento uomini e trenta donne. Giuliana fu poi messa in una caldaia piena di piombo fuso, ma il piombo divenne come un tiepido bagno. Il prefetto maledisse i suoi dei che non riuscivano a punire una ragazza che li aveva tanto insultati, poi la fece decapitare. (p. 224)
Maria Egiziaca, che è detta Maria la Peccatrice, condusse nel deserto una rigidissima vita eremitica per quarantasette anni. Si era infatti riirata nel deserto verso il 270, al tempo dell'imperatore Claudio. (p. 311)
Viveva a quel tempo una venerabile vergine, di età ormai avanzata, che si chiamava Apollonia, adorna dei fiori della castità, della sobrietà e della purezza. Come solidissima colonna rafforzata dallo spirito stesso del Signore, ammirata per i meriti della sua salda fede e per le virtù che il Signore le aveva dato, essa offriva agli uomini e agli angeli lo spettacolo edificante di se stessa. (p. 368)
[Su santa Apollonia] Dopo averla presa i persecutori infierirono su di lei crudelmente, prima strappandole tutti i denti; poi, raccolta della legna e preparato un grande rogo, minacciarono di bruciarla viva se non si fosse dichiarata pagana come loro. Ma lei, non appena vide accendere il rogo, si raccolse in un istante e si gettò in quello stesso fuoco con cui la minacciavano. (p. 368)
Apollonia, fortissima vergine e martire di Cristo, rinunciando ai piaceri del mondo, soffocando il fiorire della vita con il disprezzo che ne aveva della mente, desiderosa di compiacere Cristo suo sposo, che con gioiosa perseveranza nel suo proposito di verginità, resistette saldissima a ogni supplizio: spicca dunque e rifulge fra i martiri questa vergine gloriosa e felice nel suo trionfo. (p. 369)
Petronilla, la cui vita fu scritta da san Marcello, era figlia di san Pietro. Essendo troppo bella cominciò, per volontà del padre, a soffrire di febbri. Una volta, quando i discepoli si trovarono con lui, Tito prese la parola e gli chiese: – Tu che sani tutti gli infermi, perché lasci soffrire Petronilla? E Pietro rispose: – Lo faccio per il suo bene. Ma perché non si creda che la sua malattia sia da attribuire alle mie parole, – e si rivolse a Petronilla: – Su, Petronilla, svelta, portaci qualcosa da mangiare. Petronilla subito fu sanata e servì loro da mangiare. Quando ebbe finito Pietro le disse: – Petronilla, torna al tuo letto. E Petronilla subito vi tornò e riprese a soffrire di febbri; ma non appena ella giunse alla perfezione nell'amore di Dio, fu anche perfettamente sanata. (p. 431)
La vergine Marina era l'unica figlia di suo padre. Quando il padre entrò in monastero, cambiò le vesti della figlia, perché sembrasse un ragazzo e non una ragazza, e pregò l'abate e i monaci di voler accogliere il suo unico figlio. Essi dettero ascolto alle sue preghiere, e tutti lo chiamarono frate Marino. Prese a vivere con fervore religioso e a mostrare grande obbedienza. (p. 446)
Cristina nacque da una famiglia di rango elevatissimo nella città di Tiro, in Italia. Il padre la mise in una torre con dodici ancelle, circondata di idoli d'oro e d'argento. Era bellissima e molti la chiesero in moglie, ma i suoi genitori non la concedevano in nessun modo, perché volevano che continuasse ad attendere con piena dedizione al culto degli dei. Cristina tuttavia, ispirata dallo Spirito Santo, provava orrore per i sacrifici agli idoli, e nascondeva in un buco l'incenso destinato ai sacrifici agli dei. (p. 531)
Marta, che ha il titolo di merito di aver ospitato Gesù, era di origine regia tanto da parte del padre Siro, quanto da parte della madre, Eucaria. Il padre Siro, governava la Siria e molte città marine, mentre Marta, con sua sorella, era padrona, per linea materna delle intere città di Magdala e di Betania, oltre che di una parte di Gerusalemme. (p. 560)
[Su santa Marta di Betania] Non risulta da nessuna fonte scritta che mai si fosse sposata, né che mai abbia avuto relazioni con uomini. Era lei che, come nobile padrona, voleva servire il Signore, insistendo che anche la sorella servisse, poiché pensava che per un tale ospite non bastasse il servizio del mondo intero. (p. 560)
Dopo l'ascensione del Signore, quando gli apostoli si dispersero, Marta con sua sorella Maria Maddalena e suo fratello Lazzaro, in compagnia anche di Massimino, che le aveva battezzate e a cui lo Spirito Santo le aveva affidate, e di molti altri, furono caricati dagli infedeli su di una zattera e gettati in mare senza remi né vele, né timone né viveri: tuttavia, guidati dal Signore arrivarono sino a Marsiglia. Andarono poi nella zona ove sorge Aix-en-Provence, ove convertirono gli abitanti alla fede: Marta infatti era una buona parlatrice, ed era gradita a tutti. (p. 560)
Eufemia era figlia di un senatore. Vedendo, ai tempi di Diocleziano, che i cristiani erano straziati dalle più diverse pene, si presentò al giudice Prisco e confessò la sua fede in Cristo davanti a tutti, dando così esempio della sua saldezza anche agli uomini. Il giudice, man mano che metteva a morte i cristiani, cercava di imporre agli altri di sacrificare, anche soltanto per paura, mentre vedevano straziare quelli che si mantenevano fermi nella fede. Mentre i santi erano decapitati davanti ai suoi occhi, spinta ancora più dal loro coraggio, Eufemia disse ad alta voce al giudice che la pena che stava subendo era ingiusta. Il giudice provò gioia a queste parole, credendo che avesse voluto dire che era disposta a sacrificare. Quando però le chiese di che ingiusta pena stava parlando, rispose: – Io sono di famiglia nobile: perché mi metti davanti tanti stranieri e sconosciuti? Perché fai arrivare loro prima di me a Cristo e alla gloria promessa? (p. 767)
Ci fu in Bretagna un re cristianissimo di nome Noto o Mauro, che aveva una figlia di nome Orsola. Orsola brillava per il suo onesto contegno, per la sua sapienza e per la sua bellezza: la sua fama era ormai giunta in ogni luogo. Il re d'Inghilterra era molto prepotente e aveva soggiogato molti popoli; sentita la fama di Orsola, andava dichiarando che la sua felicità sarebbe stata completa se la vergine Orsola fosse andata in moglie al suo figlio unigenito. Anche il ragazzo bruciava dalla voglia. Furono mandati molti messaggeri al padre della ragazza, con grandi promesse, aggiungendo però molte minacce se fossero tornati a mani vuote. (p. 863)
[Sulla richiesta del re d'Inghilterra, un pagano, al re di Bretagna, un cristiano, di dare la figlia Orsola in sposa al proprio figlio] Il re [di Bretagna] prese a essere in ansia, sia perché gli pareva ingiusto che una vergine segnata dalla fede in Cristo fosse data a un adoratore di idoli, sia perché sapeva che sapeva bene che Orsola non voleva in nessun modo; però aveva anche molto paura della furia del padre del ragazzo. Orsola tuttavia, ispirata dal cielo, persuase il padre ad acconsentire a quanto chiedeva quel re, a condizione che il re le desse altre dieci vergini sceltissime per esserle in compagnia e consolazione, assegnando mille vergini a lei e a ciascuna delle altre. Poi che preparasse le navi per mandarle. Chiese poi anche tre anni per la dedicazione della sua verginità, e che nel frattempo quel giovane fosse per tre anni istruito nella fede: fu una decisione molto saggia, poiché avrebbe potuto o distoglierlo dal suo proposito con la difficoltà della condizione posta, o almeno approfittare dell'occasione per consacrare a Dio tutte le vergini di cui si è detto. (p. 863)
[Sul martirio di Sant'Orsola e delle undicimila vergini da lei convertite alla fede cristiana] Tutte le vergini, accompagnate dai vescovi, si misero sulla strada del ritorno in direzione di Colonia, ma la trovarono già assediata dagli Unni. Quando i barbari le videro si gettarono urlando contro di loro, e si scatenarono come lupi fra gli agnelli, uccidendo tutta quella moltitudine. Quando, massacrate le altre, giunsero a sant'Orsola, il capo degli Unni, vista la sua bellezza, rimase pieno di stupore, e cercando di consolarla della strage delle altre vergini, le promise che l'avrebbe sposata. Orsola però rifiutò, e il capo unno, vistosi disprezzato, le scagliò contro una freccia, che la trapassò uccidendola. Così portò a coronamento il suo martirio. (p. 866)
Cecilia, vergine illustre, nata da nobile stirpe romana, fu allevata sin dalla culla nella fede di Cristo. Portava sempre nascosta in petto l'immagine di Cristo, e non cessava mai di pregare né di giorno né di notte, chiedendo a Dio di conservare la sua verginità. Essendo stata promessa in sposa a un giovane, di nome Valeriano, ed essendo già stato fissato il giorno delle nozze, Cecilia teneva il cilicio a contatto con la pelle, mentre sopra teneva le sue vesti intessute d'oro. Mentre i cori cantavano, lei cantava da sola, fra sé, soltanto per il Signore: dicendo: – Signore, che il mio cuore e il mio corpo restino immacolati, perché io non resti confusa al Giudizio. (da Santa Cecilia, p. 942)
Irato allora Almachio la fece riportare a casa sua, dando disposizione di bruciarla tenendola notte e giorno dentro un bagno bollente. Cecilia vi restò come se si fosse trattato di un luogo freddo, e non le venne neppure un po' di sudore. Quando questo fu riferito ad Almachio, ordinò di tagliarle la testa nel bagno. Il boia la colpì tre volte, ma non riuscì a troncarle il capo; dato però che la legge vietava che il condannato potesse essere colpito quattro volte, il carnefice, lordo di sangue la lasciò moribonda. Visse ancora tre giorni, nei quali dette tutti i suoi beni ai poveri e affidò a Urbano tutti quelli che aveva convertito alla fede, dicendogli: – Ho ottenuto per me una dilazione di tre giorni, per affidarmi alla tua beatitudine, e perché tu potessi consacrare in chiesa questa mia casa. (da Santa Cecilia, p. 948)
[Su santa Caterina d'Alessandria] Poi, quando fu decollata, dal suo corpo sgorgò latte e non sangue, gli angeli presero il suo corpo e lo trasportarono da quel luogo fino al Monte Sinai, con un viaggio di più di venti giorni, e lì lo seppellirono con tutti gli onori. Dalle sue ossa sgorga senza sosta un olio che sana le membra di tutti i malati. La sua passione avvenne sotto il tiranno Massenzio o Massimino, che salì al trono circa nel 310. Come poi Massimino sia stato punito per questo delitto, e per molti altri, lo si legge nella storia dell'Invenzione della Santa Croce. (p. 969)
Il nostro grande raccoglitore, il Voragine, è un dotto, uno storico che mette insieme un libro, dove apparirebbero quasi delle intenzioni critiche. Quando noi gli sentiamo dire: questo racconto è apocrifo, questo fatto è dubbioso, sentiamo di essere davanti ad uno spirito che riflette. (Adolfo Bartoli)
Iacopo da Varazze, Legenda aurea, a cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone, Einaudi, Torino, 1995. ISBN 88-06-13885-5