dominio britannico sul subcontinente indiano (1858-1947) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
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Citazioni sull'Impero anglo-indiano
Si può ricordare che l'impero britannico, seguendo un'abitudine (non solo) coloniale consolidata, si prodigò nell'accentuare l'ostilità tra indù e musulmani. Divise per governare. Si può altresì rammentare che gli inglesi se ne andarono (in anticipo sulla data prevista) come da una nave che affonda. Fu esemplare la decisione di decolonizzare, ma non certo il calendario precipitoso, dopo due secoli di dominio. Il 15 agosto '47 resta una data importante non solo perché ha visto nascere la 'più grande democrazia del mondo', ma perché ha dato il via al processo di decolonizzazione, che ha cambiato la faccia del mondo. Winston Churchill detestava l'India e gli indiani, e non lo nascondeva. (Bernardo Valli)
Tutti sanno che l'India è una colonia. Esiste in India un'industria? Incontestabilmente esiste. Si sviluppa questa industria? Sì, si sviluppa. Ma in quel paese si sviluppa un tipo di industria che non produce strumenti e mezzi di produzione. I mezzi di produzione vengono importati dall'Inghilterra. Perciò (sebbene, naturalmente, non sia solo questo il motivo) l'industria di quel paese è interamente subordinata all'industria inglese. È il metodo tipico dell'imperialismo: sviluppare nelle colonie l'industria in modo da porla al rimorchio della metropoli, dell'imperialismo. (Stalin)
Cerco di vivere come un indiano, come vedete. È stupido, certo, perché nel nostro paese sono gli inglesi a decidere come vive un indiano, ciò che può comprare, che può vendere, e dal loro sfarzo in mezzo alla nostra terribile povertà loro ci istruiscono su che cos'è la giustizia e cos'è sedizione. È così è naturale che le nostre più giovani menti assumano un aria di dignità orientale mentre avidamente assimilano ogni debolezza occidentale quanto più presto è loro possibile.
Ci avevano chiesto "pazienza". Qualcuno di noi ne ha avuta e qualcuno no. Bene: la loro guerra è finita ora, e quelli di noi che l'hanno appoggiata e quelli di noi che l'hanno rifiutata devono dimenticare le nostre divergenze. E non può esserci più nessun pretesto per gli inglesi ora. L'India vuole l'autogoverno. Esige l'autogoverno!
– È giunto il momento che riconosciate che siete padroni in casa di qualcun altro. Malgrado le migliore intenzioni dei migliori di voi, siete portati per forza di cose ad umiliarci per controllarci. [...] È ora che ve ne andiate. – Rispettosamente, signor Gandhi, senza l'amministrazione britannica, questo paese sarebbe ridotto al caos. – Signor Kinnoch, la prego di convenire che non c'è popolo sulla terra che non preferirebbe un suo pessimo governo al buon governo di una potenza straniera.
Noi cerchiamo di fare una nazione, Gandhi. Ma gli inglesi stanno continuando a frantumarci in religioni e principati e province.
L'India è forse il solo membro dell'Impero Britannico senza alcuna reale rappresentanza politica, e il solo paese civile del mondo che non ha un vero sistema di governo rappresentativo.
L'India è rimasta fedele e leale all'Impero Britannico fin dal principio; ha riversato il suo tesoro e sparso il sangue di alcuni dei suoi più nobili figli nei campi di battaglia delle Fiandre, dell'Africa, dell'Egitto e della Mesopotamia per la difesa dell'Impero.
La lealtà dell'India all'Impero non ha fissato a sé stessa alcun prezzo.
Nell'India di oggi, gli uomini che più attivamente hanno preso parte alla politica sono stati quelli che vennero formati in Inghilterra e sono poi rimpatriati per servire il loro paese. Quelli che in passato furono studenti sono gli attuali politici attivi. Lasciate che familiarizzino senz'altro con gli inglesi e si facciano amici fra loro. Ma fate in modo che il loro primo dovere per tutto il tempo del loro soggiorno in questa nazione sia quello di incontrare e comprendere i loro connazionali.
L'India per secoli fu divisa da sanguinose lotte interne. Poi vennero gli inglesi e ci diedero l'unità. Ma era l'unità di un popolo di schiavi.
Per molte generazioni gli inglesi hanno trattato l'India come una specie di enorme casa di campagna (secondo il vecchio costume inglese) di loro proprietà. Essi erano i ricchi che possedevano la casa e ne occupavano le parti migliori mentre gli indiani venivano relegati nelle stanze della servitù, nella dispensa e nella cucina. E come in ogni casa di campagna che si rispetti, c'era una gerarchia fissa negli strati inferiori - maggiordomo, portinaio, cuoco, cameriere, donna di servizio, lustrascarpe, ecc. - e fra loro veniva osservata la rigorosa dipendenza. Ma fra gli altri strati superiori della casa esisteva, socialmente e politicamente, una barriera insormontabile. Il fatto che il Governo britannico ci abbia imposto questa situazione non è sorprendente, ma ciò che sembra sorprendente è che noi, o la maggior parte di noi, l'avessimo accettata come l'ordinamento naturale ed inevitabile della nostra vita e del nostro destino. Noi abbiamo sviluppato la mentalità di un buon servitore di una casa di campagna. Qualche volta ci veniva riservato un onore raro, ci veniva data una tazza di té nel salotto. Il sommo della nostra ambizione era diventare rispettabili ed essere promossi individualmente agli strati superiori. Questo trionfo psicologico degli inglesi in India era maggiore di qualsiasi vittoria militare o diplomatica. Lo schiavo aveva incominciato a pensare da schiavo, come avevano detto i saggi vecchi di un tempo.
Una delle leggende sull'India, che i nostri dominatori inglesi hanno fatto tenacemente circolare in tutto il mondo, è che l'India avrebbe centinaia di lingue, non me ne ricordo il numero esatto. E a riprova di ciò c'è il censimento. Di queste parecchie centinaia è un fatto straordinario che pochissimi inglesi ne conoscono appena una discretamente bene, nonostante risiedano per tutta la vita nel nostro paese. Essi ne classificano parecchie insieme e le chiamano «vernacolo», il linguaggio degli schiavi (dal latino verna, uno schiavo nato in casa) e molti della loro gente hanno accettato, senza saperlo, questa nomenclatura. È sorprendente come gli inglesi trascorrano una vita intera in India senza prendersi la briga di impararne bene la lingua. Essi hanno sviluppato, con l'aiuto dei loro khansamahs e dei loro ayahs, un gergo straordinario, una specie di indostano fasullo, che essi si immaginano essere la vera lingua. Così come apprendono i fatti relativi alla vita dell'India dai loro subordinati e sicofanti, essi si formano una idea dell'indostano dai propri domestici, i quali si fanno obbligo di parlare la loro lingua fasulla al Sahib di casa, nel timore che questi non capisca null'altro. Gli inglesi sembrano ignorare totalmente il fatto che l'indostano, come pure le altre lingue indiane, hanno un alto merito letterario ed una vasta letteratura.
Una delle principali caratteristiche di quella dominazione è che i peggiori mali inflittici presentano esteriormente l' apparenza di benefici piovuti dal Cielo: essi erano necessari e noi siamo molto grati all'Inghilterra che ce li ha portati. Ma non dobbiamo dimenticare che il primo obiettivo era quello di rafforzare l'imperialismo britannico sul nostro suolo, e questo implicava uno stretto controllo amministrativo e la conquista di nuovi mercati per i prodotti dell'industria inglese.