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I batteri magnetotattici sono una classe di batteri scoperta negli anni 1960 che presentano la particolarità di disporsi lungo le linee del campo magnetico terrestre (magnetotassi).
Il primo articolo su questa classe di batteri risale al 1963, ad opera di Salvatore Bellini, un laureato in medicina, interno presso l'Istituto di microbiologia dell'Università di Pavia. Egli infatti notò che sul suo vetrino da microscopia sul quale era depositato del fango di palude, un gruppo di batteri si muoveva decisamente in una direzione. Capì presto che questi microrganismi stavano seguendo le linee del campo magnetico terrestre, da sud a nord, da cui l'aggettivo "magnetosensibili".[1] In seguito, nel 1975 un laureato in microbiologia, Richard Blakemore, pubblicò un articolo su "Science" e denominò i batteri con l'aggettivo "magnetotattici".[2]
Questi batteri sono stati sottoposti ad innumerevoli esperimenti, sono persino stati portati a bordo dello Space Shuttle per esaminarne la magnetotassi in assenza di gravità, senza però giungere a conclusioni eclatanti.[3] Sono anche stati "accusati di esistere" su Marte per via del ritrovamento di particelle magnetiche su un meteorite (ALH84001) che proviene dal pianeta rosso, anche questa volta l'incertezza dei risultati è perlomeno manifesta.[2] Di certo invece è la singolarità di questi batteri, che probabilmente torneranno molto utili all'umanità in un futuro prossimo.
I batteri magnetotattici (MagnetoTactic Bacteria, MTB) si trovano usualmente nella zona di transizione acqua-sedimenti (Oxic-Anoxic Transition Zone, OATZ) e ne esistono di diversa morfologia (bastoncellari, coccoidei, vibrioidi, spiraliformi). Diversi MTB contengono un differente numero, disposizione e forma di particelle magnetiche dei batteri (Bacterial Magnetic Particle, BMP).[4] I MTB possono essere suddivisi in due categorie, a seconda se producono particelle di magnetite (IIIFe2IIFeO4) o di greigite (IIIFe2IIFeS4), anche se alcune specie le producono entrambe. La magnetite ha un momento magnetico tre volte maggiore della greigite.[2]
La maggior parte degli MTB mineralizzanti magnetite necessitano di un ambiente microaerofilo per generare i magnetosomi. Sopra una certa soglia però non producono più BMP e quindi perdono la magnetotassi. Alcuni ceppi invece producono magnetite anche in condizioni anaerobiche, usando il monossido di azoto o lo ione nitrato come accettori finali di elettroni. Comunque fanno parte del sottogruppo alfa dei Proteobatteri. I MTB mineralizzanti grigite sono probabilmente stretti anaerobi e sono associati ai batteri solfato riduttori, quindi rientrano nel sottogruppo delta dei Proteobatteri. Questo indica un'origine evoluzionisticamente separata e quindi un processo di biomineralizzazione fondamentalmente diverso.[5]
Si pensa che il vantaggio evolutivo dell'avere un sistema di magnetosomi consista nel riuscire a trovare e mantenere efficientemente una posizione ottimale in termini di sostanze chimiche e gradienti redox, riducendo una ricerca tridimensionale ad una monodimensionale (vedi prosieguo per il meccanismo).[5] Recentemente si è appurato che alla magnetotassi è associato anche un meccanismo aerotattico.[6]
Le BMP interagiscono formando delle catene. Nell'immagine se ne nota una in Magnetospirillum magneticum. Il dipolo magnetico della cellula è quindi la somma dei dipoli delle singole BMP ed è grande abbastanza da orientare passivamente la cellula e sopraffare le forze termiche casuali di un ambiente acquoso.[5] In presenza di più di una catena, le forze di repulsione intercatena spingeranno le stesse ai bordi della cellula, inducendo turgore.[2]
Dal punto di vista fisico la crescita di un cristallo magnetico è governata da due fattori, uno tende ad allineare il momento magnetico delle molecole in soluzione con quello del cristallo in crescita, l'altro al contrario tende a ridurre il momento magnetico del cristallo permettendo l'attacco delle molecole in soluzione con un momento magnetico opposto. In natura ciò causa l'esistenza di domini magnetici, circondati da mura di dominio, dello spessore di circa 150 nm nella magnetite, nelle quali le molecole gradualmente cambiano orientazione. Per questo motivo macroscopicamente il ferro non è magnetico in assenza di un campo applicato. Similarmente particelle magnetiche molto piccole non presentano magnetizzazione a temperatura ambiente, il loro momento magnetico è alterato continuamente dai moti termici degli atomi che le compongono.[2] Le MTB invece sono di dimensioni comprese tra 35 e 120 nm, cioè grandi abbastanza per avere un momento magnetico permanente ed allo stesso tempo piccole a sufficienza da essere un singolo dominio magnetico.[5]
L'inclinazione del campo magnetico terrestre nei due emisferi seleziona una delle due possibili polarità delle cellule magnetotattiche (rispetto al polo flagellato della cellula), dirigendo la biomineralizzazione delle BMP. Infatti più del 99,9% della popolazione di MTB dell'emisfero nord si orienta e nuota verso il nord, quindi scendendo di livello (a causa della forma delle linee di campo) verso i sedimenti, allontanandosi da concentrazioni tossiche di ossigeno. Viceversa, ma con gli stessi risultati, nell'emisfero sud. All'equatore, dove le linee del campo geomagnetico sono orizzontali, si trovano all'incirca lo stesso numero di cellule con entrambe le polarità.[5]
La biomineralizzazione della magnetite richiede dei meccanismi regolatori della concentrazione di ferro, della nucleazione del cristallo, del potenziale redox e del pH. La compartimentalizzazione in magnetosomi permette il controllo biochimico di tali processi. Dopo il sequenziamento dei genomi di alcune specie di MTB è stata possibile un'analisi comparativa delle proteine coinvolte nella formazione delle BMP. Si sono così trovate omologie di sequenza con membri dell'ubiquitaria famiglia CDF (Cation Diffusion Facilitator) e con delle serin proteasi Htr-simili. Le prime sono coinvolte esclusivamente nel trasporto di metalli pesanti, le seconde sono delle HSP che degradano le proteine mal ripiegate. Queste proteine della Membrana Magnetosomiale (MM) oltre al dominio serin proteasico contengono domini PDZ. Altre proteine della MM presentano domini TPR (Tetratrico Peptide Repeat).[4]
I domini TPR si ripiegano in due alfa-eliche e presentano una sequenza di consenso di 8 amminoacidi (dei 34 totali) molto conservati e diffusi in natura. A parte questi, il resto della struttura è specializzata a seconda delle implicazioni funzionali. I complessi noti che comprendono proteine TPR sono:
Esistono esempi sia di interazioni TPR-TPR che TPR-nonTPR[7] I modelli mostrano gli 8 residui conservati come sfere-bastoncini da due angolazioni diverse: W-LG-Y-A-F(qui Y)-A-P.
I domini PDZ sono strutture modulari costituite da 6 beta-filamenti e 2 alfa-eliche che riconoscono gli amminoacidi C-terminali (almeno 4) delle proteine in modo sequenza specifico. Spesso il terzultimo residuo è fosforilabile, il che impedisce l'interazione col dominio PDZ. Gli unici residui conservati sono quelli deputati al riconoscimento del COOH terminale (RKXXXGLGF). Sono diffusi in natura in quanto costituiscono la struttura su cui si assemblano i complessi multiproteici, soprattutto quelli associati a proteine di membrana come i canali K+inward rectifier o i recettori beta2-adrenergici.[8]
La formazione della MM prevede almeno tre passaggi. Nel primo si forma un'invaginazione della membrana citoplasmatica, innescata da una GTPasi. È probabile che questo meccanismo sia simile anche negli eucarioti.
Il secondo passaggio prevede l'entrata di ioni ferrosi nelle vescicole neoformate a partire dagli ioni ferrici dell'ambiente esterno. Anche in colture Fe3+deficienti i MTB riescono ad accumularne elevate concentrazioni intracellulari secernendo un sideroforo, un ligando a basso peso molecolare con alta affinità e specificità per il Fe3+indotto al bisogno. Il complesso Ferro-sideroforo è quindi traslocato nel citoplasma, dove si scinde. Gli ioni ferrici devono quindi esser convertiti in ferrosi per poter essere accumulati nelle BMP ad opera di un trasportatore transmembrana con omologie di sequenza con antiporto Na+/H+. In realtà è un antiporto H+/Fe2+funzionante a gradiente protonico. Esso è localizzato sia sulla membrana citoplasmatica che sulla MM, ma in orientazioni invertite, in modo che sulla prima genera un efflusso di ferro e sulla seconda un influsso. Essendo decisamente più presente sulla MM, l'efflusso di ferro dalla membrana citoplasmatica è trascurabile. Inoltre questo step è controllato strettamente da un sistema redox di citocromi ancora non ben compreso e, sembra, specie-specifico.
Nello stage finale viene innescata la nucleazione del cristallo di magnetite ad opera di proteine transmembrana con domini idrofili acidi e basici. Una di queste proteine, chiamata Mms6, è stata usata nella sintesi artificiale di magnetite, e la sua presenza permette la produzione di cristalli omogenei in forma e dimensioni.
Probabilmente molte altre proteine associate alla MM svolgono ruoli nel generare concentrazioni di supersaturazione di Ferro, nel mantenere condizioni riducenti, nell'ossidazione del Ferro o nella parziale riduzione e deidratazione del ferridrato.[6]
Nelle colture di Magnetospirillum magnetotacticum il ferro non è sostituibile da altri metalli di transizione (Ti, Cr, Co, Cu, Ni, Hg, Pb) eventualmente presenti nel terreno, anche se forse ciò è dovuto al trattamento. Allo stesso modo è stato visto che l'ossigeno e lo zolfo non sono intercambiabili come componente non metallica del magnetosoma in una stessa specie. Questo è indice dell'esistenza di diversi set di geni per la biomineralizzazione della magnetite e della grigite.[5]
Dal punto di vista termodinamico la sintesi inorganica della magnetite è favorita rispetto a quella di altri ossidi del ferro a pH neutro ed a bassi potenziali redox. Sembra quindi che le condizioni microaerofile od anaerobie creino un potenziale adatto alla formazione delle BMP. Inoltre l'influsso di Ferro è rapidamente convertito in magnetite, senza ritardi, il che indica che la formazione dei cristalli non è preceduta da un accumulo di ferro sotto altre forme e che le strutture e gli enzimi per la biomineralizzazione sono già presenti nella cellula. Queste conclusioni sono supportate anche dal fatto che MTB coltivati in condizioni aerobiche (quindi non magnetici) contengono quantità di ferro paragonabili a qualsiasi altra specie batterica.[9]
Le caratteristiche delle BMP permettono la loro utilizzazione pratica in svariati campi, migliorando vecchie tecniche ed introducendone di nuove. Vantaggi comuni in tutti settori sono:
Negli ultimi anni l'uso di tecniche magnetiche è esploso e si è diversificato molto nel campo biotecnologico. I vantaggi principali sono l'alta scalabilità, rapidità e l'uso di reagenti non tossici ne pericolosi. La maggior parte delle particelle magnetiche artificiali (AMP) usate ricade in una di tre categorie:
Le dimensioni ricadono per lo più nel range 1-5 µm di diametro, rendendo necessario un continuo mescolamento per avere un efficiente binding. Di contro le forze di taglio possono danneggiare i ligandi, sia cellule che biomolecole, se si eccede nell'agitazione. Nel caso si abbia a che fare con popolazioni cellulari può essere necessario staccare le AMP dalle cellule, che risentirebbero della loro ingombrante presenza.[11] Per questi motivi le BMP potrebbero trovare il loro spazio nella ricerca biotecnologica in sostituzione delle AMP, almeno in certe applicazioni.
Un'interessante integrazione delle particelle magnetiche con le tecniche di DNA ricombinante prevede l'uso di vettori esprimenti un marker di superficie come il CD4 o le MHC-I di topo. In tal modo è possibile, usando particelle magnetiche coniugate con un anticorpo contro tali marker, isolare in gran rapidità le cellule trasfettate con successo.[11] Questa tecnica potrebbe essere estesa a cellule procariote, e l'uso di BMP ricombinanti esprimenti l'Ig di selezione potrebbe rendere indipendente un laboratorio di ricerca dall'acquisto di sempre nuove AMP coniugate con l'anticorpo.
Le BMP si prestano molto bene come carrier di proteine ricombinanti o di proteine ancora, con applicazioni nella ricerca, nella diagnostica e come biosensori. In un esperimento classico, usando una proteina di fusione MagA-Luc (Luc=Luciferasi, MagA=proteina dei MTB), si è dimostrato che MagA è localizzata sulla superficie delle BMP. Quindi con un vettore di espressione plasmidico si è fatta esprimere in un MTB la proteina ricombinante MagA-ProteinaA, che grazie alla parte derivata da MagA si localizza sulle BMP e per mezzo della ProteinaA può legare la parte costante delle Ig. Isolate le BMP ricombinanti le si è incubate con l'anticorpo anti-IgG coniugato con la Fosfatasi Alcalina. In questo modo si è potuto dimostrare, usando un substrato luminescente per la Fosfatasi Alcalina, che l'anticorpo era effettivamente legato alle BMP perché la ProteinaA era fusa con MagA. Contrariamente, BMP prodotte da MTB esprimenti MagA e ProteinaA separate emettevano una luminescenza trascurabile, segno che la ProteinaA da sola non ha affinità per le BMP.[12]
Per aumentare il segnale luminoso di questo saggio occorre aumentare la quantità di ProteinaA espressa sulle BMP e quindi usare un vettore di espressione più forte, che sia cioè ad alto numero di copie, stabile e derivato dall'ospite. In Magnetospirillum magneticum è stato scoperto un plasmide criptico denominato pMGT con queste caratteristiche. È lungo circa 3,7 kb ed ha due potenziali ORF codificanti le proteine Rep e Mob. Tagliando pMGT in modo che contenga la regione replicativa si ottiene un frammento di 3 kb funzionale. Nonostante elettroporazione (usata per trasformare il plasmide) uccida i MTB contenenti BMP, è possibile effettuarla in condizioni aerobiche, nelle quali le BMP non sono prodotte. Successivamente il ripristino dell'anaerobiosi permette ai MTB di riprendere a biomineralizzare le BMP.[13]
Con caratteristiche simili il plasmide può essere impiegato per ricombinare a proteine della MM vari target della ricerca farmacologica: un esempio su tutti, i recettori a sette domini transmembrana. Proprio uno di essi è stato clonato ed espresso sulle BMP per dimostrare che la proteina ricombinante manteneva la caratteristica di legare i propri agonisti ed antagonisti (marcati con una molecola fluorescente). Questo sistema inoltre è in grado di quantificare l'interazione e può essere scalato per una larga produzione di BMP ricombinanti per Ig, enzimi, .. mantenendone l'attività.[6]
La minima regione replicativa deve contenere una sequenza di origine ori (ricca di AT, dove avviene la separazione delle eliche), delle sequenze ripetute per il legame di Rep (iteroni), i boxes per la DnaA (codificata dall'ospite) ed il gene rep. Il legame di Rep e DnaA favoriscono la distorsione dell'elica a livello di ori che, per l'alta percentuale di AT, si separa in due emieliche. Da qui parte la replicazione col legame delle proteine SSB e della DnaB (elicasi).[14]
Le caratteristiche delle BMP possono tornare molto utili in campo medico, in diagnosi come in terapia. Le AMP essendo prodotte per sintesi chimica o per via meccanica risentono delle loro disomogenee qualità fisico-chimiche. Inoltre le proprietà delle particelle dovrebbero essere riproducibili. Le possibili applicazioni mediche richiedono particelle superparamagnetiche come le BMP. Ovviamente occorre stabilità alle condizioni fisiologiche di pH, salinità ed osmolarità. Devono essere facilmente disperdibili e non tossiche. Quindi a seconda se queste particelle verranno usate in vivo od in vitro ci saranno altre restrizioni. Per applicazioni in vivo è necessario evitare la formazione di agglomerati, con rischio di embolia vasale. Qui tornano utili le dimensioni nanoscopiche delle BMP, che conferiscono bassissime velocità di sedimentazione (quindi stabilità colloidale), migliore diffusione tissutale ed enorme area superficiale. Quest'ultima proprietà è importante se si intende fissare sulla superficie delle BMP un ligando. La magnetite è tuttora il materiale magnetico più usato in medicina per la sua bassa tossicità ed immunogenicità. Per applicazioni in vitro le restrizioni sono minori.[10]
Le applicazioni in vivo possono essere ulteriormente suddivise in terapeutiche e diagnostiche, mentre quelle in vitro sono principalmente diagnostiche per il momento. Fra le prime, le due tecniche più discusse sono l'ipertermia e la veicolazione di farmaci. Con la prima si intende una procedura terapeutica usata per innalzare la temperatura di una regione del corpo colpita da un tumore. È praticata in concomitanza con altre terapie anticancro e si basa sul fatto che sopra i 40-43 °C le cellule muoiono per shock termico. Le particelle magnetiche, dopo una somministrazione endovenosa, possono essere tenute in loco da un campo magnetico esterno, costante prima, ed alternato poi, causando un "effetto Joule" magnetico dovuto alla continua riorientazione della magnetizzazione delle particelle (che hanno bassa conducibilità elettrica). Le nanoparticelle assorbono molta più potenza in campi magnetici AC tollerabili e la loro uniformità dimensionale è fondamentale per un controllo preciso della temperatura.[10]
Le stesse particelle possono essere usate per trasportare farmaci, radionuclei od anticorpi, per un rilascio controllato nel tempo e nello spazio, aumentando le concentrazioni in situ e diminuendo gli effetti collaterali. Nel caso di un tumore per esempio è possibile far extravasare le particelle magnetiche grazie ad un forte campo magnetico. Queste rimangono intrappolate nel tessuto maligno dove rilasciano il principio attivo o le radiazioni. Con le BMP è possibile preparare magnetoliposomi contenenti agenti antitumorali.[15]
La risonanza magnetica nucleare ad immagine (iNMR) utilizza una classe particolare di farmaci, i cosiddetti magnetofarmaceutici, da somministrare al paziente per invigorire il contrasto tra tessuti sani e malati, per visualizzare la circolazione sanguigna e lo stato degli organi. Si possono così distinguere infarti cerebrali e cardiaci, lesioni epatiche, tumori, infiammazioni ed ischemie. Ancora una volta le piccole dimensioni fan risaltare differenze utili tra i tessuti come la composizione ed i processi endocitotici.[10]
Nelle tecniche in vitro è possibile separare una popolazione cellulare che esprime un particolare epitopo in mezzo a molti altri tipi cellulari. Per lo scopo si sfrutta una selezione positiva se l'anticorpo è specifico per il tipo cellulare voluto, negativa (o di arricchimento) se gli anticorpi sono specifici per le cellule non-target.[11]
Recentemente è stata introdotta una nuova tecnica di valutazione dei saggi immunologici chiamata magnetorilassometria. Essa misura la viscosità magnetica, cioè il rilassamento del momento magnetico netto, di un sistema dopo la rimozione del campo magnetico esterno. La viscosità magnetica dipende dalle dimensioni idrodinamiche e del nocciolo, e dall'anisotropia delle particelle, e permette di distinguere tra quelle coniugate con un ligando e quelle libere grazie al diverso comportamento magnetico.[10]
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