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Classe Arthropoda Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Con il termine tilacocefali (Thylacocephala, dal greco θύλακος thylakos cioè "sacco" e κεφαλή kephalēs "testa") si indica una classe estinta di artropodi con carapace bivalve e addome ridotto non segmentato, di affinità incerta e tuttora in discussione, occorrenti dal Paleozoico inferiore al Cretacico. La classe è stata istituita originariamente su materiale fossile proveniente dal giacimento fossilifero tipo konservat-lagerstätte di Osteno (Giurassico inferiore - Sinemuriano), da esperti del Museo civico di storia naturale di Milano.
Thylacocephala | |
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Ankitokazocaris chaohuensis. Ricostruzione. | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Sottoregno | Eumetazoa |
Ramo | Bilateria |
Superphylum | Protostomia |
Phylum | Arthropoda |
Classe | Thylacocephala Pinna et al., 1982 |
Ordini | |
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I fossili appartenenti a questo gruppo sono piuttosto rari, ma hanno una distribuzione stratigrafica ampia, che va dall'Ordoviciano superiore (Sandbiano)[1] al Cretacico superiore (Santoniano),[2]. È incerta (e oggetto di discussione) la loro presenza fin dal Cambriano.[3][4][5][N 1] La loro distribuzione geografica è quasi ubiquitaria: si rinvengono infatti in Australia, Giappone, Cina, Austria, Repubblica Ceca, Francia, Italia, Spagna, Scozia, Slovenia, Libano, Madagascar, Stati Uniti, Messico.[6]
La morfologia di questo gruppo è peculiare:[8][9] si tratta di artropodi a marcata simmetria bilaterale, caratterizzati da un carapace sottile e non mineralizzato a due valve identiche unite nella regione dorsale (prive di una struttura a cerniera definita), lateralmente compresso, di forma sub-ovale, ellittica o sub-trapezoidale, che racchiude quasi tutto il corpo ad eccezione dell'estrema parte posteriore. Addome ridotto non flessibile; appendici caudali e telson tipicamente assenti. Otto paia di branchie generalmente ben sviluppate. La conservazione del materiale fossile, anche per la presenza del carapace che avvolge le parti molli, non offre una visione esaustiva della segmentazione del corpo (numero e distribuzione dei somiti), che è tuttora materia di discussione tra gli esperti.
Il margine dorsale separa le due valve del carapace e la sua parte frontale reca una cresta che si prolunga in un rostro più o meno lungo e affilato. La parte anteriore del carapace è concava e mostra un paio di occhi composti globulari, sovente ipertrofici, che sporgono da un incavo situato tra il rostro frontale e il margine del carapace. Questi occhi nei fossili meglio conservati presentano un fitto pattern regolare con elevata densità di ommatidi, simile a quello di crostacei attuali.[10] Presenza di alcune (almeno 5) appendici cefaliche corte e scarsamente conosciute dal materiale fossile: probabilmente due paia di brevi antennule, tre paia di appendici mascellari e una sorta di labbro che formano l'apparato boccale dell'organismo.[11]
La nota più caratteristica[8][9][12] è la presenza di tre paia di lunghe appendici raptatorie,[N 2] prensili, genicolate[N 3] e dotate di spine, talora provviste di chele), che sporgono dal margine antero-ventrale del carapace, di cui il terzo paio particolarmente sviluppato. Il margine posteriore del carapace è concavo e beante, e da esso sporge la parte posteriore del corpo (quando conservata), che reca diverse (7-8, fino a 11) serie di segmenti pleurali rettangolari orientati perpendicolarmente al margine stesso, che recano appendici ventrali poco sviluppate, stiliformi e filamentose, con funzione probabilmente natatoria e/o deambulatoria, simili ai pleopodi presenti nella parte ventrale dell'addome dei crostacei, decrescenti in dimensioni verso la parte posteriore. I margini anteriore e/o posteriore possono essere dotati di spine; talvolta si ha un rostro posteriore. Le appendici, nei fossili meglio conservati, evidenziano la presenza di setae.[13]
In uno studio più recente, sono state riscontrate in talune forme ulteriori strutture enigmatiche[14]:
Superficie esterna convessa; spesso si osserva una carena dorsale dove si uniscono le due valve del carapace e talora carene e solchi laterali longitudinali più o meno sviluppati. Ornamentazione generalmente non molto sviluppata, con striature, corrugamenti, serie lineari o concentriche di tubercoli o piccole depressioni (pori)[16], e talvolta sottili coste verticali sinuose.[17][18]
I tilacocefali sono stati in origine riconosciuti come crostacei di un nuovo genere tra i fossili del giacimento sinemuriano di Osteno, sul Lago di Lugano. Inizialmente, queste forme vennero assegnate ad un nuovo genere di cirripedi (Ostenia cypriformis Arduini, Pinna, Teruzzi 1980)[19] Questa forma, ad un esame di maggiore dettaglio comprendente l'asportazione meccanica del carapace, considerate le peculiarità dei dettagli anatomici riconosciuti, venne più tardi assegnata ad una nuova classe di artropodi incertae sedis (Thylacocephala Pinna, Arduini, Pesarini, Teruzzi 1982),[20] della quale tuttavia veniva ipotizzata un'affinità filogenetica rispetto ai cirripedi.[21] Al momento dell'istituzione non venne data una definizione formale della classe, bensì sei caratteristiche diagnostiche:[22]
Dopo questo primo lavoro pionieristico, varie osservazioni e controversie nell'ambito della comunità scientifica hanno portato a una revisione rispetto alla descrizione e all'interpretazione originaria;[23] tra i principali elementi di novità:
Negli anni successivi, queste forme sono state revisionate e riconosciute in un gran numero di ambiti di età, orizzonti stratigrafici e condizioni diverse di fossilizzazione, portando al riconoscimento della maggior parte delle caratteristiche note di queste forme, tra le quali in particolare:[28]
Il quadro della fisiologia e delle relazioni filogenetiche di queste creature è tuttavia ancora lontano da un completo chiarimento.[30]
La classe dei tilacocefali è suddivisibile in due ordini[35]:
Questa suddivisione pone l'accento sull'organizzazione dell'apparato visivo e sugli annessi elementi dell'esoscheletro ma non evidenzia differenze in altri elementi anatomici (appendici, segmentazione).[32]
Attualmente si riconoscono da una ventina a una trentina di generi, alcuni di posizione sistematica controversa.
Forme problematiche
Il modo di vita dei tilacocefali è stato a lungo dibattuto e rimane in gran parte una questione aperta. Inizialmente[39], erano interpretati come organismi sessili e filtratori, privi di occhi, parzialmente fossori[N 7] (il "sacco cefalico" era concepito come un vero e proprio organo fossorio), con affinità o convergenza evolutiva verso i cirripedi; questa interpretazione è stata in parte corretta successivamente[23] come organismi predatori, dotati di occhi composti (inizialmente interpretati come "sacco cefalico"), ma comunque essenzialmente bentonici e poco mobili; soprattutto con ridotte capacità di nuoto attivo, per la mancanza di un addome flessibile e di un telson e per le dimensioni ridotte delle appendici addominali. Osservazioni più recenti su materiale fossile meglio conservato però sembrano indicare che almeno alcune forme fossero capaci di nuoto attivo, per diverse caratteristiche[40]
Lo stile di vita predatorio è indicato dalla presenza delle appendici raptatorie, molto robuste e provviste di spine, assai simili a quelle degli attuali stomatopodi (canocchie), che probabilmente venivano proiettate in avanti molto rapidamente chiudendosi dal basso verso l'alto sulla preda, che veniva in tal modo immobilizzata, forse in parte smembrata e portata all'apparato boccale. Una conferma viene dal contenuto dello stomaco di forme fossili (Ostenocaris) del Sinemuriano (Giurassico inferiore) lombardo[23] che consiste in resti di pesci, uncini di cefalopodi e frammenti di carapace di altri crostacei (inclusi tilacocefali di dimensioni minori). Queste caratteristiche si adattano peraltro sia a un carnivoro predatore che a un necrofago (in tal caso le appendici potevano servire per smembrare carcasse di organismi morti), o a entrambi gli adattamenti.[43]
Altri, osservando che le appendici raptatorie dei tilacocefali sono differenti come numero e disposizione dei segmenti rispetto a quelle dei crostacei attuali[N 8] e quindi un movimento simile a quello degli stomatopodi sarebbe stato forse meno efficiente, propendono per un diverso meccanismo di estensione: per lo meno in alcune forme, le appendici raptatorie non sarebbero state rivolte in avanti, in asse con il corpo, ma estese a 45° circa formando una sorta di "cesto" o di rete per intrappolare le prede.[44]
La mancanza di bioturbazione nei depositi fossiliferi e di organismi sicuramente fossori associati a queste forme[45][46] depone a favore di uno stile di vita non endobionte. La presenza in diverse forme di occhi composti molto sviluppati, simili a quelli di attuali forme di crostacei necto-planctonici (Hyperiidea) sembra indicare un adattamento a condizioni di elevata profondità del battente d'acqua e conseguente scarsa illuminazione; l'alta densità di ommatidi e implicherebbe una buona risoluzione visiva, con la capacità di distinguere piccoli oggetti.[47][48] La presenza sul carapace di talune forme di allineamenti di tubercoli o di depressioni fa peraltro pensare a possibili organi bioluminescenti, analogamente ad alcuni crostacei attuali di mare profondo, finalizzati ad attirare prede, o in funzione antipredatoria, o ancora di richiamo sessuale.[26][46]
L'habitat di elezione di queste forme, almeno nel Mesozoico, sembra essere di mare profondo, al di sotto dei 200 metri, rientrante quindi nel piano batiale, in un contesto quindi di scarpata continentale o di transizione scarpata-bacino, dominato da sedimenti fini fangosi.[49] Per le forme del Giurassico inferiore rinvenute nel bacino lombardo (Osteno - Calcare di Moltrasio), questa connotazione ambientale va declinata in un contesto locale di fondale emipelagico soggetto a episodi anossici,[45] nell'ambito di un bacino tettonico a prevalente sedimentazione torbiditica fine di materiale carbonatico, in un quadro geodinamico tettonico di rift.[50] I tilacocefali studiati nell'ambito dei famosi "fish beds" del Cretacico superiore del Libano (giacimento di Sahel Aalma)[51] sembrano ugualmente appartenere ad un contesto di mare piuttosto profondo (maggiore di 150 m), confermato dall'associazione faunistica.[2] Forme più antiche e problematiche (Cambriano inferiore) sono interpretate come predatori demersali di minore profondità (100–150 m, quindi nell'ambito della piattaforma continentale), in grado di nuotare liberamente ma legati al fondale per il nutrimento.[52] D'altro canto, alcune tra le prime forme attribuite con maggiore confidenza ai tilacocefali (Ordoviciano superiore) sono state rinvenute in un contesto di mare relativamente poco profondo (Letná Formation - Bacino Boemico) con sedimenti siltoso-arenacei ricchi di faune fossili ben differenziate, e sembrano mostrare in base alla morfologia del carapace una precoce differenziazione paleoecologica tra forme nectoniche (con carapace maggiormente "idrodinamico") e forme necto-bentoniche (con carapace massiccio e ovoidale) adattate ad ambiente con relativamente più alta energia del mezzo.[53]
I tilacocefali erano sicuramente soggetti a predazione: carapaci di tilacocefali sono stati rinvenuti nel giacimento tipo lagerstätte di Besano (Anisico-Ladinico), sul Lago di Lugano. Si tratta di carapaci più o meno frammentari inglobati entro coproliti parzialmente dissolti oppure in frammenti distribuiti sulle superfici di strato nel raggio di pochi centimetri, il che significa verosimilmente che erano inglobati in coproliti che non si sono conservati. Non si distinguono segni di morsi su tali frammenti, il che viene interpretato come frammentazione operata da denti arrotondati, del tipo di quelli appartenenti a predatori durofagi come i rettili placodonti, o squaliformi come alcuni ibodonti. I sedimenti di Besano sono euxinici, quindi non esisteva vita sul fondale per assenza di ossigeno e presenza importante di idrogeno solforato; i tilacocefali quindi sono stati predati nella parte di colonna d'acqua non prossima al fondale, oppure su fondali meno profondi e più ossigenati, da predatori che poi sono passati nuotando su acque più profonde ove i coproliti sono stati deposti. I predatori in questione sono probabilmente vertebrati (pesci e rettili) di media taglia, come quelli (specifici del Triassico) riportati.[54]; forse anche pesci ossei actinopterigi durofagi come i picnodonti, presenti dal Triassico superiore, e forme affini più antiche.[55] Si ricorda anche la presenza di carapaci di tilacocefali di minori dimensioni entro residui gastrici in esemplari di Ostenocaris cypriformis da Osteno, che implicherebbero cannibalismo intraspecifico, forse ai danni di individui giovanili.[56]
Per quanto riguarda le forme paleozoiche, vi sono non poche evidenze dal Devoniano superiore-Carbonifero di carapaci frammentati in coproliti e residui gastrici di pesci, segnatamente squaliformi primitivi (fra cui cladoselacidi).[57]
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