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legge religiosa dell'Islam Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Nell'Islam la Shariʿa o sharia[1], in italiano anche sciaria[2][3][4] (in arabo شريعة? sharīʿa 'legge'; letteralmente "strada battuta", "il cammino che conduce alla fonte a cui abbeverarsi"), è il complesso di regole di vita e di comportamento dettato da Dio per la condotta morale, religiosa e giuridica dei suoi fedeli. È un concetto suscettibile di essere interpretato in chiave metafisica o pragmatica. Nel significato metafisico, la sharīʿa è la Legge di Allah e, in quanto sua rivelazione diretta, rimane assoluta e incontestabile dagli uomini.
In quello pragmatico, il fiqh, ovvero la scienza giurisprudenziale islamica interpretata secondo la legge sacra, rappresenta lo sforzo concreto esercitato per identificare la Legge di Allah; in tal senso, la letteratura legale prodotta dai giuristi (faqīh; pl. fuqahāʾ) costituisce opera di fiqh, non di sharīʿa.
Alcune delle pratiche classiche della sharia sono state ritenute incompatibili con i diritti umani, con l'uguaglianza di genere e con la libertà di espressione.[5]
Fonti della legge islamica sono generalmente considerate il Corano (190 versi su 6236 totali)[6], la Sunna (ovvero gli aḥadīth del Profeta), il consenso della comunità dei credenti (ijma') e l'analogia giuridica (qiyas). La sharīʿa accetta solo le prime due fonti in quanto divinamente prodotte o ispirate. Mentre esiste un solo Corano, esistono diverse raccolte "ufficiali", antiche e tradizionali, di ʾaḥādīth: è questa una delle ragioni da cui segue l'impossibilità teorica di pervenire univocamente alla (vera) shari'a. I versi della rivelazione nel Corano sono in maggioranza versi dedicati ad Allah e alle sue qualità predicabili, narrazione di profeti precedenti, e di tipo escatologico.
In alcuni Paesi a maggioranza islamica (quali Iran e Arabia Saudita) vi è il recente tentativo di intendere la shari'a non già quale codice di leggi comportamentali o consuetudinarie, bensì quali norme di diritto positivo; peraltro, la stessa shari'a distingue le norme riguardanti il culto e gli obblighi rituali da quelle di natura più giuridica.
Sebbene in alcuni Stati a maggioranza musulmana la sharī‘a venga considerata come una fonte di diritto positivo, nell'Islam delle origini e per molti studiosi attuali (tra i quali Ṭāriq Ramaḍān) essa è più propriamente un codice di comportamento etico che dovrebbe essere privo di potere coercitivo.
L'islam riconosce l'Antico Testamento della Bibbia come testo religioso sacro, secondo per importanza al Corano che chiarisce e completa la Rivelazione di Allah ai profeti. Le fonti normative del Corano prevalgono pertanto su tutta la tradizione biblica precedente.
Per la giusta condotta sulla vita terrena le azioni umane più rilevanti sono suddivise in cinque categorie:[7]
Questi atti hanno disposizioni "materiali o morali" nella comprensione della Sharia. L'abbandono delle azioni "considerate fard, wajib e sunnah" e il compimento di quelle proibite "considerate makruh e haram" sono penalizzate (punizioni hadd o tazir). Per esempio il pestaggio, l'imprigionamento e l'uccisione di coloro che si ostinano a non pregare (Ṣalāt) possono essere considerati in questo contesto.
Nell'ambito della Sharia con il passare del tempo si sono evolute diverse scuole giuridiche (madhahib) con proprie peculiarità sull'interpretazione della stessa:
Nel 1982 i rappresentanti di dieci centri islamici si incontrarono nella moschea Jamie di Birmingham e decisero di fondare a Leyton, a nord-est di Londra, l'Islamic Sharia Council, il primo tribunale islamico in Europa che aveva facoltà di decidere su questioni del diritto di famiglia islamico e su questioni successorie. Poiché il diritto islamico consente ai mariti di ripudiare liberamente le loro mogli, il 90% delle cause è intentato da donne che si rivolgono a un qadi (giudice) per ottenere lo scioglimento del matrimonio (nikah).[8] Le comunità islamiche avevano tentano invano più volte di ottenere dall'autorità statuale il riconoscimento di un proprio ordinamento giuridico e, in presenza di conflitti fra questo e la legge coranica, gli imam avevano dato indicazione di rivolgersi agli arbitrati privati.
Nel 2014 le linee guida proposte dai solicitors, gli avvocati indipendenti che preparano introducono i processi, proponevano il riconoscimento della sharia nei tribunali inglesi a favore dei cittadini britannici di Fede musulmana per questioni relative al diritto di famiglia e patrimoniale. Al 2024, l'Arbitration Act riconosce la giurisdizione di una minoranza dei tribunali islamici che intervengono in casi di dispute economiche, violenza domestica, dispute familiari e liti sull’eredità.[9]
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