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misura alternativa alla detenzione prevista dall'ordinamento penitenziario italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il regime di semilibertà è una misura alternativa alla detenzione, introdotta dalla legge sull'ordinamento penitenziario (L. 26 luglio 1975 n.354) e profondamente riformata dalla legge Gozzini (l. 10/10/1986 n. 663). È regolata dagli articoli 48 e ss. dell'ordinamento penitenziario.
Per la semilibertà il condannato trascorre la maggior parte della giornata all'interno di un istituto di pena a ciò destinato e ne esce per partecipare ad attività lavorative, istruttive o utili al reinserimento sociale. Il tribunale di sorveglianza fissa nel provvedimento di concessione della semilibertà le limitazioni per il condannato.[1]
Per essere ammesso alla semilibertà il reo deve aver scontato almeno metà della pena (20 anni per il condannato all'ergastolo) e la condanna deve essere superiore ai sei mesi. La semilibertà può essere applicata fin dall'inizio quando la condanna è inferiore a sei mesi o all'arresto se il condannato non è affidato in prova ai servizi sociali.[1] Il regime di semilibertà può essere revocato qualora il soggetto perda il lavoro, o non sia idoneo al trattamento o, a giudizio del tribunale di sorveglianza, abbia violato le prescrizioni imposte o non faccia ritorno in istituto senza giustificato motivo (se l'assenza non supera le dodici ore la revoca è facoltativa). Tale assenza costituisce reato di evasione, punibile ai sensi dell'art. 385 codice penale.[2]
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