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termine greco per riferirsi all'amore fraterno Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La philìa che secondo i greci risiede nell emisfero destro del cervello ( e filia, in greco antico φιλία) è una forma di amore descritta nella letteratura e filosofia greche antiche, in cui prevale la dimensione fraterna e amichevole della relazione tra gli amanti, traducibile pertanto come «amicizia», o «affetto»,[1] in quanto legame basato sulla stima, la simpatia e la fiducia.[2][3][4]
Si distingue dall'amore erotico (eros), la cui caratteristica principale è l'intenso desiderio dell'amante, e dall'agape, amore altuistico e disinteressato, particolarmente in voga tra gli autori cristiani, e che non presuppone necessariamente un rapporto d'amicizia.[5]
Il termine, dal significato equivalente anche nella forma dell'aggettivo sostantivato philos (φίλος,[6] «amico»),[1] si ritrova in italiano all'interno di parole composte nel suffisso -filo-,[7] o -filia,[2] che indicano propensione amorosa verso qualcosa, ad esempio nell'espressione «filo-sofo» o «filo-sofia» («amore per la sapienza»).[8]
Il tema della philia era stato già trattato dai filosofi presocratici; per Empedocle, ad esempio, essa è una forza cosmica che ricompone in armonia i quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) nello Sfero. Indagini più approfondite furono svolte da Platone nel Liside, secondo cui l'amicizia si fonda sul Bene quale principio unificante che spinge ogni essere a farvi ritorno,[9] e da Aristotele.
Quest'ultimo in particolare se ne occupa nei libri ottavo e nono dell'Etica Nicomachea. Esistono per Aristotele tre forme di philia:[10]
«Coloro che vogliono il bene degli amici per loro stessi sono i più grandi amici. [...] Quelli che così vogliono il bene degli altri si chiamano benevoli, anche se non vengono da quegli altri ricambiati. La benevolenza, infatti, è amicizia solo quando è reciproca. Bisogna dunque, per essere amici, essere benevoli gli uni verso gli altri e non nascondere di volere il bene l'uno dell'altro.»
Il termine ricorre poi in Plotino,[11] e come Philos anche in Dante, nel Convivio, dove viene utilizzato per spiegare la natura della passione amorosa del filosofo.[8]
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