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inno cristiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Pange lingua è l'inno eucaristico per eccellenza della Chiesa cattolica. L’inno è stato composto da san Tommaso d’Aquino sotto incarico del papa Urbano IV, dopo aver istituito la solennità del Corpus Domini ad Orvieto nel 1264 in occasione del miracolo di Bolsena dell'anno precedente.
Il primo verso del Pange lingua richiama l’incipit dell’inno omonimo di Venanzio Fortunato[1] (Carm. II, 2), composto circa sette secoli prima, che ripercorre l’Ultima Cena: l’inno di Venanzio, con le sue dieci strofe tristiche di tetrametri trocaici catalettici, è strutturalmente tripartito: la sezione iniziale e quella finale sono interamente dedicate alla Croce, il corpo centrale è finalizzato alla celebrazione salvifica del legno della croce, resa possibile dalla Passione e dall’Incarnazione di Cristo.[2] L’inno del domenicano ne riprende ed innalza il contenuto, infatti il suo intento è celebrare il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. L'inno ebbe la fortuna di entrare a far parte in diversi usi liturgici: come preghiera di adorazione eucaristica, canto intonato al termine della Messa in Cena Domini il Giovedì santo e il giorno del Corpus Domini, saranno soprattutto le ultime due strofe, “Tantum ergo”, ad essere accolte nella religiosità popolare e ad essere cantate in occasione della Benedizione eucaristica. Il testo di Tommaso d’Aquino è invece costituito da sei strofe di sei versi ciascuna in rima alternata (ABABAB).
Si propone di seguito una parte del commento di papa Giovanni Paolo II, il quale nella sua omelia del 12 aprile 2001 (Giovedì Santo, Santa Messa In Coena Domini), ripercorrendo l’inno, soffermandosi in particolare sul senso dell'eucaristia, ha offerto una spiegazione dettagliata del suo contenuto:
"In supremae nocte Cenae / recumbens cum fratribus... - La notte dell'ultima Cena, / sedendo a mensa coi suoi..., / con le proprie mani / dà se stesso in cibo ai Dodici". Con queste parole il suggestivo inno del "Pange lingua" presenta l'Ultima Cena, nella quale Gesù ci ha lasciato il mirabile Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. […] È stato l'apostolo Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, a ricordarci quanto Gesù ha fatto "nella notte in cui veniva tradito" […] (1 Cor 11, 26). Il messaggio dell'Apostolo è chiaro: la comunità che celebra la Cena del Signore attualizza la Pasqua. L'Eucaristia non è la semplice memoria di un rito passato, ma la viva ripresentazione del gesto supremo del Salvatore. L'inno di san Tommaso commenta: "Et antiquum documentum / novo cedat ritui - ceda ormai la vecchia Legge / al Sacrificio nuovo". Giustamente, perciò, i testi biblici della Liturgia di questa sera orientano il nostro sguardo verso il nuovo Agnello, che con il sangue liberamente versato sulla Croce ha stabilito una nuova e definitiva Alleanza. Ecco l'Eucaristia, sacramentale presenza della carne immolata e del sangue versato del nuovo Agnello. In essa vengono offerti a tutta l'umanità la salvezza e l'amore. […] L'Eucaristia costituisce il segno perenne dell'amore di Dio, amore che sostiene il nostro cammino verso la piena comunione con il Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito. È un amore che supera il cuore dell'uomo.”
Il testo è organizzato in sei strofe da sei versi, organizzate in tre distici. Il primo verso di ogni distico è un dimetro trocaico acateletto la cui cesura cade dopo i primi due piedi; il secondo verso è un dimetro trocaico catalettico (manca dell'ultima sillaba non accentata) e non presenta forti cesure. La rima è alternata (ABABAB).
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Alla recita integrale del Pange Lingua, o del Tantum Ergo, seguono i tradizionali versetti, collegati all'indulgenza in perpetuo:
«V. Panem de coelo praestitìsti eis.
R. Omnem delectamèntum in se habèntem.
Orazione
Deus, qui nobis sub Sacramèntu miràbili Passiònis tuae memòriam reliquìsti, trìbue quaesumus, ita nos Còrporis et Sànguinis tui sacra mistèria veneràri, ut redemptiònis tuae fructus in nobis iùgiter sentiàmus. Qui vivis et regnas cum Deo Patre, in unitàte Spìritus Sancti Deus per òmnia saecula saeculòrum. Amen.»
«Pio VII con decreto 25 agosto 1818 concesse in perpetuo l'Indulgenza di 300 [trecento] giorni ogni volta che si recita il Pange Lingua, e di 100 [cento] giorni soltanto a chi recita il Tantum Ergo, sempre inteso che vi si aggiunga il suddetto responsorio Panem de coelo, ecc. e la successiva orazione Deus qui nobis.
Chi[unque] praticherà questa devozione almeno 10 volte al mese, ha l'indulgenza plenaria una volta all'anno in un giorno a sua scelta, oltre la Plenaria Indulgenza nel Giovedì santo, nel Corpus Domini, o in un giorno dell'Ottava. Queste indulgenze sono applicabili [alle anime dei] defunti.»
Presentemente, con la riforma delle indulgenze promossa da Paolo VI con la costituzione Indulgentiarum doctrina, è concessa l'indulgenza plenaria per chi reciterà alla reposizione del Sacramento nel Giovedì santo il Tantum Ergo, e quindi anche il Pange Lingua, contenendolo per intero; è ancora concessa indulgenza parziale a chi reciterà davanti al Sacramento qualche preghiera approvata, tra le quali senz'altro rientra la presente[6].
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