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storico e filosofo greco antico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Nicola di Damasco (in greco antico: Νικόλαος Δαμασκηνός?, Nikólāos Damaskēnós; Damasco, 64 a.C. – Roma?, dopo il 14 d.C.) è stato uno storico e filosofo greco antico, vissuto durante l'età di Augusto.
Figlio di Antipatro, Nicola ricevette un'ottima educazione[1], dedicandosi alla filosofia peripatetica ed alla retorica. Secondo Sofronio di Gerusalemme[2], egli divenne il precettore dei figli del triumviro Marco Antonio e di Cleopatra (i gemelli Alessandro Elio e Cleopatra Selene, nati nel 40 a.C., forse anche di Tolomeo Filadelfo, nato nel 36 a.C.) Egli lasciò certamente l'Egitto, allorché questo venne conquistato da Ottaviano nel 30 a.C..
Fu, poi, intimo amico di Erode il Grande, a cui sopravvisse di diversi anni e nel 4 a.C., pur essendosi ritirato dalla politica attiva (in quanto, come egli stesso dichiarava, aveva oltrepassato i sessant'anni[3]), accompagnò a Roma Archelao, figlio dell'amico, a chiedere ad Augusto di essere nominato legittimo re di Giudea.
Il suo lavoro principale fu una Storia universale in 144 libri, dei quali si sono conservati solo pochi frammenti: sono noti riferimenti ai libri 2, 4, 5, 6, 7, (8), 96, 103, 104, 107, 108, 110, 114, 123 e 124[4].
Ampi frammenti dei primi sette libri sono conservati negli Excerpta compilati su ordine di Costantino Porfirogenito[5]: essi, coprendo la storia dei popoli orientali[6], furono usati anche da autori come Giuseppe Flavio, che usò Nicola anche per la sezione delle sue Antichità giudaiche concernente Erode il Grande (libri XIV-XVII)[7], come si nota dal fatto che, quando viene a mancare la fonte di Nicola, nel regno di Archelao, il racconto flaviano diventa improvvisamente più superficiale e frettoloso[8].
Nicola di Damasco è famoso soprattutto per il suo resoconto di un'ambasciata inviata da un re indiano chiamato "Pandion" (Regno di Pandyan?) o, secondo altri, "Poro", ad Augusto attorno al 13. Nicola stesso incontrò l'ambasciata ad Antiochia. L'ambasciata portava con sé una lettera diplomatica scritta in greco, ed uno dei suoi membri era uno sramana che si diede fuoco ad Atene per dimostrare la sua fede. L'evento ebbe molta risonanza al tempo ed è ricordato anche da Strabone[9] e Cassio Dione Cocceiano[10]. Per lo sramana fu eretta una tomba, ancora visibile ai tempi di Plutarco, che riportava la scritta "ΖΑΡΜΑΝΟΧΗΓΑΣ ΙΝΔΟΣ ΑΠΟ ΒΑΡΓΟΣΗΣ" ("Il maestro sramana da Barygaza in India"):
«A questi resoconti può essere aggiunto quello di Nicola di Damasco. Questo autore riporta che ad Antiochia, vicino Dafne, ebbe un incontro con ambasciatori degli Indiani, che erano stati inviati a Cesare Augusto. Appare dalla lettera che parecchie persone vi erano aggregate, ma che solo tre sopravvissero, quelle che lui vide. Gli altri morirono a causa della lunghezza del viaggio. La lettera era scritta in greco su una pelle; importante di essa era che l'autore era Porus, il quale, nonostante fosse sovrano di altri seicento re, stimava enormemente l'amicizia di Cesare; che desiderava permettergli di attraversare il suo paese, in qualunque parte desiderasse, e di assisterlo in ogni sua giusta impresa. I doni erano un Hermes senza braccia scolpito in un osso, che io ho visto, grandi serpenti, di cui uno lungo dieci cubiti, una tartaruga di fiume lunga tre cubiti, e una pernice grande quanto un avvoltoio. Erano accompagnati, dice, da quella persona che si diede fuoco ad Atene. Questa è l'usanza tra gli individui bisognosi, che cercano una fuga dalle calamità, e tra altri in particolari circostanze, come nel caso di quest'uomo. Per tutto quello che gli era successo ritenne che fosse necessario dipartire, prima che qualche altra inattesa calamità lo colpisse se fosse rimasto in vita; con un sorriso, quindi, nudo, consacrato e con una cintura pelvica attorno alla vita, saltò in una pira. Sulla sua tomba c'era questa iscrizione,--ZARMANOCHEGAS, UN INDIANO, NATIVO DI BARGOSA, IMMORTALATOSI EGLI STESSO SECONDO IL COSTUME DEL SUO PAESE, QUI GIACE.»
Ciò indica che religiosi indiani (Sramana, a cui appartenevano i Buddhisti, opposti agli Hindu Brāhmaṇa) circolavano in Occidente ai tempi di Gesù.
Abbiamo, inoltre, frammenti piuttosto ampi di due opere che Nicola scrisse in tarda età: una biografia di Augusto e la propria autobiografia.
Nicola scrisse una Vita di Augusto (Bios Kaisaros)[11], che sembra fosse completata dopo la morte dell'imperatore nel 14 d.C., quando Nicola aveva già ben 78 anni: di essa restano due lunghe porzioni[12], la prima concernente la giovinezza di Ottavio, la seconda l'assassinio di Cesare[8].
Altra opera biografica era la sua autobiografia, la cui data di composizione è incerta, anche se menziona il fatto che Nicola avesse deciso di ritirarsi nel 4 a.C., anche se in seguito, come detto, fu convinto ad accompagnare Archelao a Roma[13].
Nicola coltivò anche la filosofia, ponendosi nella scia dei commentatori di Aristotele, sul quale scrisse un compendio (arrivatoci in una traduzione siriaca [14]; inoltre, coltivò l'attenzione, tipicamente peripatetica, per le scienze naturali, componendo un'opera Sulle piante (giunta in una traduzione araba, in quanto falsamente attribuita ad Aristotele) e una Raccolta di costumi, di tipo etnografico, di cui sono giunti numerosi estratti[15].
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