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Monaco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
San Mosè l'Etiope, o di Scete (330 – Scete, 405), fu monaco in Egitto. Il suo nome, già registrato nei sinassari copti e bizantini, nel 1585 fu inserito anche nel Martirologio romano da Cesare Baronio.
Del monaco Mosè parlano sia Cassiano nelle sue Consolationes[1] sia Palladio di Galazia nell'Historia Lausiaca[2]; la sua fama è attestata anche da Sozomeno[3] e dagli Apophthegmata Patrum.[4].
Secondo Palladio, era uno schiavo nero, di origine etiope e di altissima statura: fu cacciato dal suo padrone a causa di alcuni furti e si mise a capo di una banda di briganti[5]. Per sfuggire alla condanna per i suoi crimini, si ritirò presso Macario il Grande nel monastero di Scete, dove si distinse per la vita ascetica[6].
Mosè fu ordinato prete dal vescovo di Alessandria e si ritirò a vita eremitica nel deserto di Petra, ma fece poi ritorno a Scete dove morì settantacinquenne lasciando settantotto discepoli[6].
Il Sinassario alessandrino del vescovo copto Michele di Aṯrīb e Malīğ lo commemora al 18 giugno e riporta la notizia del suo martirio insieme a sette dei suoi confratelli a opera dei barbari (notizia ripresa dagli Apophthegmata Patrum); i sinassari bizantini commemorano Mosè al 24 agosto e, basandosi sulle notizie di Palladio, non fanno allusione al suo martirio.[6]
Il suo culto è ignoto all'Occidente medievale e il suo nome fu inserito nel Martirologio romano da Cesare Baronio, sempre al 28 agosto.[7]
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