Everest
la montagna più alta della Terra Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il monte Everest è la vetta più alta della Terra con la sua altitudine di 8848,86 m s.l.m.[1]. Assieme ad altri "ottomila" è situato nella catena dell'Himalaya, al confine fra Cina e Nepal, e rientra nelle cosiddette Sette vette del pianeta.
Everest | |
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Il monte Everest, parete sud-ovest nepalese | |
Stati | Nepal Cina |
Altezza | 8 848,86 m s.l.m. |
Prominenza | 8 848,86 m |
Isolamento | 40 008 km |
Catena | Himalaya |
Coordinate | 27°59′17″N 86°55′30″E |
Altri nomi e significati | Chomolungma (tibetano, "madre dell'universo") 珠穆朗瑪峰 Zhūmùlǎngmǎ Fēng (cinese) सगरमाथा Sagaramāthā (nepalese, "Dio del cielo") |
Data prima ascensione | 29 maggio 1953 |
Autore/i prima ascensione | Edmund Hillary e Tenzing Norgay |
Mappa di localizzazione | |
L'Everest attrae molti scalatori da tutto il mondo, inclusi alpinisti di grande esperienza. Alla cima si ascende per due principali vie di arrampicata: una che si avvicina alla vetta da sud-est in Nepal (conosciuta come "via standard") e l'altra da nord in Tibet.
Pur non ponendo sostanziali sfide tecniche di arrampicata sulla via standard, l'Everest presenta pericoli come il mal di montagna, condizioni meteorologiche estreme e vento, nonché insidie come valanghe e le cascate Khumbu.[2] Molti corpi degli alpinisti che muoiono durante la salita rimangono sulla montagna.[3]
Il monte è chiamato Chomolungma ("madre dell'universo") in tibetano e Zhumulangma (珠穆朗瑪峰 pinyin: Zhūmùlǎngmǎ Fēng) in cinese. Il nome nepalese è Sagaramāthā (सगरमाथा, in sanscrito "dio del cielo"), ideato dallo storico nepalese Baburam Acharya e adottato ufficialmente dal governo del Nepal all'inizio negli anni sessanta.
Nel 1852 venne chiamato "Cima XV".
Il nome comunemente usato oggi fu introdotto nel 1865 dall'inglese Andrew Waugh, topografo generale dell'India, in onore del suo predecessore sir George Everest, che al servizio della corona britannica lavorò per molti anni come supervisore dei geografi britannici in India.
L'Everest ha la forma di una piramide, con tre pareti (nord, est e sud-ovest) e tre creste (nord-est, sud-est e ovest). La linea di confine tra Cina e Nepal passa lungo le creste ovest e sud-est, quindi solo la parete sud-ovest è nepalese.[4][5]
L'11 giugno 2013, in collaborazione con Huawei, China Mobile ha completato l'installazione di connessione veloce a tecnologia LTE a un'altitudine di 5200 metri.[6]
La storia della misurazione della quota altimetrica dell'Everest (e di altre grandi montagne dell'Himalaya e del Karakorum) parte nel 1816 da un articolo di Alexander von Humboldt su "Annales de Chemie et de Physique", che per primo si interessa dell'altezza delle montagne himalayane.
Nel frattempo si era già avviata la ciclopica campagna di misurazioni e livellazioni topografiche che sarebbe durata oltre 60 anni (dal 1802 al 1866), nota con il nome di GTS (Great Trigonometrical Survey), effettuata dagli inglesi del Survey of India, che rilevarono (per finalità non solo conoscitive ma anche di controllo dei territori occupati) tutta la penisola indiana fino alle lontane montagne. Nel 1852 un operatore indiano del Survey, Radhanath Sikdar, nel verificare i complessi calcoli sulle osservazioni strumentali eseguite dall’osservatorio nei pressi di Kathmandu, individuò per la prima volta tra le lontane vette dell'Himalaya una cima, che fu denominata Peak XV, come la più elevata e con incredibile precisione per la grande distanza le attribuì la quota di 29.002 ft (8.840 m). La misura fu ufficializzata nel 1856, e nel 1865 il Peak XV fu intitolato a G. Everest, British Surveyor General del GTS dal 1830 al 1843.
Le misurazioni di quota vengono effettuate riferendosi al livello del mare, una superficie "dinamica" che cambia giornalmente (le maree) e da stagione a stagione e che aumenta lentamente di anno in anno. Si tratta dunque di una superficie di per sé poco adatta per fare da riferimento, ma è tuttora il punto di paragone più semplice per una misura di quota. Nel caso di una montagna va inoltre considerata la distanza dal mare (nel caso dell'Everest l'oceano Indiano è a 700 km a sud, ma il mareografo di riferimento di Karachi in Pakistan sull'oceano Indiano è a oltre 2.000 km a ovest e quello di Qingdao adottato generalmente dai cinesi sul Mar Giallo è a oltre 3.200 km a est).
Nelle misurazioni storiche della quota dell'Everest fino al 1992 erano generalmente impiegati strumenti ottici (teodolite, livello) che, partendo dal livello del mare sulla costa (o meglio da capisaldi fissi realizzati in occasione delle varie campagne di misurazioni), considerata la curvatura della Terra e (non sempre) i possibili fenomeni di rifrazione della luce nell'attraversare gli strati d'aria, con la misurazione di distanze e angoli permettevano il calcolo delle quote. Queste misurazioni differivano tra loro, oltre che per la precisione degli strumenti impiegati, anche a seconda del mareografo di riferimento e della considerazione o meni dei fenomeni di rifrazione. Ai rilievi del Survey of India seguirono le misurazioni del 1904 di S. G. Burrard, sempre del Survey of India (con 8.882 m), di De Graaf Hunter nel 1930 (8.854 ± 5 m), di B.L. Gulatee nel 1952 (29.028 ± 10 ft, 8.848 m). Un'importante spedizione cinese nel 1975 confermò un'altezza di 8.848 m (29.029 ± 1 ft, 8.848,13 ± 0,35 m) e per la prima volta fu effettuata una misurazione speditiva dello spessore della neve in cima (92 cm).
Nel 1987 lo studioso italiano Ardito Desio rimase incuriosito dalla notizia apparsa l'anno prima, secondo cui lo statunitense George Wallenstein aveva rimisurato l'elevazione del K2 con la nuova tecnologia satellitare, che stava sviluppandosi in quegli anni, e le elaborazioni dell'Università di Washington presumevano una quota compresa tra 29.064 ft (8.859 m) e 29.228 ft (8.909 m), superiore a quella dell'Everest. Organizzò una spedizione per verificare l'altezza di entrambe le montagne, una nel Karakorum, l'altra in Himalaya. Utilizzando la tecnologia satellitare per le quote dei campi base e la tecnologia ottico-elettronica tradizionale per i rilevamenti delle cime, confermò il primato dell'Everest. Restava però la necessità di verificare con tecniche moderne le quote effettive delle due vette.
Il livello del mare resta la superficie di riferimento per le misurazioni della quota altimetrica. Tuttavia, osservazioni aeree e terrestri dimostrano che la superficie del mare e la sua estensione teorica sotto le terre emerse vengono influenzate dalla vicinanza di grandi masse rocciose e di diversa densità delle rocce stesse. Viene adottato quindi il geoide, una superficie matematica di riferimento, “perpendicolare in ogni punto alla direzione della verticale, cioè alla direzione della forza di gravità” che, oltre a essere più costante nel tempo, tiene conto dell'influenza delle masse delle montagne e della distribuzione delle rocce nella crosta terrestre. La superficie del geoide va tuttavia "costruita" in base ai valori e anomalie di gravità e presenta tuttora un dettaglio talvolta insufficiente, soprattutto in certe aree montuose. Perciò il geoide cambia nel tempo e necessita di nuove misurazioni e di aggiornamenti annuali, a causa dei movimenti continui delle masse rocciose della crosta terrestre e della redistribuzione di rocce, ghiacci e acque sulla superficie.
Negli anni settanta dagli americani vengono messi in orbita i primi satelliti per scopi militari. Negli anni ottanta si hanno i primi esperimenti di posizionamento geografico per usi civili, che portano gradualmente all'attuale sistema GPS, che utilizza una rete dedicata di satelliti per il posizionamento geografico di un punto della superficie terrestre. Il GPS usa un suo modello matematico dell'andamento del livello del mare sotto le terre emerse che approssima in modo semplificato il geoide e che si chiama ellissoide di riferimento. Questa superficie teorica, utilizzata per definire la latitudine, longitudine ed elevazione sull'ellissoide di un qualsiasi punto, non considera tuttavia le variazioni locali di densità della crosta terrestre, per cui tra il geoide e l'ellissoide in un dato punto esisterà uno scostamento, definito valore N di "separazione".
Nel 1992 l'alpinista francese Benoît Chamoux, della spedizione scientifica italo-cinese Ev-K2-CNR/NNSM di Agostino Da Polenza, allievo di Ardito Desio, misura per la prima volta l'altezza dell'Everest anche con il GPS e tenta la verifica dello spessore della neve con una sondina da valanga.[7] Con un valore N di separazione geoide-ellissoide pari a −25,14 m, la quota della cima nevosa elaborata dal professor Giorgio Poretti risulta essere di 8.848,65 ± 0,35 m. Lo spessore della neve è incerto per la possibile presenza di ghiaccio, ma vengono comunque attraversati oltre 2 metri di neve. Una nuova misurazione con GPS viene eseguita nel maggio 1999 da un gruppo di nove alpinisti della American Everest Expedition del National Geographic organizzata da Bradford Washburn, noto esploratore e cartografo, fondatore del Boston Museum of Science. Le elaborazioni forniscono un valore di 29.035,2 ft (8.850 m). Falliscono i tentativi fatti nel 1998 e 1999 di far arrivare in cima un nuovo strumento, georadar, in grado di individuare la cima rocciosa sepolta dalla neve.
Nel 2004, in occasione delle spedizioni scientifico-alpinistiche italiane all'Everest e al K2 per celebrare il cinquantenario della prima salita del K2 (capospedizione nuovamente Agostino Da Polenza), viene effettuata tra l'altro una complessa rimisurazione della quota di vetta dell'Everest con GPS, accoppiato per la prima volta con un georadar sperimentale (un prototipo messo a punto dalla IDS di Pisa in collaborazione con l’Università di Trieste) che permette di rilevare sia la quota della copertura nevosa (con il GPS), sia la presenza della roccia sottostante. La mattina del 24 maggio gli alpinisti Claudio Bastrentaz, Alex Busca e Karl Unterkircher (tutti senza impiego dell'ossigeno), nonché Mario Merelli, collaborando con i sherpa Serap Jangbu e Lhapka Tshering, raggiungono la cima dal versante nord[8] e con la supervisione via radio dal campo base del prof. Giorgio Poretti e del geologo Roberto Mandler effettuano senza ossigeno e per oltre 2 ore un impegnativo rilievo con profili georadar sulla cresta, rilievo che comprende il contributo di un secondo GPS "master" fisso posizionato nei pressi della cima, un terzo strumento posizionato in precedenza al caposaldo cinese presso il campo base in Tibet e un collegamento alla stazione GPS permanente presso il laboratorio "Piramide Ev-K2-CNR" sul versante Nepal. Le elaborazioni successive, effettuate da G. Poretti, R. Mandler e M. Lipizer, che considerano un valore N di separazione geoide-ellissoide aggiornato di −28,74 m, forniscono per la roccia sepolta una quota di 8.848,82 ± 0,23 m e uno spessore massimo della neve di 3,70 m, con una quota di 8.852,12 ± 0,12 m per la cresta nevosa sommitale.[9]
Nel 2005 i cinesi effettuano un'ulteriore campagna di rilevamento con GPS, fissando l'altezza della montagna a 8.844,43 s.l.m., con un margine d'errore calcolato di ± 0.21 m. Questa misurazione, riferita alla massima elevazione della roccia sepolta dalla neve, viene effettuata con la stessa strumentazione GPS/georadar utilizzata dalla spedizione italiana dell'anno precedente, ma applicando un nuovo valore N di separazione geoide-ellissoide di –25,199 m. Misura quindi lo spessore della neve e ricava la quota della massima elevazione in roccia per differenza. La copertura nevosa risulta di circa 3,5 m, portando la quota della vetta nevosa nuovamente a circa 8.848. (Cap. “Altezza” a cura di Roberto Mandler e Giorgio Poretti, 2004-2022, UniTs)
«Perché vuole scalare l'Everest? - Perché è lì»
I primi tentativi di raggiungere la vetta dell'Everest risalgono al 1921, quando furono organizzate alcune spedizioni britanniche. Durante la spedizione del 1924, George Mallory e Andrew Irvine scomparvero provando a conquistare la vetta dalla cresta nord e nord-est. Mallory morì durante la discesa. Il suo cadavere fu ritrovato 75 anni dopo: il 1º maggio 1999 il gruppo di ricerca dello statunitense Eric Simonson lo identificò su uno spuntone a 8 290 m di quota sulla parete nord, poco sotto il punto dove nel 1933 era stata rinvenuta una piccozza che si presume appartenesse ad Andrew Irvine.[11]
Non è appurato se i due siano caduti dopo aver raggiunto la cima o, più probabilmente, dopo aver rinunciato al tentativo. Altri indizi potrebbero derivare dalla macchina fotografica presumibilmente in possesso di Irvine, il cui corpo però è ancora disperso. Ad alimentare ulteriori dubbi furono le dichiarazioni di Mallory: disse che nel caso fosse riuscito a raggiungere la cima, vi avrebbe lasciato una foto della moglie, foto non trovata sul suo cadavere.
La prima ascensione filmata fu fatta nel 1952, un anno prima di Edmund Hillary, dalla spedizione svizzera diretta dal medico ginevrino Edouard Wyss-Dunant con René Dittert come capo guida, che inaugurò la via all'Everest dal Nepal. I membri erano quasi tutti del Club Alpin l'Androsace e del cantone di Ginevra che, assieme all'Università di Ginevra, finanziarono in gran parte la spedizione. Lo svizzero Raymond Lambert e Tenzing Norgay ingaggiati come capi dei portatori (circa 150 che portarono 30 kg ciascuno a piedi per circa un mese) arrivarono alla quota di 8.595 metri, a soli 200 metri dalla vetta, massima altezza mai raggiunta fino ad allora da una persona. Ai 7.000 rimasero circa una settimana ed il loro fisico si deteriorò. In un solo giorno salirono a 8.000, ma la stanchezza, i pochi viveri e la scarsa qualità dei respiratori impedirono ai due di raggiungere la vetta. Tenzing disse che, se anche fossero riusciti a salire in cima, non sarebbero tornati vivi. Nel 2002 il figlio e nipote di Raymond Lambert e Tenzing Norgay, in occasione del cinquantenario della spedizione "ginevrina", raggiunsero gli 8.848 metri.
Il 26 maggio 1953 i britannici Charles Evans e Tom Bourdillon riuscirono a raggiungere la Cima sud (8749 m).
La prima ascensione certa fu compiuta il 23 maggio 1953 dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norgay, che scalarono il monte dal Colle Sud e dalla cresta sud-est.[12] La spedizione fu organizzata nei minimi dettagli dal Joint Himalayan Committee, con sede a Londra, e aveva anche motivazioni politiche: il Regno Unito desiderava fregiarsi dell'onore di aver raggiunto per primo il tetto del mondo. Il comando fu affidato al colonnello John Hunt. La scelta del versante sud fu obbligata poiché il versante nord era chiuso per questioni politiche da anni. Gli alpinisti fissarono il campo per l'assalto finale a circa 7.000 metri di altitudine. Per decisione di Hunt, i tentativi di raggiungere la cima sarebbero stati effettuati da due alpinisti alla volta. Il primo, compiuto il 26 maggio, fallì. Riuscì l'assalto tentato tre giorni più tardi: verso le undici e mezzo Hillary e Norgay raggiunsero il tetto del mondo, un traguardo che fino a pochi decenni prima appariva impossibile. Stando alle dichiarazioni successive di Tenzing, divenuto celebre in patria e nel mondo, il neozelandese arrivò qualche secondo prima perché in quel momento stava battendo la traccia. Giunti sulla cima, in segno di gratitudine Hillary pose nella neve una croce, mentre Tenzing dei biscotti e cioccolato per ringraziare gli dei. Rimasero sulla vetta un quarto d'ora[13]. Hillary morì a 88 anni l'11 gennaio 2008, Tenzing mancò nel 1986, a 72 anni di età.
La prima ascensione femminile fu compiuta il 16 maggio 1975 dalla giapponese Junko Tabei, la seconda dalla tibetana Phantog, la terza e prima europea dalla polacca Wanda Rutkiewicz nel 1978.[14]
La prima ascensione invernale fu compiuta il 17 febbraio 1980 dai polacchi Krzysztof Wielicki e Leszek Cichy per il Colle Sud e la cresta sud-est. La spedizione era guidata da Andrzej Zawada e l'Everest divenne il primo ottomila ad essere scalato d'inverno.
I polacchi avevano ottenuto l'autorizzazione per una doppia spedizione: una nella stagione invernale e una in quella primaverile. Per questo costruirono un grande e comodo campo base capace di ospitarle entrambe, completato a fine dicembre 1979. La spedizione era composta di 25 alpinisti, di cui solo cinque portatori sherpa d'alta quota, per motivi di budget ridotto, e il materiale (5 tonnellate arrivate dalla Polonia con un aereo) fu portato da un campo all'altro in gran parte dagli alpinisti stessi.
All'inizio procedettero molto spediti. In soli undici giorni allestirono tre campi: il 5 gennaio il campo 1 a 6 050 m, il 9 gennaio il campo 2 a 6 500 m e il 15 gennaio il campo 3 a 7 150 m, sulla parete del Lhotse. A questo punto si trovarono di fronte a 850 m di parete particolarmente ghiacciata che li separava dal Colle Sud e il meteo peggiorò con la presenza di forti venti. Ci volle quasi un mese per superare questa zona, e solo l'11 febbraio Fiut, Holnicki e Wielicki riuscirono a raggiungere il Colle Sud. Qui i soli Fiut e Wielicki bivaccarono per una notte con una temperatura esterna di −40 °C, utilizzando bombole di ossigeno. Il giorno dopo rientrarono ai campi inferiori, e diedero loro il cambio il capo spedizione Zawada e Szafirski, che montarono la tenda del campo 4 al Colle Sud, prepararono materiale e bombole d'ossigeno per i successivi tentativi e rientrarono anch'essi ai campi più bassi.
Il 16 febbraio, a un solo giorno dallo scadere dei permessi per la spedizione invernale, Wielicki e Cichy partirono per un ultimo tentativo. La sera raggiunsero il campo 4 al Colle Sud e passarono la notte in tenda con una temperatura esterna di −42 °C. Il 17 febbraio partirono alle 6:30 con una bombola di ossigeno a testa e raggiunsero la vetta alle 14:25. Scesero al campo base il 19 febbraio.[15][16]
L'8 maggio 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler compirono la prima salita senza l'ausilio di ossigeno supplementare. Facevano parte di una spedizione austriaca guidata da Wolfgang Nairz. Si trattava della quattordicesima salita dell'Everest. Sei alpinisti raggiunsero la cima, tra cui Reinhard Karl, il primo tedesco in vetta all'Everest.[17]
Tra il 18 e il 20 agosto 1980 Messner compì la prima solitaria, per il versante nord, sempre senza ossigeno. Durante la salita aprì inoltre una variante che collega la cresta nord al couloir Norton.[18]
Il 27 maggio 1998 Tom Whittaker fu il primo alpinista disabile,[19] mentre Il 25 maggio 2001 il trentaduenne Erik Weihenmayer di Boulder il primo non vedente a raggiungere la cima.[20]
L'8 maggio 2008 una spedizione di alpinisti cinesi riuscì nell'impresa di portare la fiaccola olimpica di Pechino 2008 sulla vetta dell'Everest dopo alcuni tentativi falliti a causa delle avverse condizioni meteorologiche.[21][22]
La prima traversata dell'Everest fu compiuta nel 1963 dagli statunitensi Tom Hornbein e Willi Unsoeld che salirono dalla cresta ovest, ancora inviolata, e discesero per la cresta sud-est e il Colle Sud. Durante la salita percorsero parte della parete nord, lungo il couloir Hornbein, da allora dedicato a Tom.[23] Nel 2006 Simone Moro compì la prima solitaria della traversata sud-nord dell'Everest, salendo dal Nepal e scendendo poi in Tibet.[24] Il concatenamento dell'Everest più ambito è quello con il Lhotse, dal quale è separato dal Colle Sud. Fu realizzato dallo statunitense Michael Horst in 21 ore il 14 e 15 maggio 2011. Tuttavia l'alpinista fece uso di bombole di ossigeno durante la pausa del 14 pomeriggio al Colle Sud e usufruì di corde fisse sul Lhotse, preparate dagli sherpa mentre saliva l'Everest.[25]
Il concatenamento Everest-Lhotse fu tentato più volte, tra gli altri, da Simone Moro. Nel 1997 ci provò con Anatolij Bukreev, nel 2000 e 2001 fu insieme a Denis Urubko. Nel 2000 dovette abbandonare per la troppa neve presente lungo la salita verso il Lhotse[26] e nel 2001 in seguito alle troppe fatiche spese per salvare un alpinista nella notte, fatto per il quale fu decorato con la medaglia d'oro al valor civile.[27] Nel 2012 abbandonò l'impresa per l'affollamento lungo la via che conduce al Colle Sud.[28]
Tra il 18 e il 20 maggio 2013 il britannico Kenton Cool riuscì nel primo concatenamento di Nuptse, Everest e Lhotse senza passare dal campo base. Partito la mattina del 18 maggio, salì prima il Nuptse e quindi l'Everest e il Lhotse, dopo due soste al Colle Sud. Utilizzò ossigeno supplementare e corde fisse su tutte e tre le montagne. Sull'Everest e sul Lhotse era accompagnato dallo sherpa Dorje Gylgen.[29][30]
Al 2010 risultano 5105 le persone che sono riuscite a raggiungere con successo la vetta dell'Everest[31] e 219 quelle che vi hanno perso la vita.[32]
La prima persona ad avere scalato due volte la cima è stato lo sherpa Nawang Gombu: il 1º maggio 1963, insieme a Jim Whittaker, primo statunitense in vetta, e il 10 maggio 1965, con una spedizione indiana.[33] Il record di salite è detenuto a pari merito dagli alpinisti e portatori sherpa nepalesi Apa Sherpa e Phurba Tashi con ventuno ascensioni, rispettivamente nel 2011[34] e 2013.[35]
L'alpinista più giovane ad aver raggiunto la vetta è Jordan Romero, all'età di 13 anni, il 22 maggio 2010 insieme al padre Paul, la compagna del padre Karen Lundgren e tre portatori: Ang Pasang Sherpa, Lama Dawa Sherpa e Lama Karma Sherpa. Sono saliti per la cresta nord-est, sul versante cinese, in stile himalayano e con utilizzo di bombole di ossigeno.[36][37] Prima di Romero il record era detenuto dallo sherpa Temba Tsheri (il 24 maggio 2001 a 15 anni) e dal britannico Edward Michael Grylls, meglio noto come Bear Grylls (nel 1998 a 23 anni). La più giovane alpinista donna a raggiungere la vetta è la sherpa nepalese Ming Kipa, il 24 maggio 2003 a 15 anni.[38] La più giovane non nepalese è la statunitense Samantha Larson, che ha salito l'Everest il 16 maggio 2007 a 18 anni.[39]
L'alpinista più anziano ad aver raggiunto la vetta è il giapponese Yūichirō Miura, il 23 maggio 2013, all'età di 80 anni.[40][41] Prima il record era detenuto dal nepalese Min Bahadur Sherchan (il 25 maggio 2008 a 76 anni).[42]
Il record di velocità di salita con ossigeno è stato stabilito il 21 maggio 2004 da Pemba Dorjie Sherpa in 8 ore e 10 minuti. I record precedenti, sempre con utilizzo di ossigeno, erano di Lhakpa Gelu Sherpa (il 25 maggio 2003 in 10 ore e 56 minuti) e dello stesso Pemba Dorjie (il 22 maggio 2003 in 12 ore e 45 minuti).[43] Il record di permanenza in vetta è di 21 ore, stabilito nel 1999 da Babu Chiri Sherpa.[44] Nel 1990 l'australiano Tim Macartney-Snape, già autore di una nuova via sulla parete nord dell'Everest nel 1984, ha salito l'Everest partendo a piedi dal livello del mare, in tre mesi.[45]
Nel 1996 lo svedese Göran Kropp è divenuto la prima persona a raggiungere l'Everest dopo un avvicinamento in bicicletta partendo da casa sua in Svezia sino al campo base, scalarlo a piedi senza ossigeno e tornare con la bicicletta lasciata precedentemente al campo base.[46]
La prima ascensione italiana fu compiuta nel 1973. La spedizione fu voluta e guidata dall'esploratore, alpinista e mecenate Guido Monzino, che commentò:[47]
«l'intento è quello di portare il tricolore sulla più alta montagna del mondo, per concorrere sul piano internazionale ad un'affermazione di prestigio per la Patria.»
Si trattava di una spedizione imponente: era composta da 55 militari e 8 civili, utilizzava 110 tonnellate di materiale, trasferito con tre C-130, e durò tre mesi. Furono impiegati sei campi, di cui l'ultimo a 8 400 m. Il 5 maggio raggiunsero la vetta il sergente degli Alpini Mirko Minuzzo e la guida alpina Rinaldo Carrel, con due portatori sherpa, Lhakpa Tenzing e Sambu Tamang. Il 7 maggio la cima fu raggiunta da altri tre italiani: Fabrizio Innamorati, capitano del battaglione Carabinieri Paracadutisti, Claudio Benedetti, sergente maggiore degli Alpini, e Virginio Epis, maresciallo degli Alpini, con il portatore Sonam Gyaltzen.[48][49]
Nella spedizione furono utilizzati anche tre elicotteri per portare gli alpinisti al campo base, recuperarli in caso di difficoltà e trasportare il materiale lungo la seraccata del ghiacciaio Khumbu, dal campo base al campo 2, a 6 500 m, fatto che suscitò diverse polemiche. Erano elicotteri modello Agusta-Bell AB-205A-1, nominati Italia 1, Italia 2 e Italia 3. L'atterraggio del 1º aprile 1973 a 6 500 m di Italia 1, pilotato dal capitano Paolo Landucci di Viterbo e Nicola Paludi, sergente maggiore del Centro addestramento alpino di Aosta, costituì un record mondiale. Lo stesso elicottero Italia 1 si schiantò il 18 aprile poco sotto il campo 2, per difficili condizioni meteorologiche, ma l'equipaggio rimase solo lievemente ferito. I resti dell'elicottero sono rimasti in loco per 36 anni fino al 2009, quando sono stati rimossi dalla spedizione Eco Everest Expedition.[50][51][52]
Nel 1991, all'età di 28 anni, Battistino Bonali è divenuto il più giovane alpinista italiano ad aver scalato l'Everest in puro stile alpino per il versante Nord.[53][54]
La prima donna italiana a salire l'Everest è stata la campionessa di sci di fondo Manuela Di Centa (il 23 maggio 2003).[55]
L'atleta Andrea Lanfri, il 13 maggio 2022 è diventato il primo atleta paralimpico pluriamputato a raggiungere la vetta in autonomia.[56] Validato anche dal Guinness World Record.[57]
Essendo la montagna più alta del mondo, l'Everest è una cima di grande richiamo e fascino per gli alpinisti. Ma a causa delle difficoltà oggettive della scalata e poiché la parte superiore degli itinerari di ascensione si svolge nella zona della morte, quasi 300 persone sono morte cercando di raggiungere la vetta.
Nel 1996 numerose spedizioni commerciali tentarono la salita contemporaneamente. Ciò provocò un intasamento e quindi lunghe attese al freddo e l'esaurimento delle scorte di ossigeno nella zona della morte, comportando il decesso di 8 persone. In quel momento fu l'evento con il più alto numero di morti in un unico giorno sulle pendici dell'Everest.
Durante le spedizioni commerciali di maggio 2019 in pochi giorni hanno tentato di salire in vetta centinaia di persone, delle quali 10 sono morte per essersi attardate in coda per lunghe ore, aspettando al freddo nella zona della morte senza ossigeno.[58]
L'Everest ha due percorsi principali di ascesa: per il Colle Sud e la cresta sud-est, considerata la via normale, alla quale si accede dal Nepal[59], e la via per il Colle Nord e la cresta nord-est, alla quale si accede dal Tibet. Il percorso da sud è tecnicamente più semplice e più utilizzato. Fu seguito da Hillary e Norgay, i primi scalatori dell'Everest, il 28 maggio 1953; ai tempi la scelta fu obbligata in quanto la frontiera tibetana era chiusa dal 1949.
Le ascese si effettuano in primavera, prima dell'inizio del monsone estivo, quando si verifica anche una modifica della corrente a getto che comporta una riduzione della velocità media del vento in alta montagna. A volte vengono fatti tentativi di scalata nel periodo successivo al monsone estivo, ma la presenza di neve diventa un ostacolo notevole. A partire dagli anni ottanta la cima dell'Everest è diventata meta frequente di spedizioni commerciali. Il numero di alpinisti che la conquistano è aumentato sensibilmente. Lo svantaggio di questa massificazione è l'inquinamento ambientale dei campi base e l'aumento proporzionale del numero di incidenti, spesso mortali.
Le spedizioni che pianificano un'ascesa dal Colle Sud, per la cresta sud-est, solitamente atterrano a Lukla (2860 m) provenienti da Kathmandu e poi marciano fino al campo base che si trova in Nepal sul versante sud dell'Everest a quota 5380 m. Il tempo di marcia varia dai sei agli otto giorni, necessari per acclimatarsi in modo da evitare il mal di montagna. Trascorsi un paio di settimane al campo base per abituarsi all'altitudine e superato il tratto di seracchi denominato Khumbu Icefalls, raggiungono il campo I, detto anche advanced base camp (ABC), a quota 6065 m e da esso salgono sulla Western Cwm (una valle glaciale delimitata dai versanti di Everest, Lhotse e Nuptse), relativamente piana, con una pendenza molto dolce sino al campo II da cui gli alpinisti salgono la parete del Lhotse fino al campo IV situato sul Colle Sud.
Dal campo IV la prima tappa è il "balcone" a quota 8400 m, un piccolo pianoro. I passaggi successivi sono una pericolosa cornice con uno stretto passaggio molto esposto e un salto di roccia alto una decina di metri chiamato Hillary Step a quota 8760 m. Fu infatti Hillary ad aprire la via in questo tratto durante la prima ascesa all'Everest. Superato il gradino, è relativamente semplice giungere in cima. La discesa al campo IV deve essere immediata per evitare di incorrere nel maltempo tipico delle ore pomeridiane, perciò la maggior parte degli alpinisti resta sulla vetta solo pochi minuti.
Nel 2016 l'Hillary Step è crollato, probabilmente come conseguenza del terremoto nepalese del 25 aprile 2015. I massi che costituivano l'impegnativo tratto non ci sono più, sostituiti da un agevole pendio camminabile[60].
La prima salita completa della via dal Colle Nord e dalla cresta nord-est fu compiuta da una spedizione cinese nel 1960. Il 25 maggio giunsero in vetta Wang Fu-Chou, Chu Yin-hua e Gongbu (Tibet).[61][62][63]
Le ascese per questa via prevedono l'accesso all'Everest passando dal Tibet (Cina). Le spedizioni raggiungono il ghiacciaio Rongbuck e stabiliscono il campo base a quota 5 150 m su una piana di ghiaia ai piedi del ghiacciaio. Per affrontare la via normale da nord, risalgono dapprima la morena a est del ghiacciaio e poi deviano nella valle fino ai piedi del Changtse a quota 5 800 m (campo II, noto oggi come Intermediate Camp, IC). Il campo III (oggi Advanced Base Camp, ABC) è più sopra, sotto il Colle Nord a 6 500 m. Per raggiungere il campo IV (oggi Camp 1), è necessario risalire tramite corde fisse il ghiacciaio fino al Colle Nord a 7 050 m. Dal Colle Nord un pendio nevoso conduce alla parete rocciosa che si risale fino al campo V (oggi Camp 2) a 7 775 m. Poi si attraversa una serie di ripidi pendii prima di raggiungere il campo VI (oggi Camp 3) a 8 230-8 350 m, ormai quasi in cresta. Da qui si percorrono i 2 km della lunga cresta nord-est, interrotta da alcuni impegnativi gradoni rocciosi (steps), superati i quali (anche con l'aiuto di una famosa scaletta metallica) un'ultima ripida salita porta alla cima.
La via del versante cinese è più tecnica di quella nepalese, oltre a essere più esposta ai venti e a costringere gli alpinisti a stabilire più campi nella zona della morte, ovvero sopra i 7 800–8 000 m. Il campo base è servito da una strada che lo collega alla città di Tingri. La strada fu costruita dalla Cina negli anni 1950 ed è tuttora sterrata.[64] Recentemente presso il famoso monastero di Rongbuck è stato realizzato un lodge, in architettura moderna. Nell 1995 fu compiuta la prima salita della cresta nord-est integrale da parte di una spedizione giapponese. L'11 maggio giunsero in vetta Kiyoshi Furuno, Shigeki Imoto e gli sherpa Dawa Tshering, Pasang Kami, Lhakpa Nuru e Nima Dorje.[65]
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