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langravia titolare d'Assia-Kassel (1902-1944) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Mafalda di Savoia (nata Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana; Roma, 19 novembre 1902 – Buchenwald, 28 agosto 1944) fu una principessa italiana appartenente a Casa Savoia che divenne langravia consorte titolare d'Assia-Kassel dal 1940 al 1944, come moglie di Filippo.
Mafalda di Savoia | |
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La principessa Mafalda di Savoia in una fotografia d'epoca | |
Langravia consorte titolare d'Assia-Kassel | |
In carica | 28 maggio 1940 – 28 agosto 1944 (4 anni e 92 giorni) |
Predecessore | Margherita di Prussia |
Successore | Titolo confluito nella Casa d'Assia |
Nome completo | italiano: Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana |
Trattamento | Sua Altezza Imperiale e Reale |
Altri titoli | Principessa di Savoia Principessa d'Etiopia Principessa d'Albania |
Nascita | Roma, 19 novembre 1902 |
Morte | Buchenwald, 28 agosto 1944 |
Luogo di sepoltura | Castello di Kronberg im Taunus |
Dinastia | Savoia per nascita Assia-Kassel per matrimonio |
Padre | Vittorio Emanuele III di Savoia |
Madre | Elena del Montenegro |
Consorte di | Filippo d'Assia |
Figli | Maurizio Enrico Ottone Elisabetta |
Religione | Cattolicesimo |
Figlia secondogenita di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro, Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana, soprannominata Muti, era di indole docile e obbediente[senza fonte]. Ereditò dalla madre Elena il senso della famiglia, i valori umani, la passione per la musica e per l'arte. Trascorse la sua infanzia nell'ambiente familiare accanto alla madre e alle sorelle Giovanna, Iolanda e Maria Francesca; le vacanze si svolgevano a Sant'Anna di Valdieri, a Racconigi e a San Rossore con la partecipazione di tutta la famiglia. Durante la prima guerra mondiale, con le sorelle seguì la madre nelle sue frequenti visite ai soldati e agli ospedali, venendo così coinvolta nelle attività materne di conforto e cura alle truppe.
Dopo un'ostilità iniziale, dovuta anche alla diversità di religione (Mafalda era cattolica e il principe Filippo era luterano), il re Vittorio Emanuele diede il suo assenso alle nozze.[1] Si sposò a Racconigi, il 23 settembre 1925, con il principe tedesco Filippo, langravio d'Assia-Kassel, figlio del langravio Federico Carlo d'Assia-Kassel che fu per pochi mesi del 1918 re di Finlandia e Carelia.
Filippo nel giugno 1933 su proposta di Hitler assunse l'incarico di governatore della provincia d'Assia-Nassau. Come dono di nozze ebbero una pianta carnivora e un casale, situato tra i Parioli e la villa Savoia, a cui gli sposi dettero il nome di Villa Polissena, in memoria della principessa Polissena Cristina d'Assia-Rotenburg, seconda moglie di Carlo Emanuele III di Savoia.
Fu il periodo dell'ascesa in Italia del fascismo, visto da Mafalda con simpatia. Per la nascita dei suoi figli, Hitler le conferì la croce al merito (come a tutte le mamme di numerosa prole). Pur non riconoscendo alcun titolo nobiliare, il partito nazista assegnò a suo marito Filippo un grado nelle SS e vari incarichi.
Nel settembre del 1943, alla firma dell'armistizio con gli alleati, i tedeschi organizzarono il disarmo delle truppe italiane. Badoglio e il re trasferirono la capitale al Sud, ma Mafalda, partita per Sofia per assistere la sorella Giovanna, il cui marito Boris III era in fin di vita, non fu messa al corrente dei pericoli, forse per paura che informasse il langravio suo marito, che era agli ordini del Führer.
Seppe quindi dell'armistizio mentre era in Romania. Ne venne informata nel suo viaggio di ritorno, alla stazione ferroviaria di Sinaia, in piena notte, dalla regina Elena di Romania, che aveva fatto fermare appositamente il treno e aveva tentato di farla desistere dal rientro in Italia, consiglio che Mafalda decise di non seguire.
Dopo i funerali del cognato Boris III, la principessa Mafalda decise di rientrare a Roma per congiungersi con i figli e la famiglia, incurante dei rischi; benché fosse figlia del re d'Italia e legatissima alla sua famiglia di origine, era anche e soprattutto cittadina tedesca, principessa tedesca, moglie di un ufficiale delle SS e governatore tedesco, quindi sicura che i tedeschi l'avrebbero rispettata. Dopo Sinaia, la prima tappa fu l'ambasciata italiana di Budapest. L'11 settembre, lasciato il treno, la principessa prese un aereo procurato dai diplomatici italiani con destinazione Bari, ma l'aereo si fermò a Pescara. Per otto giorni la principessa alloggiò a Chieti, in un palazzo vicino alla prefettura. Con mezzi di fortuna, il 22 settembre 1943 riuscì a raggiungere Roma e fece appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano da monsignor Montini (il futuro papa Paolo VI), escluso il maggiore, Maurizio, che era già in Germania, come il padre.
Il 23 mattina venne convocata al comando tedesco, per l'arrivo di una telefonata del marito da Kassel in Germania. Si trattò invece di un tranello: in realtà il marito era già nel campo di concentramento di Flossenbürg.[2] Mafalda venne subito arrestata e imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, fu trasferita poi a Berlino e infine deportata nel lager di Buchenwald, dove venne rinchiusa nella baracca n. 15 sotto il falso nome di von Weber, venendole fatto divieto di rivelare la propria vera identità. Per scherno, i nazisti la chiamavano Frau Abeba.
Nel campo di concentramento le venne riconosciuto un particolare riguardo: occupava una baracca ai margini del campo insieme ad un ex ministro socialdemocratico e sua moglie; aveva lo stesso vitto degli ufficiali delle SS, molto più abbondante e di migliore qualità rispetto agli altri internati. Le venne assegnata come compagna di camera Maria Ruhnau, testimone di Geova[3], deportata per motivi religiosi; questa fu una figura molto importante per la principessa, la quale in punto di morte chiese che il suo orologio le fosse regalato come segno di riconoscenza. "Mettendola accanto a Mafalda, le SS erano sicure che, interrogandola, avrebbe riferito tutto quanto la principessa le avesse confidato".[4][5]
Il regime, pur privilegiato rispetto a quello di altri prigionieri, fu comunque duro: la vita del campo e il freddo invernale intenso la provarono molto. Malgrado il tentativo di segretezza attuato dai nazisti, la notizia che la figlia del re d'Italia si trovava a Buchenwald si diffuse. Dalle testimonianze si apprende che i prigionieri italiani avevano sentito dire di una principessa italiana reclusa e che un medico italiano lì rinchiuso le aveva prestato soccorso. Si sa anche che mangiava pochissimo e che quando poteva faceva in modo che quel poco che le arrivava in più fosse distribuito a chi aveva più bisogno di lei.[6]
Nell'agosto del 1944 le truppe alleate bombardarono il lager; la baracca in cui era prigioniera la principessa fu distrutta ed ella riportò gravi ustioni e contusioni varie su tutto il corpo.[7] Recuperata dai deportati Bruno Praticello e Giovanni Marcato[8], fu ricoverata nell'infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del lager, ma senza cure le sue condizioni peggiorarono. Dopo quattro giorni di tormenti, a causa delle piaghe insorse la gangrena ed in una lunga operazione le fu amputato un braccio. Ancora addormentata, Mafalda venne abbandonata in una stanza del postribolo, privata di ulteriori cure e lasciata a se stessa. Morì dissanguata, senza aver ripreso conoscenza, nella notte del 28 agosto 1944; sembra che, poco prima di morire, abbia detto ai deportati che la salvarono:
«Sento che per me sarà difficile guarire, voi siete giovani, potete farcela… Se mai la fortuna vi aiuterà a tornare fatemi un bel regalo… salutatemi i miei figli Maurizio, Enrico, Ottone e Elisabetta. Salutatemi tutta l’Italia dalle Alpi alla Sicilia.[9]»
L'opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, è che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo, seppur con procedura in sé impeccabile, per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicato a Buchenwald ed eseguito sempre dalle SS su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.
Grazie all'intervento del prete boemo del campo, padre Joseph Tyll, il corpo della principessa non venne cremato, ma messo in una bara di legno e seppellito in una fossa comune. Come identificativo, venne apposto soltanto un numero e una dicitura: «262 eine unbekannte Frau» ("una donna sconosciuta").
Trascorsi alcuni mesi, sette italiani, Corrado Magnani, Antonio Mitrano, Erasmo Pasciuto, Antonio Ruggiero, Apostolo Fusco, Giovanni Colaruotolo e Giosuè Avallone, già appartenenti alla regia marina e tutti originari di Gaeta, catturati al deposito militare di Pola dopo l'8 settembre 1943, furono deportati a Weimar, dove rimasero fino al luglio 1945, quando furono liberati dagli americani. Nelle vicinanze del loro campo c'era il lager di Buchenwald, dove avevano saputo era prigioniera la principessa Mafalda di Savoia, insieme a ebrei e politici. Appena dopo la liberazione, i marinai decisero di recarsi al vicino campo di concentramento per mettersi alla ricerca della principessa e seppero trovare fra tante la sua tomba anonima e si tassarono per apporvi una lapide identificativa.
Il dottor Fausto Pecorari, subito dopo essere rientrato a Trieste, si recò personalmente a Roma dal regio luogotenente principe Umberto per comunicargli la triste notizia del decesso per assassinio della principessa Mafalda. La principessa Mafalda riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia, nell'antica Burg di Kronberg im Taunus, vicino a Francoforte sul Meno.
Dal matrimonio tra Mafalda e Filippo d'Assia nacquero quattro figli:
Genitori | Nonni | Bisnonni | Trisnonni | ||||||||||
Vittorio Emanuele II d'Italia | Carlo Alberto di Savoia | ||||||||||||
Maria Teresa d'Asburgo-Toscana | |||||||||||||
Umberto I d'Italia | |||||||||||||
Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena | Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena | ||||||||||||
Maria Elisabetta di Savoia-Carignano | |||||||||||||
Vittorio Emanuele III d'Italia | |||||||||||||
Ferdinando di Savoia-Genova | Carlo Alberto di Savoia | ||||||||||||
Maria Teresa d'Asburgo-Toscana | |||||||||||||
Margherita di Savoia | |||||||||||||
Elisabetta di Sassonia | Giovanni I di Sassonia | ||||||||||||
Amalia Augusta di Baviera | |||||||||||||
Mafalda d'Italia | |||||||||||||
Granduca Mirko Petrović-Njegoš | Stanko Petrović-Njegoš | ||||||||||||
Krstinja Vrbica | |||||||||||||
Nicola I del Montenegro | |||||||||||||
Anastasija Martinović | Drago Martinović | ||||||||||||
Stana Martinović | |||||||||||||
Elena del Montenegro | |||||||||||||
voivoda Petar Šćepanov Vukotić | serdar Stevan Perkov Vukotić | ||||||||||||
Stana Milić | |||||||||||||
Milena Vukotić | |||||||||||||
Jelena Vojvodić | Tadija Vojvodić | ||||||||||||
Milica Pavićević | |||||||||||||
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