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novella scritta da Giovanni Verga Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La roba è una novella di Giovanni Verga pubblicata per la prima volta sulla rivista La Rassegna Settimanale nel 1880, poi successivamente compresa nella raccolta Novelle rusticane (1883).
La roba | |
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Autore | Giovanni Verga |
1ª ed. originale | 1880 |
Genere | novella |
Lingua originale | italiano |
Protagonisti | Mazzarò |
A Francofonte, in contrada Passaneto, un bracciante, Mazzarò, grazie alla sua intelligenza ed attraverso l'utilizzo di imbrogli, riesce ad appropriarsi delle terre del padrone (un ricco barone) lasciando a quest'ultimo solo il proprio stemma.
Mazzarò diventa ricco ma avaro, è severo con i suoi mezzadri e il suo unico scopo è possedere così tanta terra da eguagliare quella del re: lavora alacremente nel tempo della raccolta delle olive, sorvegliando anche di persona il magazzino per preservarlo dai ladri, si affanna a fare i conti per le spese della produzione e su quanto spendere per nutrire i dipendenti dei suoi vastissimi campi, in compenso vive modestamente in casa. Divenuto vecchio, pensando che la morte sia ormai vicina, è disperato perché sa di non poter portare con sé le ricchezze accumulate ed infine uccide gli animali delle sue proprietà percuotendoli con un bastone e gridando: "Roba mia, vientene con me!".
Nella novella, un abbozzo del successivo Mastro-don Gesualdo, si trovano diversi esempi di una delle tecniche narrative usate dallo scrittore Verga e cioè la tecnica dello straniamento, che, definita teoricamente dai formalisti russi degli anni '20, serve per narrare un avvenimento o descrivere un personaggio utilizzando un punto di vista estraneo all'oggetto. Si crea così nel lettore un senso di disorientamento, perché questi non ravvisa nel racconto la tradizionale presentazione dei valori codificati, trasmessi da un narratore diegetico, onnisciente, ma si trova faccia a faccia con il fatto nudo e crudo e con il modo di pensare di Mazzarò, o con quello di un narratore interno al mondo rappresentato.
Il narratore in questa novella non dimostra mai riprovazione nei confronti del personaggio principale, Mazzarò, e dei sistemi che ha usato per divenire ricco, mai riprovazione per la sua avarizia, per la sua aridità sentimentale, per la sua brutalità nei confronti dei lavoranti, per la disumanità verso i fittavoli rovinati dalla sua avarizia di usuraio.
Mazzarò appare talvolta quasi eroico o degno di lode, così come appare ridicolo nel finale. Anche qui come nella "Lupa", il narratore popolare sembra condividere la mentalità ed i valori del popolo, nel modo in cui vede il protagonista.
Come ne “L'amante di Gramigna” si immagina qualcuno che va in giro e domanda di chi siano i possedimenti che incontra lungo il cammino:
In questa novella non vi è un punto di vista privilegiato, tutti raccontano e dicono la loro. Il lettore vede anche il punto di vista di Mazzarò che si leva il pane di bocca per amore della roba; un uomo senza vizi ma anche senza affetti:
In un certo senso in Mazzarò c'è il riscatto del povero bracciante che tutti pigliavano a calci ma che poi diviene ricco.
La ricchezza di Mazzarò, però, non serve al miglioramento sociale, non serve a creare una vera classe borghese soddisfatta di sé e dei propri valori, crea soltanto altri vinti. Mazzarò non forma una famiglia, non crea una nuova dinastia di proprietari perché per lui l'unico valore è la roba, che nemmeno si gode appieno (è ricco ma vive con semplicità, avaro com'è rimasto) e che non può portare con sé nell'aldilà: per questo si dispera e vuole che la roba muoia con lui.
Il rapper Caparezza si ispira a questa novella per la canzone Ninna nanna di Mazzarò, presente nell'album Habemus Capa.
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