L'immanenza è un concetto filosofico metafisico (antitetico a quello di trascendenza) che si riferisce alla qualità di ciò che è immanente, ossia ciò che esiste, in quanto parte della realtà abitata dall'uomo. Viene generalmente opposto a ciò che è trascendente, ovvero ciò che esiste al di là della realtà percepita dall'uomo – come, per esempio, ciò che appartiene al divino, o al regno delle idee platonico. L'immanenza viene definita come ciò che risiede nell'essere, ha in sé il proprio principio e fine e, facendo parte dell'essenza di un soggetto, non può avere un'esistenza da questo separata.
Deriva dal latino in e maneo, cioè rimanere in quiete, o dentro, proprio ad indicare un'azione circoscritta nel soggetto stesso che la compie.
L'idea dell'immanenza o della trascendenza di Dio ha diviso i filosofi medievali, tra i neoplatonici, seguaci di Agostino d'Ippona, e gli aristotelici seguaci di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Le definizioni del Concilio di Calcedonia (451) sulla natura umana e divina di Gesù identificano nel Cristo due nature, quella umana e quella divina, unite ma non confuse fra di loro. Così afferma il dettato dogmatico del concilio di Calcedonia: “Insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio: il Signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, uno e medesimo Cristo Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, essendo stata salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, Verbo e Signore Gesù Cristo”. Nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis, il papa Pio X criticò l'abuso di questa nozione nella filosofia di Spinoza e Kant. Riprendendo il concetto scolastico di immanenza, intesa come la presenza del risultato di un'azione all'azione stessa, Spinoza affermò che “Dio è causa immanente e non transitiva di tutte le cose”, cioè che Dio è causa di tutte le cose che sono in lui e che nulla esiste fuori da lui (Deus sive Natura). Tale teoria si contrappone all'ortodossia cristiana, che assegna a Dio un'esistenza separata dalle cose (trascendenza di Dio) delle quali egli è creatore.
Nel pensiero moderno l'antitesi immanenza – trascendenza si è trasferita sul piano gnoseologico e viene definita come “immanentismo” ogni dottrina che rifiuta l'esistenza di una realtà trascendente: l'idealismo post kantiano, il positivismo, le varie forme di storicismo.
Per Kant il termine immanenza significa la limitazione dell'uso delle forme a priori della conoscenza all'ambito dell'esperienza; per gli idealisti post – kantiani tale termine è impiegato per definire la riduzione di ogni realtà alla coscienza.
Con la sua asserzione « Dio è morto », (Friedrich Nietzsche) dichiara che l'uomo è lasciato a sé stesso e che non deve più sperare né di scoprire una verità trascendente e nascosta, né di inventare la fine della storia costruendo una verità “trascendente” e definitiva.
Questa stessa sintesi di indifferenza si ripropone aggiornata in Wittgenstein (« Quel che non si può dire, è necessario tacerlo ») : egli è convinto di aver definito formalmente un concetto di “verità” universale, “formalmente”, cioè indipendentemente da qualsiasi soggetto, da qualsiasi osservatore.
Sartre nella sua Critica della ragione dialettica usa l'espressione composta immanenza-trascendenza, nei seguenti termini: è immanente ciò che è interno all'essere di una realtà e non rinvia, né per la sua esistenza né per la sua esplicazione, né per il suo valore, ad alcun principio esterno o superiore, cioè a nessun principio trascendente. Questo concetto può essere riassunto nell'enunciato tutto è interno a tutto.
L'idea di immanenza è stata altresì presentata non solo come pura teoria ma anche come “esperienza”. Tra i più recenti casi, si può citare qualche parola di Annie Besant, in un contesto più spirituale che filosofico ma non panteista:
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