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pittore e incisore italiano (1616-1664) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (Genova, 23 marzo 1609 – Mantova, 5 maggio 1664), è stato un pittore e incisore italiano, fra i massimi esponenti della scuola barocca genovese.
Si formò presso le botteghe di Giovanni Battista Paggi, Giovanni Andrea De Ferrari e Sinibaldo Scorza nella sua città natale, dove aveva da poco soggiornato Anton van Dyck.
Da subito si specializza in dipinti a soggetto animalistico, influenzati dallo stile dello Scorza. A questa prima fase alcuni critici riferiscono L'entrata degli animali nell'arca, dell'Accademia Ligustica e Noè fa entrare gli animali nell'arca, degli Uffizi[1]
Nel 1632 si trasferì col fratello Salvatore a Roma, come è documentato negli stati d'anime della parrocchia di Sant'Andrea delle Fratte. Divenne un artista apprezzato: viene ammesso nell'Accademia di San Luca (1634) e inizia a frequentare artisti come Gian Lorenzo Bernini, Mattia Preti e Pietro da Cortona.
Dopo un soggiorno a Napoli, rientrò a Genova, dove si dedicò a importanti commesse sia per le quadrerie del patriziato genovese, che per istituzioni religiose. Nel 1645 firma la pala d'altare con la Natività per la chiesa di San Luca, ritenuta fra i suoi esiti più alti, e sempre per la sua città dipinge la Visione di s. Bernardo per Santa Maria della Cella e S. Giacomo che scaccia i Mori per l'oratorio di San Giacomo della Marina. Negli stessi anni inizia una fertile produzione grafica, i cui soggetti si rifanno spesso alle ambientazioni archeologiche di Poussin animate da figure fantastiche di satiri e ninfe[2].
Attorno al 1650 risale un secondo soggiorno romano, cui risale la commissione della pala con l'Immacolata Concezione adorata dai santi Francesco e Antonio da Padova, dipinta nel 1649-1650, per la chiesa dei Cappuccini di Osimo, nelle Marche, oggi al Minneapolis Institute of Arts di Minneapolis[3]
La sua bottega, sempre in comunione col fratello e il figlio Francesco (1641-1716), si specializzò in nature morte e scene a soggetto biblico e mitologico, sempre affollate di animali. Le sue pennellate sottili e incisive hanno i caratteri inquieti di un pittore alla ricerca di nuove soluzioni spaziali e formali. Difficile oggi definire con precisione quali opere appartengano a lui e quali al fratello Salvatore (1620-1676) e al figlio Francesco: occorre pensare alla produzione di questo straordinario pittore come ad una produzione di bottega dove ognuno dei tre arricchiva gli altri di nuovi stimoli e risoluzioni stilistiche. Fu anche uno stimato incisore, specializzato nella tecnica dell'acquaforte e inventore della tecnica del monotipo: probabilmente le sue stampe influenzarono anche l'opera di Rembrandt.
Dal 1651 fu a Mantova, dove divenne pittore di corte presso i Gonzaga. Soggiornò spesso anche a Napoli, Parma e Venezia. La Visione di s. Domenico di Soriano della chiesa di Santa Maria di Castello è considerata una delle ultime opere eseguite per la sua città natale. Morì a Mantova e fu sepolto nel duomo, prima del 1665, data riportata sulla lapide. A sinistra dell'ingresso al battistero del duomo stesso un medaglione in stucco lo ritrae con la scritta che, con enfasi tutta seicentesca, assicura: "Rinascerà forse l'arte della pittura, morta con te. Ma dopo di te, o Castiglione, sarà sempre inferiore".[4] Il figlio Francesco gli succedette come pittore di corte presso Ferdinando Carlo Gonzaga. Fu maestro di Giovanni Lorenzo Bertolotto, che fu nella sua bottega tra l'inizio del 1661 e il marzo 1663.[5]
La tradizione aveva attribuito a Giovanni Benedetto Castiglione un ciclo pittorico che adornava una sala di Palazzo Verri a Milano, ora trasferito a Palazzo Sormani. La critica successiva è concorde nel negare tale attribuzione, ma la sala si chiama tuttora sala del Grechetto.
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