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arcivescovo italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giuliano di Eclano (Ceglie Messapica, 385 circa – ?, 455 circa) è stato un teologo cristiano, sostenitore del Pelagianesimo.
Nacque nell'odierna Ceglie Messapica, figlio di Memorio, vescovo di Aeclanum (oggi Mirabella Eclano, in provincia di Avellino), e quando era ancora lector, si unì in matrimonio con Tizia, figlia di Emilio, vescovo di Benevento. Diacono nel 408, ebbe estesa cultura e intelligenza brillante, tanto che Agostino, che lo descrive scrittore elegante ed esperto di dialettica, volle ospitarlo a Cartagine. Nominato vescovo di Eclano da papa Innocenzo I verso il 411, generosamente donò tutti i suoi beni agli abitanti caduti in miseria dopo l'invasione della Campania da parte dei Visigoti.
Scomunicato e deposto dalla carica vescovile nel 418 da papa Zosimo per la sua adesione al pelagianesimo, insieme ad altri diciassette vescovi fu costretto all'esilio in Oriente ospitato, fra gli altri, da Teodoro, vescovo di Mopsuestia in Cilicia e da Nestorio, patriarca di Costantinopoli. Qui continuò a difendere le sue opinioni, affermandosi come il più influente esponente del pelagianesimo. Non si conosce il luogo della sua morte, avvenuta in Oriente o in Sicilia, verso il 455.
In difesa delle dottrine pelagiane scrisse due lettere a papa Zosimo e due, nell'esilio, a Rufo, vescovo di Tessalonica e a Roma. In polemica contro sant'Agostino, scrisse i Libri quattuor ad Turbatium, i Libri octo ad Florum, indirizzati al vescovo pelagiano Floro, esule a Costantinopoli, che l'aveva esortato a scrivere contro il De nuptiis et concupiscientia di Agostino, e il De bono constantiae (Patr. Lat. 91, 1072), ai quali Agostino rispose con il Contra Iulianum in sei libri (Patr. Lat. 44, 461) e con il cosiddetto, perché incompiuto, Opus imperfectum (Patr. Lat. 45, 1049). Gli vengono attribuiti anche il Commentarius in Psalmos e il Commentarius in prophetas minores tres, Osee, Joel et Amos, che è del resto attribuito anche a Rufino d'Aquileia.
Le frasi di Giuliano, tratte dal suo Ad Florum, sono riportate nell'Opus imperfectum di Agostino.
Per Agostino, con il peccato di Adamo, istigato dal diavolo, tutti gli uomini sono divenuti peccatori: il peccato originale si trasmette attraverso la generazione; Giuliano replica che:
«se il peccato originale si contrae attraverso la generazione……. (I, 61)… rischi di condannare il matrimonio e di dire opera del diavolo l'uomo che nasce da quello... non esiste matrimonio senza rapporti sessuali. Tu dici che quanti nascono da un rapporto sessuale appartengono al diavolo: senza dubbio dichiari che il matrimonio appartiene al diritto del demonio (I, 62)»
«Tu, evidentemente, senza esitazione definisci diabolica la natura. Perché, se è nella natura o viene dalla natura ciò per cui l'uomo è posseduto dal diavolo, è irrefutabilmente del diavolo ciò per cui il diavolo ha potuto rivendicare a sé l'immagine di Dio. Anzi non è nemmeno immagine di Dio una natura che è per nascita nel regno del diavolo. (I, 63) Tu scrivi nel tuo libro (De nuptiis et con.) che "quanti nascono dal matrimonio contraggono il peccato originale, e di essi, quali che siano i genitori da cui nascono, non neghiamo che siano ancora sotto il diavolo, se non rinascono nel Cristo e, liberati per la sua grazia dal potere delle tenebre, sono trasferiti nel regno di Colui che non volle nascere dalla medesima unione dei due sessi" ... Ti sei sforzato di far credere così esecrabili i rapporti sessuali da voler far intendere che il Cristo… per condannare il congiungimento dei sessi, abbia voluto nascere da madre vergine. Che cosa dunque ha potuto mai dirsi da chiunque di più improprio e di più impudente di questo? (I, 64)»
Dunque la concupiscenza, il desiderio sessuale, non è cattiva in sé, perché è nella natura umana creata da Dio; se fosse sorta solo dopo il peccato di Adamo, istigato dal diavolo, sarebbe una creazione diabolica e dunque il diavolo avrebbe stravolto la natura umana, sarebbe lui il creatore dell'attuale natura umana, come insegnano i manichei; in realtà, secondo Giuliano, i risultati della concupiscenza sono buoni o cattivi secondo l'uso che si è fatto di questa, secondo dunque la libera volontà umana, secondo il libero arbitrio:
«Questa è la grandissima differenza che c'è sempre stata tra i manichei e i cattolici…: noi attribuiamo il peccato alla volontà cattiva, i manichei invece alla natura cattiva. (I, 24) Nel tuo libro Le due anime… dici: "…il peccato è la volontà di commettere o di continuare ciò che la giustizia proibisce e che è libero di non fare… se l’uomo non è libero, non si può nemmeno dire che ci sia volontà" (I, 44). La volontà è dunque "il motore dell'animo che ha in suo diritto o di andare a sinistra per azioni deplorevoli o a destra per azioni eccelse". (I, 46) Questa volontà dunque che sceglie alternativamente ha nel libero arbitrio l'origine della sua possibilità, ma riceve da sé l'esistenza dello stesso agire… esiste dunque il peccato; perché, se non esistesse, nemmeno tu andresti dietro agli errori. Ma il peccato non è altro che la volontà deviante dal sentiero sul quale si deve mantenere e dal quale è libero non deflettere… (I, 47)»
Il peccato originale non esiste, perché i bambini non possono essere peccatori:
«... di' chiaramente la ragione per cui corri dietro all'esistenza del peccato naturale… se non c'è nessun peccato senza la volontà, se non c'è nessuna volontà dove non c'è libertà, se non c'è libertà dove non c'è l’uso della ragione, per quale mostruosità si troverebbe il peccato nei bambini che non hanno l'uso di ragione? Perciò né facoltà di scelta, né quindi volontà, né, poste queste premesse irrefutabili, alcun peccato di sorta. Tu dici: I bambini non sono oppressi da nessun peccato proprio, ma sono oppressi da un peccato altrui… sospettiamo che tu abbia tirato fuori queste affermazioni in odio a qualcuno… Presso quale giudice un delitto di altri prese a gravare su una innocenza pura? Chi è stato quel nemico barbarico, così crudele, così truce, così dimentico di Dio e dell'equità, da condannare gli innocenti come fossero colpevoli ?... È Dio, tu dici, quello stesso che dimostra il suo amore verso di noi, quello stesso che ci ha amati e non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi; lui stesso giudica così e lui stesso è il persecutore dei neonati, lui stesso consegna ai fuochi eterni per la loro cattiva volontà i bambini che egli sa non aver potuto avere né volontà buona, né volontà cattiva…" (I, 48)»
Questo non significa che il battesimo sia inutile:
«...noi riconosciamo tanto l'utilità della grazia battesimale a tutte le età da colpire con anatema eterno tutti coloro che non la reputano necessaria anche ai bambini. Ma noi crediamo sovrabbondante di doni spirituali questa grazia, la quale… provvede da sola a tutte le specie di bisogni e a tutte le diversità di condizioni degli uomini… Ma questa grazia che lava le macchie dell'iniquità non avversa la giustizia, né fa i peccati ma ce ne purga; questa grazia che assolve i rei non calunnia gli innocenti. Il Cristo infatti, che è redentore della sua creatura, accumula con larghezza continua i benefici attorno alla sua immagine e gli uomini che creandoli aveva fatto buoni li fa migliori rinnovandoli e adottandoli. Merita quindi l'esecrazione di tutti i buoni chi crede di dover negare ad alcuni questa grazia per la quale si dà il perdono ai rei, l'illuminazione spirituale, l'adozione a figli di Dio, la cittadinanza della Gerusalemme celeste, la santificazione, la promozione a membra del Cristo e ai mortali il possesso del Regno dei cieli. (I, 53)»
«Non c'è peccato nell'uomo, se non c'è volontà personale: in questo consente con me senza esitazione tutto il genere umano, se ha una goccia appena di sapienza. Ora, tu concedi che nei bambini non c'è stato niente di volontà personale: non io, ma la ragione conclude che dunque non c’è peccato in loro. La ragione per cui si portano alla Chiesa non è assolutamente che siano infamati… ma si portano perché lodino Dio come autore e dei beni naturali e dei doni spirituali. (I, 60) La libertà dell'arbitrio, con la quale l'uomo è stato emancipato da Dio, consiste nella possibilità di commettere il peccato e di astenersi dal peccato" (I, 78)»
«L'uomo infatti fu creato animale ragionevole, mortale, capace di virtù e di vizio, in grado per possibilità concessagli o di osservare i comandamenti di Dio o di trasgredirli; in grado di rispettare il diritto della società umana per il magistero della natura, libero di fare volontariamente l'una o l'altra scelta: e in questo sta essenzialmente il peccato e la giustizia. (I, 79) È buona dunque la possibilità e del bene e del male, perché poter fare il bene è l'atrio della virtù e poter fare il male è testimonianza di libertà" (I, 81)»
«Tu dici: Noi non neghiamo il libero arbitrio, ma se il Figlio vi farà liberi, dice la Verità, sarete liberi davvero (Giov..8, 36) È manifesto che in quel luogo il Cristo rivolgeva le sue parole ad una coscienza schiava, che denunziava non libera, ma esposta a quella giustizia che condanna i peccati commessi con libera volontà. La quale sentenza, intendendola male o forse non intendendola dentro di te e tirandola qua contro la ripugnanza della sua natura, l'hai messa in un punto dove con tutto il suo senso letterale discorda dai tuoi ragionamenti. Accoppiando infatti le stesse parole: Ciò che si libera è schiavo, ciò che è schiavo non è libero, ciò che è libero non è schiavo (I, 84)»
Dunque, secondo Giuliano, Agostino rende vano il battesimo se nei cristiani battezzati continua a sussistere il male che viene da loro stessi trasmesso ai loro discendenti. Ma per Agostino il male si sconfigge solo con la grazia, dono di Dio non dato secondo i meriti eventuali di ciascuno ma gratuitamente e a pochi, per sua decisione imperscrutabile; chi ottiene la grazia si salva, chi non ha la grazia divina sarà dannato indipendentemente dalla sua volontà di perseguire il bene. Dice Giuliano:
«...la grazia del Signore Gesù Cristo non è stata data così da provvedere per singoli peccati, quasi per singole ferite, anche singoli rimedi d'indulgenza, e da offrire venia ai vari peccati con diversi battesimi. Essa invece, per il potere della sua efficacissima medicina, che si applica ai crimini, ossia alle opere della volontà cattiva, soccorre così universalmente da cancellare le diverse specie di reati con la forza di una sola consacrazione. (II, 108)»
Al che risponde Agostino:
«"Questo è l'occulto e orrendo veleno della vostra eresia: voi volete che la grazia del Cristo stia nel suo esempio e non nel suo dono, dicendo che gli uomini diventano giusti per l'imitazione di lui e non per la somministrazione da parte di lui dello Spirito Santo che li induca ad imitarlo e che egli ha diffuso nel modo più ricco sopra i suoi. E aggiungete: dopo tuttavia l'incarnazione del Cristo, evidentemente per gli antichi, che dite essere stati giusti senza la sua grazia, poiché non ebbero il suo esempio... se dunque la giustizia viene dall'imitazione dei giusti, il Cristo è morto invano, perché anche prima di lui ci furono giusti da poter essere imitati da coloro che avessero voluto essere giusti. (II, 146).»
Dice il professor Piero Bellini (Incontro del 9 maggio 2003 su Le radici culturali e religiose dell'identità europea): “l'antropologia pessimistica di Agostino nasce dalla preoccupazione che riconoscere all'uomo una sua autonomia possa in qualche misura nuocere alla costitutività dell'intermediazione divina: Agostino, nella prima fase della sua polemica a proposito della libertà dell'uomo, si trova a rispondere alla domanda: unde malum?, da dove proviene il male?, che è poi il tema centrale della teodicea.
I manichei, secondo una tradizione che risale a Marcione e, per certi aspetti, a Montano, credono nella compresenza di due principi: il principio del bene, che tende ad affrancare l'uomo da una soggezione in cui lo ha posto un Dio creatore malvagio, e il principio del male.
Diversamente Agostino, per mantenere l'unicità di Dio, evitando di contrapporre un Dio creatore ad un Dio salvatore, ritiene che il male della terra non dipenda dalla creazione di Dio, ma dalla risposta che l'uomo ha dato a Dio rispetto al dono della libertà che Dio gli ha concesso: la libertà dell'uomo introduce il male nel mondo; l'uomo, in altre parole, ha fatto un cattivo uso della sua libertà, determinando l'ingresso del male nel mondo. È la tesi del libero arbitrio: d'un libero arbitrio speso male.
Tale tesi comporta una reazione di tipo protoliberale da parte di Pelagio. Quest'ultimo dice che se l'uomo è capace di peccato e merita la sua punizione, l'uomo deve essere anche capace di virtù e deve meritare il suo premio se si conduce rettamente. Alla visione di Agostino, Pelagio aggiunge qualcosa di più, parlando di una quaedam naturalis sanctitas dell'uomo. L'uomo è capace di peccato, ma è anche capace di virtù.
Agostino si preoccupa di questo, perché, se si accetta che l'uomo possa salvarsi attraverso gli strumenti della sua naturalità (per sua tantum naturalia), allora viene meno la necessità dell'intermediazione ecclesiastica e ancor prima la necessità dell'intermediazione cristica: che senso ha il sacrificio del Golgota se l'uomo ha la possibilità, con i suoi strumenti naturali, di realizzare il proprio destino escatologico?
Agostino allora abbandona la posizione del libero arbitrio e diventa il dottore della grazia. Tutto è dovuto alla grazia: è il dono della grazia di Dio che rende gli uomini capaci di meritare. L'uomo non può meritare la grazia, perché la grazia è condizione del merito, quindi essa è gratis data. Quest'ultima è una proposizione che ricorre di frequente in Agostino. Dio sceglie i suoi e rifiuta gli altri. Si pongono così le basi del predestinazionismo: è una visione marcatamente negativa dell'antropologia umana, che diventa ottimistica quando si tratta dell'elezione di quelli che sono da Dio, secondo il suo insondabile giudizio, predestinati alla salvezza. Di fronte a chi gli oppone che in questo modo Dio tratterebbe gli uomini come figli e figliastri, Agostino non ha esitazione a dire che gli uomini sono “figli dell'ira di Dio”, per cui non ci si deve lamentare se Dio punisce la maggioranza degli uomini, piuttosto ci si deve rallegrare del fatto che alcuni almeno fra essi siano salvati.”
In quel V secolo, il confronto fra agostiniani e pelagiani fu uno scontro drammatico fra due filosofie, due teologie, due etiche, due concezioni della Chiesa, in definitiva due culture che combattevano per la loro sopravvivenza: quella che fosse uscita sconfitta sarebbe stata destinata a scomparire.
E a essere sconfitta non poteva essere che la cultura cristiana, che in questo è anche laica, del primato della razionalità, dell'umanità, del libero arbitrio: perché nella gravissima crisi economica del tempo, nella fuga degli schiavi dalla terra, nell'asservimento di chi rimaneva perché non aveva speranza nemmeno nella fuga, compresi i piccoli proprietari, i piccoli artigiani e commercianti, nella costante falsificazione della moneta operata dai governi imperiali, nelle scorrerie di “barbari” che uccidevano e rubavano e devastavano i beni dei possidenti, questi ultimi, i colti, i pochi in grado di scrivere, leggere e comprendere i problemi “alti” di ogni tempo dell'umanità, quei pochi che davano e danno la loro impronta alla storia umana, non trovavano nelle vicende del loro tempo alcun motivo di ottimismo, alcuna razionalità, alcun umanesimo e, primi rappresentanti di una società servile, non potevano essere favorevoli alla libertà di tutti gli uomini, anche “soltanto” della libertà della volontà, del libero arbitrio nel conseguimento della propria salvezza spirituale.
Meglio l'incerta sicurezza di una grazia proveniente dall'alto, per quanto riservata a pochi – ed essi erano infatti pochi, rispetto alla massa incolta e misera – che la fatica di una salvezza da guadagnare ogni giorno con i propri mezzi spirituali e che non può essere servita da altri uomini; meglio la rassicurante tradizione del pensiero, cristallizzato in dogma e dunque dato una volta per tutte, dei boni et sancti viri del glorioso passato del cristianesimo, così puntigliosamente e frequentemente citati da Agostino; meglio una Città di Dio, dove i beni, quali che siano, sono eternamente al sicuro.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 120698343 · ISNI (EN) 0000 0004 5875 7479 · BAV 495/25729 · CERL cnp01003708 · LCCN (EN) n84178627 · GND (DE) 118714066 · BNF (FR) cb121764327 (data) · J9U (EN, HE) 987007263505505171 |
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