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re sumero Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gilgameš (talvolta italianizzato in Ghilgamesc,[4][5] Ghilgamesh[6][7][8] o Gilgamesh;[9] AFI: /ɡilɡaˈmɛʃ/ o /ˈgilɡamɛʃ/; in sumero: 𒉈𒂵𒈩, Bilgames; in accadico: 𒄑𒂆𒈦, Gilgameš) è una divinità o un eroe divinizzato del Vicino Oriente antico, che si presenta su tre piani documentali:
Le sue vicende, in particolar modo, sono narrate nel primo poema epico della storia dell'umanità giunto a noi, in seguito denominato Epopea di Gilgameš. Si tratta di un'epopea babilonese il cui nucleo principale risale ad antichi racconti mitologici sumeri che vennero rielaborati e trascritti successivamente in ambiente semitico. La prima struttura dell'Epopea, pervenutaci in frammenti, appartiene quindi alla letteratura sumerica, mentre la versione più completa sinora nota venne incisa in lingua accadica su dodici tavole di argilla che furono rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal a Ninive, capitale dell'impero assiro; questa redazione tarda del mito, pubblicata in italiano col nome de L'epopea di Gilgameš, è stata attribuita allo scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni e risale presumibilmente al XII secolo a.C. e comunque anteriormente all'VIII secolo a.C.[10]
Per quanto attiene alla storicità o meno della figura di Gilgameš, diversi studiosi hanno concluso che Gilgameš fosse un personaggio storico, ovvero un re, divinizzato in epoca successiva[11][12]. Giovanni Pettinato giunge a un'opposta conclusione ritenendo Gilgameš un personaggio non storico, quindi una divinità della mitologia sumerica inserita nelle liste reali sumeriche e da qui entrato nelle tradizioni religiose semitiche[13].
Il più antico testimone giunto a noi che riporta il nome di Gilgameš è la lista degli dei, rinvenuta a Fāra (Šurrupak), redatta in lingua sumerica e risalente al 2500 a.C., ove egli è attestato come dGIŠ:BIL:PAP.ga.mes. Quindi, per convenzione, esso viene reso dalla lingua sumerica come Bilgames[14] (giš-bil2-ga-mes, in cuneiforme: 𒄑𒉈𒂵𒈩[15]).
Il nome Gilgameš proviene invece dall'accadico (in medio e neo accadico: dgi-il-ga-⌈meš⌉; cuneiforme: ; anche giš-bil, gis-gín-maš, gis-bíl-ga, giš-bíl, giš-bíl-gín-mes).
In altre lingue Gilgameš viene reso: in elamitico, giš-ga-meš; in ittita, gis-gím-maš; nel ḫurrita, gal-ga-mi-šu-ul.[16]
Nella più antica attestazione del nome di Gilgameš/Bilgames, l'elenco della Lista degli dèi rinvenuta a Fāra risalente al periodo protodinastico, quindi al 2600/2450 a.C., questi viene caratterizzato come essere "divino".
In diverse iscrizioni, come nelle epopee, Gilgameš è indicato come figlio della dea Ninsun.
Nell'inno di lamentazione per la morte del re Ur-Nammu (fondatore della terza dinastia di Ur) viene indicato come divinità infera.
Nella letteratura religiosa in lingua accadica, e quindi assira e babilonese, Gilgameš è sempre considerato una divinità degli Inferi.
Anche nelle più antiche epopee sumeriche il nome di Gilgameš è sempre accompagnato dal determinativo divino d (cuneiforme sumerico, antico accadico e antico babilonese: ; cuneiforme medio e neo babilonese, medio e neo assiro e ittita: ) che indica il dio: dgiš-bil2-ga-mes[17], dgi-il-ga-meš.
Nelle epopee Gilgameš è indicato come figlio della dea Ninsun e del dio Lugalbanda; se è considerato per due terzi un dio e per un terzo un uomo lo si deve al fatto che per gli antichi abitanti della Mesopotamia Lugalbanda era un re divenuto dio.
La lista reale sumerica (sumerico: [nam]-lugal an-ta ed3-de3-a-ba; lett. "Quando la regalità discese dal cielo") è un testo in cuneiforme sumerico composto tra il 2100 e il 1800 a.C.[18][19][20] con la finalità di gettare le basi tradizionali e politiche dell'unificazione del territorio di Sumer (Mesopotamia meridionale)[21]. Questo testo si avvia con il principio di "regalità" che discende dal cielo per essere assegnata per la prima volta alla città sumera di Eridu in cui resta per complessivi 64.800 anni, successivamente tale principio si trasferisce alla città di Bad-Tibira per altri 108.000 anni, per poi discendere sulla città di Larak per ulteriori 28.800 anni, poi a Sippar per 21.000 anni e infine a Šuruppak per 18.600 anni: 5 città, 8 re elencati nella lista, per complessivi 241.200 anni di regno, quando il dio Enlil scatena il diluvio universale distruggendo l'umanità. Il dio Enki, lo sappiamo da altre epopee mesopotamiche[22], salva tuttavia un uomo, il Noè sumerico: Ziusudra (sumerico: Zi-u4-sud-ra, lett. "Vita dei giorni prolungati"), figlio dell'ultimo re di Šuruppak Ubara-Tutu. La lista reale sumerica riprende così la sua elencazione:
«Il diluvio cancellò ogni cosa;
dopo che il diluvio ebbe cancellato ogni cosa,
quando la regalità scese dal cielo,
la regalità fu a Kiš.»
Nel prosieguo della lista viene citato "il divino Gilgameš" quinto re (dopo Meskiangašer, Enmenkar, il divino Lugalbanda e il divino Dumuzi) della I dinastia di Uruk.
Così il testo:
«Il divino Gilgameš
-suo padre è uno sconosciuto-
signore di Kullab,
regnò 126 anni;
Urlugal,
figlio di Gilgameš
regno 30 anni»
Da notare che fin da questo documento sumerico il nome di Gilgameš è accompagnato dal determinativo (d) che indica il dio: dgiš-bil2-ga-mes[17].
Interessante è un testo in sumerico, ma risalente al II secolo a.C. (quindi al tempo della dinastia seleucide), rinvenuto a Uruk. Questo testo[23] elenca i re antidiluviani con i rispettivi saggi, gli apkallu (accadico; sumerico: abgal), introducendo anche quelli post-diluviani:
«Dopo il diluvio, durante il regno di Enmekar, era apkallu Nungalpiriggal,
il quale fece scendere dal cielo nell'Eanna la dea Ištar.
Egli fece costruire la lira di bronzo,
le cui […] erano di lasplazzuli, lavorate con ferro battuto secondo l'arte di Ninagal
Egli introdusse nel […], l'abitazione di […] e depose la lira davanti ad An
Durante il regno di Gilgameš era ummanu Sinleqiunnini»
La figura degli apkallu qui presente, riguarda dei "saggi" non umani e ittioformi che provengono dalle acque dell'abisso (sumerico: abzu), luogo dove regna il dio della "saggezza" Enki (accadico: Ea), per insegnare agli uomini la civiltà. Significativo è che il primo "saggio" pienamente umano, quindi non apkallu ma ummanu, Sinleqiunnini (Sîn-lēqi-unninni), si manifesti con il re-divino Gilgameš.
Precedentemente un altro testo, sempre in sumerico ma rinvenuto a Ninive e risalente al periodo neoassiro, aveva già trattato il tema degli apkallu[24].
Gilgameš, fin dalle fonti più antiche, è sempre presentato come un dio e come un dio viene invocato nelle preghiere.[25][26]
«Il divino Gilgamesh, colui che andò alla ricerca della pianta della vita,
ha costruito il santuario di Enlil»
«Enlil me lo (cioè Gutium) ha consegnato,la mia signora Inanna è il mio sostengo, Dumuzi, l'ama-ušumgal del cielo ha pronunciato il mio destino, il dio Giš-bíl-ga-meš, figlio di Ninsun, quale protettore maškim mi è stato dato»
Il testo dell'Epopea di Gilgameš appartiene all'intera cultura mesopotamica, ovvero della Mezzaluna Fertile, non solo quindi alle sue originarie culture sumerica e assiro-babilonese. Testimonianza di questo fatto è il rinvenimento in più lingue, oltre il sumerico e l'accadico, di versioni di questa epopea: dall'ittita, al ḫurrita, all'elamita. Questi rinvenimenti riguardano non solo l'antico territorio della Mesopotamia, ma anche l'Anatolia e l'area della Siria-Palestina. L'Epopea è da considerarsi il più importante dei testi mitologici babilonesi e assiri pervenuti fino a noi.
Esistono sei versioni conosciute di poemi che narrano le gesta di Gilgameš, re sumero di Uruk, nipote di Enmerkar e figlio di Lugalbanda. La versione più conosciuta, L'epopea di Gilgameš, è scritta in babilonese su delle tavolette d'argilla rinvenute a Ninive[29] e raccoglie tutti quegli scritti che hanno come oggetto le imprese del mitico re di Uruk.
Gilgameš è il re dispotico di Uruk, i cui sudditi si lamentano con gli dei, stanchi della sua lussuria sfrenata che lo porta a imporsi sulle donne della città. Gli dei ascoltano questa preghiera creando Enkidu, un uomo selvaggio destinato ad affrontare il re. Ma quando i due si impegnano in un combattimento, invece di uccidersi a vicenda, diventano amici e si imbarcano in pericolose avventure. Insieme uccidono il gigante Humbaba e il Toro celeste, mentre Gilgameš rifiuta l'amore della dea Ištar. Come punizione per questi atti di empietà, gli dei fanno morire Enkidu nel fiore degli anni.
Sconvolto dalla scomparsa del suo amico, Gilgameš parte alla ricerca dell'immortalità, che lo conduce ai confini del mondo, dove vivono il saggio Utnapishtim e sua moglie, gli unici sopravvissuti al diluvio universale, ai quali gli dei hanno concesso il dono dell'immortalità. Tuttavia, Utnapishtim non può offrire a Gilgameš ciò che cerca. Sulla via del ritorno, seguendo le istruzioni di Utnapishtim, l'eroe trova una pianta che restituisce la giovinezza a chi la mangia; ma un serpente la ruba e Gilgameš torna a Uruk a mani vuote, convinto che l'immortalità sia appannaggio esclusivo degli dei.
Il nucleo romantico del poema risiede nel lutto di Gilgameš dopo la morte del suo amico. I critici lo considerano come la prima opera letteraria a sottolineare la mortalità umana in opposizione all'immortalità degli dei. Il poema include una versione della storia del diluvio universale.
La figura di Gilgameš ha ispirato molte opere della letteratura, dell'arte, della musica, come ha evidenziato lo studioso statunitense di letteratura comparata Theodore Ziolkowski nel suo libro Gilgamesh Among Us: Modern Encounters With the Ancient Epic.[30] È stato solo dopo la prima guerra mondiale che Gilgameš ha potuto raggiungere un vasto pubblico, ma è soprattutto dopo la seconda guerra mondiale che la sua antica epopea è stata fonte di ispirazione per una varietà di romanzi di genere, fumetti, musiche, videogiochi, anime ecc.[31]
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